LAVIS. Presto il Comune di Lavis dedicherà una via a Santa Giuseppina Bakhita. La proposta fatta dalla Commissione Toponomastica è stata recentemente approvata dal Consiglio Comunale che ha deciso di intitolare il passaggio di collegamento fra via Matteotti e il piazzale delle Suore Canossiane alla suora sudanese che in due occasioni soggiornò proprio a Lavis.
In quegli anni il mercato degli schiavi era ancora molto fiorente nonostante le maggiori potenze europee e gli stessi Stati Uniti avessero emanato diverse leggi per porre un freno a questo ignobile commercio. Erano soprattutto bambini e giovani donne le vittime della tratta. Una sorella della giovane Bakhita era stata rapita qualche anno prima e di lei non si seppe più nulla.
Sola e spaventata per il trauma subito, la bambina si chiuse nel silenzio e dimenticò il suo stesso nome. Furono i suoi rapitori a darle il nome di Bakhita che, in sfregio alla sua situazione, in arabo significa “fortunata”.
Questo diplomatico aveva già comprato bambini schiavi per restituirli alle loro famiglie e l’intenzione era di fare lo stesso con la giovane Bakhita. Tuttavia il vuoto di memoria della bambina, il suo viaggio travagliato e la situazione politica del paese non permisero di rintracciare il villaggio di origine e i genitori della giovane che visse serenamente due anni con la famiglia del diplomatico.
Nel 1884 il diplomatico, come tutti gli altri europei che vivevano nella capitale, fu costretto a fuggire a causa dell’avanzata dei ribelli madhisti. I fuggitivi raggiunsero il porto di Suakin sul Mar Rosso e da lì si imbarcarono alla volta di Genova. Fra i fuggitivi c’era anche un amico del console, Augusto Michieli, a cui fu affidata Bakhita.
Fu Illuminato Checchini ad avvicinare Bakhita alla fede cristiana. Quando la famiglia Michieli decise di tornare in Sudan, a Suakin, dove i coniugi possedevano un albergo, lasciarono temporaneamente la giovane Bakhita e la loro figlia all’Istituto dei Catecumeni a Venezia, gestito dalle suore Canossiane.
Svolte tutte le pratiche burocratiche per il ritorno in Sudan di tutta la famiglia, la signora Michieli tornò in Italia per prendere Bakhita e la figlia ma la giovane sudanese chiese con coraggio e fermezza di restare con le suore Canossiane. La signora Michieli provò in tutti i modi a farla partire con loro, arrivò ad appellarsi al Procuratore del Re e al Patriarca di Venezia invocando diritti sulla sua persona. Entrambi gli interpellati fecero presente alla signora Michieli che in Italia non erano riconosciute le leggi di schiavitù e il 29 novembre 1889 Bakhita fu dichiarata ufficialmente libera.
Nel 1902 fu trasferita a Schio dove prestò servizio come cuoca, sacrestana e aiuto infermiera nel corso della prima guerra mondiale, e infine come portinaia. Gli abitanti di Schio presero in simpatia questa insolita suora di colore che aveva modi gentili, una voce calma e il volto sempre sorridente e la ribattezzarono con il nome di “Madre Moreta”.
Su richiesta della superiora generale dell’ordine, Bakhita venne intervistata e la sua storia venne pubblicata nel 1931 nel libro “Storia Meravigliosa”.
Le tappe dei suoi viaggi la portarono nel 1937 e nel 1939 anche a Lavis, dove soggiornò al Convento delle Suore Canossiane a palazzo de Maffei. Da parecchi decenni a Lavis l’Istituto delle figlie di Carità Canossiane aveva un proprio convento e operava al servizio della Comunità gestendo la scuola materna e la scuola di lavoro femminile.
Nel 1885 infatti il palazzo storico, conosciuto come De Maffei e di proprietà della famiglia de Rizzolli, per volere di Gioseffa figlia di Ferdinando de Rizzolli venne ceduto alle suore Canossiane. Dal 1856 fino all’anno 2011 furono ben 124 le religiose canossiane che si alternarono abitando le sale del palazzo e lavorando nella comunità di Lavis.
Il processo di canonizzazione iniziò nel 1959. Suor Bakhita venne beatificata da Papa Giovanni Paolo II il 17 maggio del 1992 e da lui stesso fu canonizzata il 1° ottobre del 2000. Prossimamente quindi anche Lavis renderà omaggio a Santa Bakhita ricordando il suo passaggio e il suo soggiorno nella borgata: ora manca solo la conferma della commissione toponomastica provinciale.
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