LAVIS. Quanti, i ricordi, che si affacciano, puntuali e insistenti, sugli episodi indimenticati della nostra fanciullezza. Uno di questi si riferisce alla famosa cucina della zia Carlotta e torna alla mente ogni qualvolta si transita nei pressi di Casa Ronch, quella che era stata dal dopoguerra, la casa appunto di questa nostra zia e ora è di proprietà comunale.
E questa cucina, che veniva imbiancata periodicamente ogni 5/6 anni quando le pareti non si differenziavano ormai più dal pavimento, era per noi come uno scrigno inesauribile di sorprese sopra sorprese, accompagnate dalle novità giornaliere che non dimenticavano mai di stupirci e di entusiasmarci.
E si arrivava alla casa del Ronch, subito dopo la visita d’obbligo mattutina alla nonna Emma, la mamma di nostro padre che abitava proprio sopra il Ronch, nella casa di Vicolo del Pristol, quella vicina al rifugio antiaereo dell’ultima guerra.
Il nostro giro, quasi sempre di corsa, proseguiva quindi nel sottostante Ronch, la zona storica e antica (la seconda dopo i Pristoi) dove risiedeva appunto la zia Carlotta.
Come al solito il locale era occupatissimo e assediato in ogni dove, da innumerevoli mercanzie, carabattole e utensili di ogni genere, tanti anche i vecchi giornali, disposti perlopiù in ordine sparso…
Oltre al mobilio, antichissimo e di foggia semplice e indecifrabile, disposto lungo le tre pareti, c’era il focolare in ghisa e mattoni sempre in funzione, a fianco della porta d’ingresso.
Tutt’attorno, dal tavolo alla credenza, perfino dai portapiatti alla vetrina, soggiornavano periodicamente alcune simpatiche galline, mentre due o tre conigli erano intenti al loro quotidiano riposino nel cantuccio riservato alla scanzia delle padelle.
Questo era il regno della zia che, periodicamente, diventava anche il nostro… Non mancavano poi le “cerimonie” periodiche, alle quali si assisteva puntualmente, sempre più con trepidazione e curiosità assoluta.
Si doveva sostituire con una nuova, estratta con dovizia di particolari dal barilotto di cartone che la conteneva, solamente quando la vecchia era tutta quanta riempita di mosche, rimaste invischiate sulla micidiale striscia.
La zia saliva sul tavolo, staccava lo spago del pigliamosche dal filo elettrico e lo depositava, tutto arricciato, nella “sguazzera” predisposta ai piedi della tavola. Il tutto veniva poi gettato nel bel mezzo del focolare e tutti assistevamo, trepidanti ed attenti, al rogo delle mosche.
Messi nel fuoco, quando diventavano incandescenti, venivano rimossi delicatamente dalla zia con la paletta di ferro e disposti in bell’ordine all’interno del ferro da stiro con il coperchio aperto.
La nostra Carlotta iniziava quindi a “sopressar” (a stirare) i diversi scampoli di stoffa che aveva pronti nella grande cesta di vimini. Tutti questi lavori, naturalmente guardati a vista oltre che da noi bambini anche da tutti gli amici animali presenti in cucina, ci affascinavano e ci coinvolgevano sempre più, anche per il rinnovato impegno della zia nell’illustrarci tutte le singole operazioni sul campo…
Se non era il portalettere, erano le due sorelle della Carlotta, la Barbara e la Giovanna, che si davano appuntamento quasi sempre insieme in occasione del mercato settimanale.
E allora scattavano puntuali i resoconti. Le chiacchiere su tutto e tutti, le ultime novità accadute in paese, che le “3 sorelle 3” (definite ironicamente da qualcuno le tre grazie…), si scambiavano con dovizia di particolari, commenti e disquisizioni da vera e propria “conferenza stampa” in famiglia.
Tutte e tre noncuranti di noi “popi”, intenti comunque alla scena e a tutti i suoi contorni interessanti. Dopo tutto questo parlare si udiva, finalmente, la voce perentoria della Carlotta che diceva la solita frase ormai a memoria: «Adesso fago el caffè de casa, però devo nar a tor la codòma che la ghe ancora en tel polinar de le galine…»!
Mano a mano che il legno si consumava nel fuoco, la zia provvedeva ad avvicinare il legno e la sedia al focolare. Episodi bellissimi, interessanti, indimenticabili, che oggi fanno sicuramente sorridere i più… Avventure giornaliere della nostra bella giovinezza, ancora oggi cariche di poesia e di ricordi indelebili nel tempo.
Ci incamminavamo quindi per il Ronch, io e mia sorella, non senza aver salutato con un po’ di nostalgia la zia Carlotta, ringraziandola per quest’altra bella giornata che ci aveva regalato all’interno del suo “regno”, la sua splendida e simpatica cucina,un vero pozzo di sorprese e di meraviglie infinite…
Con struggente malinconia rivediamo anche il Pristol e c’è ancora quel piccolo poggiolo dal quale l’indimenticata nonna Emma ci richiamava, sempre e puntualmente, alla realtà della vita…
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