LAVIS. Una delle interessanti attività complementari a vendemmia conclusa era sicuramente per i contadini lavisani di un tempo (e non solamente per quelli), la distillazione delle vinacce fatta in casa.
Distillazione in proprio tramandata da padre in figlio, un pizzico di avventura con i dovuti carismi della clandestinità e al riparo da occhi indiscreti. Non sicuramente su larga scala come quella praticata in quel di Giovo e in Val di Cembra, ma comunque un’attività che serviva anche per arrotondare – quando andava tutto bene – il magro e risicato guadagno dell’agricoltura di quelli anni.
Il “lambich” era quasi sempre collocato al riparo da occhi indiscreti, in un avvolto al pian terreno di casa, quasi sempre confinante direttamente con il locale chiamato “boidor” dislocato sopra la cantina. Intorno all’alambicco era accatastata molta legna per il fuoco della caldaia, tutt’intorno i vari “ordegni” per la lavorazione e alcune panche rudimentali per gli addetti che dovevano vegliare magari intere notti per seguire l’intera lavorazione.
Ad ogni turno venivano controllati i vari pezzi del “lambich” e specialmente le sue parti principali: la cucurbita, il cappello – detto anche capitello – poi il refrigerante ed infine il vaso collettore.
Nei vari passaggi si svolgevano obbligatoriamente anche gli “assaggi” del prodotto in lavorazione e tutto procedeva tradizionalmente alla perfezione, ognuno aveva il proprio incarico specifico e la sua mansione.
La lavorazione riusciva quasi sempre nel migliore dei modi, tutto filava liscio in quanto l’intero fabbricato dove si “lambicava” era sorvegliato a vista da tutta la famiglia o da qualche amico. Ogni movimento sospetto veniva subito segnalato ai lavoranti, quasi sempre il capofamiglia, il nonno ma anche qualche figlio maggiore.
Il massimo momento dell’eventuale “pericolo” si poteva registrare, quasi sempre, dopo una nevicata che aveva reso tutto l’ambiente rarefatto, molto sensibile all’olfatto e quindi agli odori-profumi sprigionati dal camino e percepibili a quantti transitavano per le strade del paese.
A prodotto finito poi, ci si organizzava per la collocazione esterna di tutta la “sgnapa” in esubero, in casa rimaneva solamente il fabbisogno annuale per la famiglia, mentre tutto il resto andava venduto per racimolare più soldini possibili.
Si racconta che il centro, il vero punto di conferimento per i collocatori della Val di Cembra per smerciare il loro prodotto, era sicuramente la piazza Grazioli presso il glorioso bar dei Lorenzi all’angolo della piazza.
Per le grosse partite invece la notte era la preferita e su queste avventure di “sgnapa” ne esistono veramente delle belle da raccontare.
Era da questo passaggio obbligato che i contadini scendevano a valle con la “scràizera” in spalla, carica di canistre e bottiglioni di grappa. Se poi qualcuno faceva anche la spia – succedeva anche questo più che altro per rivalità – i tutori dell’ordine o i finanzieri si appostavano al bivio del Maso Rumega vicino alla collina detta delle “Suore” per acchiappare i contrabbandieri.
Questi però erano più furbi che santi – si diceva ancora – mandavano in avanscoperta qualche amico con della grossa legna in spalla e così loro, per un’altra scorciatoia, arrivavano fino a Lavis indisturbati.
C’era sempre il carro che andava in avanscoperta e questo veniva sempre fermato, anche dai carabinieri, per un accurato controllo. C’erano sì le damigiane ma quelle erano colme di acqua pura e questo suscitava le ire più che giustificate dei militi. Da un altro posto di blocco, scoperto, passava intanto il carro con la vera grappa e così tutto arrivava a buon fine…
Bisogna poi ricordare, sempre in fatto di esportazione della grappa lavisana, che i contadini locali – in inverno – scendevano a Trento città quasi tutti i giorni, col tram o con la corriera.
La scusa per questo andirivieni era sempre quella: «le pratiche per la pensione»! Invece, zaino in spalla, i “nostri” collocavano la loro grappa porta a porta, dai loro affezionati clienti abituali, quasi tutti “signori” della buona borghesia e facoltosi trentini d’alto lignaggio.
Un grappino – si diceva – preso al momento giusto, faceva digerire ogni cosa, era efficace contro il mal di testa, di stomaco, preveniva raffreddori e influenze vari, era un ottima correzione per il caffè, indispensabile anche nell’impasto dei famosi “canederli trentini”…
Qualcuno sussurrava, sicuramente erano malelingue invidiose, che tra quei clienti di “prestigio” dei contadini, ci fosse sicuramente questo o quel grosso politico trentino di turno, ma anche qualche ex militare della guardia di finanza in pensione…
Sicuramente cose d’altri tempi, bei tempi indimenticabili, tanti ricordi di quando si “lambiccava” molto, persino a vivere…!
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