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Il bicchiere avvelenato e la tragica morte di don Giovanni all’albergo del tram di Lavis

LAVIS. Chi a Lavis entra oggi nel cimitero comunale detto della “Madonnina” vicino allo stradone di via Nazionale, non si accorge nemmeno di una tomba dimenticata, parzialmente cancellata e sguarnita dal tempo, praticamente nascosta dietro l’angolo della parte sinistra, quella verso l’adiacente via Alfieri.

Si tratta della tomba di famiglia di Giacomo Marconi e dei suoi avi, alla base della lapide c’è ancora ben visibile la foto di un sacerdote, nativo di Lavis, don Giovanni Marconi, scomparso tragicamente il 20 dicembre del 1934 in seguito ad un avvelenamento accidentale: ed è questa la storia che stiamo per raccontarvi.

Il braccio destro di don Celestino

1.Don Giovanni, 63 anni, era praticamente a riposo nel suo paese natio perché cagionevole di salute da qualche anno, non viveva in Canonica di via Roma, ma invece aveva una stanzetta al secondo piano di Palazzo Gislimberti (ora casa Melchiori), proprio di fronte alla Canonica. In quegli anni si può proprio dire che, oltre ai due cappellani diocesani, era proprio lui il braccio destro dell’allora arciprete-decano don Celestino Brigà. Faceva il catechista nelle scuole locali, a volte sostituiva anche qualche sacerdote titolare in giro per il decanato lavisano, collaborava nelle varie celebrazioni liturgiche locali, era un abile comunicatore e oratore, famoso per le sue prediche accalorate e a volte infuocate.

Era lui il celebrante ufficiale della Messa festiva delle ore 11, la “Messa cantada”, che allora era anche chiamata la “Messa dei siori…”. Predicatore impegnato appunto, la sua possente voce dal pulpito (allora non c’erano sicuramente i microfoni), coinvolgeva sempre tutti i fedeli che lo ascoltavano in ogni occasione con tanto interesse, apprezzandone le sue doti e le sue scandite parole, sincere, profonde e umane di sempre.

Il 28 ottobre 1934: benedizione del nuovo ponte sull’Avisio. Don Giovanni è dietro a don Brigà, sulla destra della foto

Nella vita parrocchiale

2.Prima però di tornare ai fatti tristi accaduti proprio alla fine del dicembre 1934, bisogna ricordare le varie manifestazioni nelle quali era stato coinvolto direttamente anche don Giovanni all’interno della vita parrocchiale di allora.

Aveva accompagnato l’arciprete don Brigà per la cerimonia di inaugurazione del nuovo ponte sull’Avisio, dedicato a San Giovanni Bosco, il 28 ottobre 1934. Quello stesso giorno erano poi stati benedetti anche il ponte da Nave San Felice a Nave San Rocco e quello di San Michele all’Adige.

Erano poi arrivate le Sante Missioni al Popolo per l’acquisto del Giubileo straordinario, organizzate dalla parrocchia lavisana, dall’8 e fino al 16 dicembre con grande partecipazione di fedeli e di predicatori specializzati giunti anche da fuori Trentino. Anche in quella occasione il nostro don Giovanni aveva dato una mano nelle varie celebrazioni, coordinando e lavorando intensamente insieme agli altri sacerdoti locali.

Le promesse

3.Di queste Missioni al Popolo, organizzate all’interno del Giubileo Straordinario del XIX Centenario della Redenzione, era stato ricordato più volte il contributo di don Giovanni per la buona riuscita delle celebrazioni di allora. I nonni di casa ci ricordavano ancora la voce tonante e decisa di don Giovanni durante la lettura delle “promesse” fatte al Cuore di Gesù, guidate e commentate anche da lui insieme a tutto il popolo presente in chiesa.

