Fino ai primissimi anni ’60, vendevano vino, sfuso e d’asporto in pieno centro storico. Era un modo per tenere più unita la gente sotto casa
LAVIS. Sono stati, nel loro piccolo, gli antesignani degli odierni “agritur” e sin dall’ultimo dopoguerra e fino ai primissimi anni ’60, andavano di moda all’interno della borgata lavisana i caratteristici “spacci” di vendita vino, sfuso e d’asporto, naturalmente tutto il proprio prodotto del contadino intestatario della relativa licenza.
Quest’ultima era concessa periodicamente dal Comune a tutti quei contadini richiedenti e aventi diritto, distribuita poi equamente su tutta la piazza lavisana, in periodi particolari e stagionali dell’anno, che non superavano i due-tre mesi canonici di apertura continua al pubblico.
La circolare governativa
1.È doveroso però, prima della cronaca vera e propria sugli spacci, conoscere un antefatto storico, un documento vero e proprio che ci aveva mostrato anni fa proprio il direttore dell’allora Associazione Culturale, l’indimenticabile Aurelio Rasini.
Era datato, il documento, nell’anno 1831 e metteva in evidenza proprio la circolare governativa del primo maggio di quell’anno, relativa alla “Vendita di vino come proprio prodotto nel circondario di Lavis” . Nel testo si leggeva integralmente quanto era stato emanato come ordinanza dall’autorità e cioè:
“Avuto in considerazione il decreto della Cancelleria aulica del 2 settembre 1784 relativo alla libertà di vendere vettovaglie e vini di propria produzione; inoltre il regolamento del 12 giugno 1789 relativo all’imposta dell’Umgeld per le bettole del Tirolo, non che l’istruzione relativa per le dette bettole nei distretti di quà del ponte del Lavis, ovve avvi coltura di viti del 17 luglio 1789, e finalmente la consuetudine vigente di altre provincie che producono vino, ecc.”
“L’Imp.Reg.Cancelleria aulica emanò in data 17 marzo anno corrente nr.3298, la seguente ordinazione: la vendita del vino di propria produzione tanto all’ingrosso, quanto al minuto, è libera dappertutto; questa vendita però al minuto nelle bettole cioè bevendosi il vino nelle medesime, è permessa soltanto nei distretti che producono vino; ma fuori da questi distretti, ovvero fuori del caso d’una speciale concessione di esercitare il mestiere di oste, la vendita al minuto del vino di propria produzione non può farsi, che a quelli che vengono a levarlo per portarselo via senza berlo nella bettola…
Devesi poi considerare come diritto personale transitorio la concessione sinora accordata a qualche possidente di vigne di vendere in bettole vino al minuto in distretti, che non lo producono Innsbruck 1° maggio 1831″
In pieno centro
2.Ma torniamo nel nostro paese dove gli spacci più noti, che si alternavano tradizionalmente per coprire la stagione meno impegnata nei lavori dei campi, aprivano i loro locali perlopiù in pieno centro storico, quasi sempre negli avvolti al piano terra, nei classici “boidori” sotto casa o in qualche magazzino dismesso che dava direttamente sulla pubblica via o piazza.
Sono tanti quelli ancor oggi ricordati dai veri lavisani Doc, una vera e propria passerella collocata con fantasia e creatività nei punti più strategici disponibili. Quello in primis di Emilio Sartori (dagli amici chiamato “Verlano”) situato sotto la casa di famiglia sull’angolo di via Matteotti-via Damiano Chiesa nelle vicinanze del Municipio.
La sede degli alpini
3.Il locale dello spaccio di vino era anche la sede ufficiale (sin dalla fondazione) del Gruppo Alpini di Lavis e quindi il buon Emilio, membro anche del direttivo Ana, doveva conciliare lo spazio chiudendo anticipatamente l’attività di mescita del proprio prodotto quando le serate erano occupate magari da assemblee, da manifestazioni pubbliche o dallo stesso direttivo degli Alpini.
Non per questo il vino veniva bandito… inesorabilmente e severamente dai tavoli di quelle sedute e riunioni, anzi, con gli alpini e i loro ospiti di quelli incontri si può proprio confermare che l’attività proseguiva in… famiglia e con più calma e tranquillità del solito!
