LAVIS. Il primo maggio del 1890 le operaie della filanda Tambosi a Lavis scioperarono per chiedere la riduzione dell’orario lavorativo. La manifestazione durò circa una settimana riuscendo ad attirare l’attenzione dei media dell’epoca.
Le operaie della filanda scioperarono per un’intera settimana al fine di chiedere la riduzione dell’orario di lavoro da 13 a 10 ore giornaliere. Si tratta, con tutta probabilità, del primo sciopero organizzato di cui si abbia notizia nel Tirolo italiano. Allargando lo sguardo su scala europea, per esempio, a Vienna, capitale dell’Impero d’Austro-Ungarico, il primo sciopero femminile è datato primo maggio 1893. Le lavisane, quindi, allo stato attuale delle ricerche, anticiparono di poco le loro college austriache.
Per l’epoca fu effettivamente, quello di Lavis, un caso e un fatto tutto nuovo. I principali giornali all’epoca stampati a Trento seguirono con un certo interesse l’evolversi della situazione.
Da qualche tempo, inoltre, i movimenti operai di tutto il mondo avevano iniziato la lotta per maggiori tutele e per la riduzione dell’orario di lavoro all’insegna del motto “8 ore per lavorare, 8 ore per studiare, 8 ore per dormire”. Infine l’Internazionale socialista del 1889 dichiarò il primo maggio festa internazionale dei lavoratori a ricordo degli scontri di Chicago del maggio 1886. Il primo maggio 1890 i lavoratori delle principali capitali europee scesero quindi in piazza per chiedere più diritti e tutele: in Trentino a scioperare furono le donne di Lavis.
“Stamane si posero in sciopero tutte le operaie della filanda Tambosi facendo degli assembramenti nei pressi della filanda per impedire che le timide, pentendosi del passo fatto, si recassero al lavoro. Domandano che la giornata di lavoro sia ridotta a 10 ore, conservandola mercede attuale. Ora che vi scrivo (mezzogiorno) lo sciopero dura ancora, né è mia cognizione che siasi venuti ad un compimento”.
In data 3 maggio lo stesso giornale trattò nuovamente lo sciopero:
“Anche le operaie della filanda del Sig. Tambosi in Lavis hanno voluto rappresentare la loro parte al primo maggio. Alla mattina di detto giorno per tempissimo avreste veduto andar gironzolando per le vie della borgata delle giovani a due, a tre, a quattro….chiacchierando, bisbigliando, sussurrando – poi raccogliendosi in crocchi; indi riunirsi in massa sulla piazzetta che stà dirimpetto al palazzo del Giudizio.
Che è? Che non è? Di domanda l’un l’altro. Sciopero su tutta la linea. Intanto alla filanda di da il primo fischio del vapore, a cui le operaie rispondono con grida; al secondo aumenta lo schiamazzo e incominciano a cantare una canzone d’occasione. Le scioperanti domandano che che vengano loro ridotte le ore di lavoro da 13 a 10 – ben inteso restando intatta la primiera mercede.
L’agitazione muliebre durò la mattina fin verso le ore 8. Si credeva che qui fosse tutto finito e che le Autorità intervenute fra cui l’I.R. Capitano de Ebner, avessero accomodato ogni cosa, ma no, che anche dopo pranzo le scioperanti operaie si raccolgono i nuovo sulla detta piazzetta ed ivi gridano e cantano – e al fischio che le invitava al lavoro rispondono come alla mattina, e il bisbiglio continuò, in grazie del tempo piovoso, solo fin verso le ore 3 pom.
A quanto si dice fu proposta alle operaie una diminuzione di opre di lavoro – con relativa diminuzione di paga; ma esse per ora rifiutarono la proposta. – Dieci ore di lavoro era la parola d’ordine”.
La Famiglia Cristiana, altro giornale trentino, in data 6 maggio 1890 riportò la seguente notizia:
“Dopo lungo tergiversare finalmente pare finisca. Ieri sera fu convenuto di riaprire mercoledì prossimo la filanda, la quale è chiusa dal primo maggio, e si pattuì di continuare almeno per intanto con 13 ore di lavoro”.
L’obiettivo della riduzione dell’orario di lavoro non fu immediatamente raggiunto, ma il provvedimento di concessione delle 12 ore giornaliere non tardò molto ad arrivare.
Una norma questa che probabilmente non veniva rispettata nel Titolo italiano. Luigi Tambosi in una lettera del 1887 indirizzata alla Camera di Commercio di Rovereto scriveva:
“La filatura, in relazione al prodotto bozzoli del paese, può dirsi ancora fiorente e più lo sarebbe se le nuove leggi industriali non l’avessero posta in condizioni di lavoro assai meno favorevoli di quelle del vicino Regno d’Italia.
Infatti mentre là con un lavoro spinto a 14 ore al giorno si impiegano ragazzi da 9 anni in su, qui per effetto delle suddette leggi, quantunque mitigate dalle successive ordinanze, non si ammettono che quelle sopra i 14 anni per una durata massima di 12 o 13 ore di lavoro al giorno, e si esigono provvidenze speciali a favore degli operai ammalati e speciali adattamenti per l’igiene dei locali”.
Nel 1841 l’intero complesso fu venduto ai fratelli Lanfranchi i quali, dopo aver dato un grande impulso allo stabilimento, lo cedettero a Luigi Tambosi. Nel 1868 nella filanda risultavano impiegati 9 uomini, 70 ragazzi e 225 donne.
A metà Ottocento la popolazione di Lavis arrivava ad un massimo di 3mila anime. Esattamente, stando al censimento del 1869 gli abitanti sono 3221, per poi calare, a causa dell’emigrazione, a 2985 abitanti.
Al 1880, sempre secondo i dati del censimento austriaco, la popolazione complessiva di Lavis, Pressano e frazioni, ammontava a 3.329 anime. Il settore produttivo principale era quello agricolo seguito poi da quello legato alle filande.
Oggi, in via Alcide Degasperi, sul lato est dall ex filanda, un targa voluta dall’amministrazione comunale ricorda l’esperienza di quelle donne che lottarono per i loro diritti.
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