Erano ben sette i punti cruciali che riguardavano le promesse e cioè:

    1. l’immodestia e le brutture della vita e dell’abbigliamento;
    2. le tante insidie tese dalla corruttela alle anime innocenti;
    3. le profanazioni dei giorni festivi;
    4. le ingiurie esecrande scagliate contro il Signore e i Santi;
    5. gli insulti contro il Vicario in terra e il sacerdozio cattolico;
    6. le negligenze e gli orribili sacrilegi dov’era profanato il Sacramento dell’Amore;
    7. le colpe pubbliche delle Nazioni, che osteggiavano i diritti e il magistero della Chiesa Cattolica…

 

Queste promesse erano scandite chiaramente e dettagliatamente da don Giovanni, col suo modo di fare imperioso e coinvolgente allo stesso tempo, che piaceva a tutti i fedeli che stipavano la chiesa di Sant’Udalrico.


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La tragedia

4.E venne anche il tragico 20 dicembre, tre giorni dopo la conclusione delle Sante Missioni al Popolo, don Giovanni era stato impegnato durante tutta la giornata con ben due funerali da celebrare in parrocchia, avendo dovuto sostituire l’arciprete che era impegnato con le scuole locali e l’inizio delle vacanze di Natale.

Alla conclusione del secondo funerale, era quasi notte, si recò prima di andare a cena, a bersi un aperitivo all’Albergo Mosaner in piazza del Tram (oggi casa e negozio mobili degli Endrizzi). L’inserviente al banco, per un tragico scambio di bottiglie mentre stava facendo le pulizie del locale, invece del vino vecchio chiesto da don Giovanni, versò nel bicchiere dell’olio fumante (acido solforico per intenderci, il detergente per i bagni), che il povero sacerdote inghiottì in un attimo.

Stramazzò a terra tra i più atroci dolori, venne subito condotto dal medico e dopo i primi controlli e accertamenti, venne subito trasportato con un’automobile all’Ospedale di Trento. Dopo ben quattro ore di tentativi e trasfusioni, don Giovanni moriva quasi tra le braccia di don Celestino Brigà che lo assistette fino alla fine, gettando poi tutta la borgata e la diocesi in un profondissimo cordoglio.

L’Albergo Mosaner (al tram) dove avvenne la tragedia

I funerali

5.La salma venne poi trasportata a Lavis e accolta nella vicina San Lazzaro da tutta la popolazione accorsa, il mesto corteo si diresse poi alla chiesa di San Giovanni Nepomuceno (chiamata anche di Nostra Signora) a fianco del Municipio, dove venne allestita la camera ardente.

Il giorno seguente poi – come scrive don Brigà nelle cronache parrocchiali di allora – alle ore 9 ci furono i solenni funerali, con l’intervento di tutto il clero del decanato, di Monsignor Bortolini vicario generale della Diocesi di Trento in rappresentanza dell’Arcivescovo Endrici, delle autorità locali con in testa il podestà professor Francesco Mosca e naturalmente di tutto il popolo addolorato, incredulo e commosso.

Un fatto increscioso

6.Per il fatto di avvelenamento all’interno dell’Albergo Mosaner, le indagini furono subito avviate dalle forze dell’ordine e dai Carabinieri locali. Risultata poi la negligenza, nella presenza sul banco del detergente per le pulizie insieme alle bottiglie di vino vecchio e l’accidentalità del fatto increscioso accaduto all’interno di quel locale pubblico, non ci furono procedimenti verso singoli o verso nessuno dei titolari dell’esercizio.

Sta di fatto però, che sia il bar prima e l’intero albergo successivamente, passati alcuni mesi dalla tragedia, andarono lentamente verso la chiusura con la cessazione completa di ogni attività!

Giovanni Rossi

Giornalista, scrive per "Vita Trentina". Per decenni è stato il corrispondente da Lavis per "L'Adige". Memoria storica e appassionato di cinema, ha lavorato come tuttofare per il Comune di Lavis fino alla pensione. Scrive per "Il Mulo" dopo essere stato una delle colonne del giornale digitale "La Rotaliana".

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