LAVIS. Il primo Novecento fu per il Trentino, e per Lavis, un periodo che si caratterizzò per un certo sviluppo nel settore dei trasporti, del turismo e dell’edilizia. Non fu mai, però, con unica eccezione Rovereto, una regione particolarmente votata all’industria. La maggioranza della popolazione era ancora legata all’agricoltura di sussistenza. Solo il settore viti-vinicolo, infatti, poteva vantare un ruolo “industriale” per lo smercio dei vini verso nord.
Ma a giocare un ruolo importante c’era anche il settore legato alle filande e al baco da seta. Nel 1909, come si legge in uno scritto di Cesare Battisti, a Lavis «dopo l’uva, il prodotto più importante è dato dall’allevamento del baco da seta. […]. Lavis conta parecchie industrie: una filanda a vapore (con proprio impianto elettrico per l’illuminazione) che dà lavoro a 200 operai e conta 92 bacinelle; parecchie cantine che occupano circa 100 lavoratori».
Il progresso economico fu accompagnato anche da uno sviluppo di tipo demografico. Dalla seconda metà dell’Ottocento fino ai primi del secolo successivo la popolazione di Lavis borgata passò dai 2167 abitanti del 1880 ai 2472 del 1910, con un aumento della popolazione del 14%. Un dato significativo di crescita che testimonia, in parte, il calo dell’emigrazione e migliori condizioni di vita. Infatti, come si vede nel grafico, è interessante notare il calo fra il 1869 e il 1880. In relazione alla crescita demografica abbiamo anche un aumento del numero di case: 215 case nel 1869; 279 nel 1910, con un incremento di quasi il 30%.
Sono la banda sociale, la società di abbellimento, la ProCultura e il club ciclistico: tutte nate nel primo decennio del Novecento e fortemente influenzate da un sentimento filo-italiano che trovava la sua espressione politica nel movimento per l’autonomia del Trentino. Ed qui che si trovano le colonne portanti di un clima che portò nel 1902 nel 1913, all’inaugurazione del monumento a don Giuseppe Grazioli.
«Il popolo di Lavis e dintorni, raccolto in comizio sulla piazza di Loreto, affermando solennemente la necessità di una autonomia amministrativa per il Trentino, protesta energicamente contro la slealtà e la mala fede della maggioranza dei deputati tirolesi manifestata nell’ultima sessione dietale e contro la vile pressione dei comuni tirolesi esercitata dai deputati stessi allo scopo di sventare la discussione e votazione della nostra autonomia e nel mentre applaude al contegno dignitoso ed azione risoluta dei nostri deputati, fa voti che i futuri abbiano sulle stesse orme a lottare compatti senza distinzione di partito con tutte le forze per l’ottenimento del nostro ideale, l’autonomia, senza della quale la nostra patria è strozzata nello svolgimento della propria vita intellettuale e materiale e nel conseguimento di quel benessere che sta nel diritto naturale di tutti i popoli civili».
Non mancarono anche manifestazioni di solidarietà nei confronti dei terremotati della Calabria. Nel gennaio del 1909 il comune di Lavis raccolse 750 corone per i terremotati di Calabria e Sicilia, considerati come fratelli investiti da «infausti avvenimenti che crudamente colpirono al cuore la patria nostra». Fu istituito un comitato composto da Arturo de Schulthaus, Emanuele Lona, Mario Largaioli, Luigi Perini, Lodovico Tomazzoli e Ciro Marchi. Per l’occasione, al fine di raccogliere fondi, Giorgio Untervegher tenne a Lavis uno spettacolo di marionette.
Alcuni di loro, come già visto, durante la Grande Guerra, saranno deportati in Austria con l’accusa di irredentismo. Nel Quadretto, entrò a far parte l’irredentista Luigi Perini. Una poesia filo-imperiale lo ricorda così: «Con la barba del Perini, farem far tanti spazeti, per lustrar i stivaleti, al noss Checo imperator».
Un esempio interessante, per concludere questo breve viaggio nella vita culturale lavisana di primo Novecento, è il Convegno ciclistico del 3 giugno 1906. Nel manifesto, a firma di Francesco Cattani, si legge una poesia, che nelle battute finali recita:
«Salve, o Fratelli! Nei ginnici ludi s’addestra il valore, la forza tripudi: la patria vi guarda, vi chiama a pugnar. Deltro, vedete, discende il germano, sul nostro Trentino dispiega la mano: l’audacia correte del tristo a fiaccar.
Avanti! Sui piani, per entro le valli volate d’acciaro coi vostri cavalli, la fiamma accendete del patrio sentier. Chi tardo chi vecchio seguirvi non vale d’elettrici carri vi segua sull’ale, che indarno il Tedesco ci tenta rapir».
In quella occasione, il presidente del Veloce Club Avisio, Augusto Stenico, «tenne un elegante e patriottico discorso inspirato ai più schietti sentimenti nazionali accennando al compito del ciclismo che come quelli dell’alpinismo debbono non solo limitarsi allo sport ma a salvaguardare e difendere il sacro patriottismo della nazionalità».
Quell’arduo patriottismo che doveva accendere la fiamma del «patrio sentier», alcuni anni dopo, distruggerà, a colpi di baionetta e di mortaio, la vita di milioni e di milioni di uomini.
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