La “Grotta Azzurra”
4.C’era poi il locale dei fratelli Mario e Ottavio Brugnara in via Filzi (storicamente l’ex via del Macello) angolo via Zanella, poi anche con trasferimento in via Clementi in casa del Pio Brugnara detto “Mazizo”.
C’era poi anche la famosissima “Grotta Azzurra” chiamata così dall’ingresso del “volt a bott” colorato di azzurro e di proprietà della famiglia Lunelli, situata nella piazzetta San Gallo all’inizio di via Roggia. Altro spaccio nelle vicinanze era quello condotto e diretto da Pio Brugnara situato all’inizio nel locale dell’ex primo bar Acli e con ingresso proprio dietro al monumento a don Grazioli, successivamente nell’altro locale verso la via Clementi.
Altri spacci ancora…
5.Altra zona poi e altri spacci di vino, con quello del Pio Tonazzolli al piano terra del sua casa di via Orti, quello tra piazza Battisti e via 4 Novembre gestito dal simpatico “Gioele” Piffer e famiglia.
Poi altri ancora, in via Pressano (oggi via Rosmini) il punto vendita della famiglia Devigili, punto importante e strategico anche per le fiere e i mercati mensili di quelli anni, poi anche il locale di Oreste Claus in via Carmine (la via Degasperi odierna), quello al piano terra di Casa Sette in via 4 Novembre, di Luigi, Gigio Patton in via Orti, nella stessa via anche lo spaccio di Giovanni Nicolodi e in via Lungo Avisio subito dopo il ponte San Giovanni Bosco anche quello gestito dalla famiglia di Ermenegildo Brugnara.
Un ambiente spartano
6.All’interno dei vari locali vigeva perlopiù un ambiente spartano con l’arredo secondo la ricetta puramente contadina di quei tempi. Al posto dei tavoli si trovavano disposti i vecchi “ceveri” capovolti, con tutt’intorno delle panche di legno e sedie rustiche dismesse dalla cucina di casa.
Oltre al bancone di mescita, pieno stracolmo di damigiane , recipienti graduati da un quarto, mezzo litro e da un litro, tutti rigorosamente in vetro, nei quali veniva misurato e servito il vino ai clienti, vi erano esposti anche vari utensili e attrezzi di cantina che facevano bella mostra ai visitatori e clienti.
Alla morra
7.Sulla porta d’ingresso di ogni locale era rigorosamente sempre esposta la tradizionale “frasca verde”, un ramo ben fornito di edera che fungeva da insegna ufficiale del locale e che voleva significare, oltre alla semplicità dell’ambiente, anche la genuinità del prodotto elargito.
Tra un bicchiere e l’altro si chiacchierava, commentando anche tutti i fatti più importanti della giornata, qualcuno parlava anche di sport e di politica emergente, altri invece giocavano a carte sul tavolato dei “ceveri”, c’era poi anche chi azzardava – ed erano i più incalliti e rumorosi – qualche colpo di sorpresa “alla morra”!
Finché durava il vino
8.Non si disdegnavano nemmeno le merende improvvisate e qualcuno portava da casa da assaggiare in compagnia le lucaniche appena sfornate, i “pessatei” del Ceschini, il formaggio della Cooperativa e i rapanelli rossi della Carmela.
Si tirava avanti così finché il vino, suddiviso nelle varie specialità, si esauriva del tutto e si arrivava al fondo dei “bottesei”. A scorte terminate, il locale chiudeva prontamente e i titolari davano appuntamento alla fedele clientela per la prossima stagione, confidando e auspicando in un’altra ennesima buona e ricca vendemmia non certo avara di prodotto con gradazione conveniente.
Sotto la frasca
9.Dopo il 1950 si poteva pagare un bicchiere di Schiava casalinga negli spacci a 20 lire il bicchiere, il Merlot costava invece 25, chi preferiva invece la famosa e popolare “caraffa” (un quarto di litro) era disposto a sborsare ben 50 lire…
Ricordi nostalgici di quando anche a Lavis il tempo si era fermato, quando anche gli “spacci” dei contadini contribuivano a tenere più unita la gente sotto casa, un frammento di storia semplice e genuina, come il vino che si beveva allora, in quegli anni indimenticabili sotto la frasca…
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