TRENTO. “A che ora è la fine del mondo?”, cantava Ligabue in una cover dei Rem. Ci sono persone in tutto il mondo che si allenano per sopravvivere all’apocalisse: si scambiano consigli in internet e tengono sempre a portata di mano il kit per il pronto soccorso.
Tecnicamente si chiamano “prepper”, dall’inglese “to prepare”, prepararsi appunto. E ognuno di loro ha la sua tecnica: c’è chi si allena con la falconeria, chi ha lo zaino pronto per la fuga, chi ha razioni di cibo per mesi, chi si è costruito un rifugio e persino chi ha attrezzato la bicicletta con tutto l’occorrente per restare in vita. E se il telefono non funzionasse più? Molti di loro si sono presi il patentino da radioamatori.
Gli americani si allenano immaginando che un giorno ci sarà un’invasione di zombie, come quelli dei film di Romero o della serie tv “The Walking dead”. Ma gli italiani, meno affascinati dalla fine del mondo, sanno che ci sono pericoli più concreti: alluvioni, terremoti o crisi finanziarie. Tutti scenari per i quali i prepper si allenano, giorno dopo giorno, per evitarli o almeno saperli affrontare.
Nella civilissima Svezia – che non entra in guerra da secoli – il governo ha distribuito a cinque milioni di persone un libretto di venti pagine, con tutti i consigli per sopravvivere a un conflitto o a una crisi. È una sorta di prepping di Stato. Ed è facile immaginare come mai in Corea del Sud, fino a pochi mesi fa, andassero a ruba gli zainetti con tutto l’occorrente per sopravvivere a un attacco nucleare.
E in Italia? “Qui siamo un movimento ancora minoritario – ci ha spiegato, quando lo abbiamo intervistato per il Fatto Quotidiano, Marco Crotta, inventore del sito prepper.it –. Nel 2012 abbiamo avuto un boom, perché ci collegavano alla panzana dell’apocalisse predetta dai Maya, ma no, non abbiamo niente a che fare con i Maya. Il problema è che i prepper più famosi al mondo sono gli americani, e loro per essere contenti devono immaginare scenari con bombe, esplosioni, armi e zombie. E altre situazioni apocalittiche».
Roba da film, insomma. «Sì, e c’è anche chi si avvicina a noi solo per sentirsi più virile. Ma poi, quando ci si trova all’interno del movimento e lo si scopre davvero, tutti i sogni di gloria da serie televisiva svaniscono, rimane solo chi è davvero convinto – ci ha detto Crotta –. Essere prepper per noi non è un gioco: significa essere come la formichina che non vuole diventare cicala».
«Se oggi le cose vanno bene e non ci sono grossi problemi, siamo consapevoli che tutto può cambiare all’improvviso. Il prepper mette da parte una serie di competenze e di oggetti che lo aiuteranno se si dovessero verificare dei pericoli».
Il rischio di lasciarsi suggestionare dai film e di immaginare i prepper come dei Sylvester Stallone, con i muscoli unti dall’olio e il coltello fra i denti, è forte. Si scopre in realtà che molti di loro sono innanzitutto dei topi da biblioteca: «È un movimento culturale, prima che pratico, anche se poi impariamo anche le tecniche di sopravvivenza. La prima cosa che insegniamo è la capacità di documentarsi – ha spiegato Crotta –. Insegniamo a individuare tutte le potenziali situazioni di pericolo, rispondendo a una serie di domande: cosa potrebbe succedere davvero? Ci sono stati scenari simili in passato? E in quei casi, cosa è capitato e quali sono state le difficoltà delle persone? Partendo dalla teoria, ci si prepara in pratica per affrontare i pericoli prima che succedano davvero».
Così i prepper vogliono disinnescare l’effetto sorpresa di un terremoto, di un’alluvione, di un attentato terroristico, ma anche semplicemente di un licenziamento o di un’improvvisa crisi economica.
I vari scenari vengono discussi online, nel mondo esistono decine di siti, forum dedicati e molti mercatini con gadget e attrezzatura. In Italia, oltre a prepper.it, un altro sito molto frequentato è portalesopravvivenza.it. Con articoli come: “Cosa si prova quando si respira del gas nervino?”. O ancora: “Cosa fare in caso di sparatoria?”. Non sarà l’apocalisse, ma comunque meglio essere pronti.
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