TRENTO. C’è chi costruisce “hotel” nei parchi e sui balconi per accogliere le api che non fanno vita sociale. Ci sono alveari tecnologici da controllare con gli smartphone e sistemi anti-saccheggio contro i furti fra api. E soprattutto c’è l’Unione europea che mette al bando i pesticidi dannosi per la salute degli insetti. C’è persino una giornata internazionale dedicata alle api che si è celebrata nel 2018 per la prima volta. Ribadendo l’allarme: le api rischiano l’estinzione, bisogna fare qualcosa per salvarle.
Il viaggio nel mondo delle api parte sempre da una frase attribuita, sembra erroneamente, al fisico Albert Einstein: «Se scomparissero dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita». C’è del vero: oltre il 75% delle colture alimentari al mondo dipendono dall’impollinazione, secondo la Fao, l’organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura.
Senza impollinazione dovremmo rinunciare, fra le altre cose, a caffè, mele, mandorle, pomodori e cacao. E ovviamente anche al miele. Non sarebbe forse la fine dell’umanità, ma sicuramente un grave colpo per le nostre abitudini alimentari.
È per questo che la battaglia per difendere le api non riguarda solo gli apicoltori. Nel 2015 un rapporto dell’Iucn – l’Unione internazionale per la conservazione della natura – ha considerato le api europee: il 10% delle specie sono a rischio estinzione, il 5% stanno molto male e per quasi il 57% non esistono ancora dati certi. Secondo gli studiosi, il numero degli impollinatori è in calo in tutto il mondo: nel solo 2016 in Europa sono scomparse il 12% delle colonie.
La questione è anche economica: in Italia ci sono più di 45 mila apicoltori censiti per un milione e 200 mila alveari. Il valore economico dell’impollinazione nelle coltivazioni è di due miliardi di euro, secondo le stime di Coldiretti.
Ma perché le api stanno così male? La colpa è innanzitutto dei cambiamenti climatici. La siccità nel 2017 ha fatto calare la produzione di miele dell’80%, con i fiori che hanno smesso di secernere nettare e polline. Le api, in sofferenza per il clima, non riuscivano più a impollinare le colture. Nei primi mesi del 2018 le cose non sono andate meglio: l’improvviso ritorno della pioggia e del freddo hanno stressato le api, che sono rimaste negli alveari dimezzando la produzione di miele di inizio stagione.
Le api devono poi combattere con gli alieni: con animali killer estranei alle nostre latitudini, ma arrivati in genere per via dei flussi commerciali. Il più pericoloso si chiama Aethina tumida, un coleottero che distrugge gli alveari ed è diffuso soprattutto nel sud Italia, dove è arrivato nel 2014. E infine ci sono inquinamento e pesticidi.
Anche quando non sono responsabili della moria delle api, possono avere effetti indiretti altrettanto letali. Una ricerca dell’Università scozzese di Stirling ha dimostrato di recente come a causa delle molecole neonicotinoidi le api stiano smettendo di ronzare. Non è un aspetto secondario: è proprio grazie al rumore del ronzio che i fiori rilasciano il polline.
Almeno su questo aspetto c’è una buona notizia: a fine aprile del 2018 l’Unione europea ha messo fuorilegge i pesticidi più nocivi per le api, grazie al voto di 16 Paesi, Italia compresa. Ma per la generale crisi delle api c’è anche chi cerca soluzioni che, a un primo sguardo, possono sembrare più creative. Eccone alcune.
A Roma hanno aperto i primi alberghi per le api solitarie: sono quegli insetti che, a differenza di quelle domestiche, non hanno vita sociale, ma hanno comunque un ruolo importante nell’impollinazione delle piante. I primi BeeHotel hanno aperto nell’Oasi Lipu di Castel di Guido, ma l’obiettivo è poi di aprirli in balconi, giardini e scuole della capitale. Sono strutture esagonali in legno, al cui interno sono disposte cannucce di carta, ciocchetti e laniccia: materiali che poi le api adattano per costruire un rifugio dove deporre le uova e proteggere le larve.
Ma ci sono anche alveari tecnologici, come quello della startup lombarda 3bee, creata da un biologo e un esperto di elettronica. I sensori rilevano temperatura, umidità e suoni negli alveari. I dati sono poi elaborati da un algoritmo che riesce a identificare gli eventuali problemi: ad esempio se le api non sono in salute, se stanno per sciamare o se la regina è morta. I dati possono essere consultati dall’apicoltore sullo smartphone.
E poi c’è Franco Blancuzzi che nel Friuli ha ideato una porta anti-saccheggio per arnie. Serve per evitare che le api di un’altra famiglia, estranea all’alveare, facciano irruzione per rubare le provviste, talvolta diffondendo le malattie.
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