LAVIS. Abbiamo avuto modo di leggere in questo articolo come cambiò il clima politico in Trentino al termine del primo confitto mondiale. Prese subito piede, infatti, una sorta di processo di monumentalizzazione e di memoria della Grande Guerra attraverso l’intitolazione di vie e piazze agli “eroi” che morirono fra le fla del Regio Esercito.
A dominare la scena furono, inevitabilmente, i tre martiri dell’irredentismo Cesare Battisti, Damiano Chiesa e Fabio Filzi, oppure, come nel caso Cembra, personaggi come Giovanni Battista Tonini o ad Aldeno il giovane Cesare Martignoni, irredentista caduto sul campo di battaglia nel 1915 con la divisa del Regio Esercito.
A Battisti, Chiesa e Filzi furono dedicate strade, piazze, scuole e caserme. Nulla di tutto questo per i trentini che morirono con la divisa austriaca; a loro fu solo concesso di essere ricordati entro le mura dei cimiteri. Ma non solo. Come nel caso di Lavis, e di tutti i paesi del Trentino, i luoghi pubblici e di pubblico utilizzo furono dedicati alle battaglie vittoriose dell’Italia, a Roma capitale e al giorno dell’arrivo dell’esercito italiano.
Si tratta, nel suo insieme, di un processo culturale e di propaganda che proseguirà negli anni successivi con la celebrazione e il ricordo di chi manifestò sentimenti filo-italiani.
Un esempio è la lapide a ricordo di Giuseppe Clementi, medico lavisano, morto nel 1855 nelle carceri a Mantova perché accusato di sostenere i rivoluzionari flo italiani.
Era fratello del garibaldino Luigi Clementi e del deputato Carlo Clementi, e nel 1925 l’Amministrazione comunale ne onorò la memoria con l’intitolazione dell’attuale via Clementi e con l’epigrafe, ancora oggi esistente, sulla facciata principale della casa natale dei fratelli Clementi.
Stessa cosa per il medico liberale Carlo Sette, convinto irredentista morto nel 1918, al quale, sempre l’Amministrazione comunale – siamo nel 1932 nel pieno dell’era fascista – ne commemorò l’operato e la figura con la lapide sulla facciata del palazzo della famiglia Sette.
E così in tutto il Trentino ancora oggi possiamo vedere le tracce, scolpite nel marmo, di questo clima politico e culturale.
Già nel 1919, però, con il cambio di regime, iniziò una sorta di “caccia all’austriacante”. Luigi Nicolodi, nato a Lavis il 26 febbraio 1883, figlio di Antonio Nicolodi e Anna Zeni, sposato con Rosa Facchini, proprietario dell’albergo Nicolodi alla Tramvia, terminata la guerra fu accusato di essere «austriacante» – vale a dire uomo ancora fedele all’Austria – e deportato in Calabria.
Dopo alcuni mesi fu poi scarcerato e ritornò in Trentino con l’obbligo di dare notizia del suo nuovo indirizzo al Tribunale di Trento. Morì nel 1920 a causa di malattie contratte durante l’internamento.
Per concludere questo breve viaggio nella Lavis del primo dopoguerra è doveroso ricordare il «Memoriale sull’epurazione», del 1919, edito dalla Legione Trentina, redatto per allontanare dai pubblici uffici e dalle scuole gli austriacanti:
«Per gli austriacanti, freddezza da parte del pubblico, esclusione dalle Associazioni, eliminazione dai pubblici uffici o trasferimento in altra regione: per i rinnegati, per i disonesti, per i fduciari dell’Austria, per le spie, per i vermi della società, il disprezzo della pubblica opinione, il boicottaggio da parte dei cittadini, l’esclusione da qualsiasi impiego pubblico o privato».
Nel Memoriale si legge che è opportuno:
«richiamare l’attenzione sul persistente bisogno di una giusta e serena opera di epurazione, poiché da essa dipenderà in misura notevole la ripresa di una più sana ed onesta vita politica nella nostra regione. Certi individui personificano ancora oggi l’Austria superstite, l’Austria che si dice morta ma ancora vive, perché ancora negli stessi singoli luoghi e magari con le identiche funzioni, servono il governo e comandano quelle stesse persone che erano fno a ieri l’Austria».
Viene posto anche il problema degli insegnanti perché i giovani non devono assistere:
«attoniti e perplessi, alla esaltazione dell’Italia fatta dallo stesso insegnante che fino a ieri aveva esaltato l’Austria denigrando tutto quanto era italiano: troppo grave sarebbe l’efetto dissolvente della coscienza dei giovinetti prodotto da un tale stridente contrasto».
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