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Lavis, quante leggende raccontavano i nonni sul “Monte Pristol”

LAVIS. In ogni paese dove esistevano castelli più o meno importanti, di foggia strana e diversa, poi magari diroccati dagli acciacchi del tempo e degli anni, le mamme ma specialmente i nonni raccontavano una volta ai bambini riuniti intorno al grande focolare domestico, le fantastiche storie e le leggende dei castellani e della loro vita errabonda e piena di avventure.

Racconti dal passato

1.Una di queste, alla quale i più grandi di casa ricorrevano in più occasioni anche per far zittire i numerosi figli e nipoti, era sicuramente quella del signore e castelliere di Monte Pristòl, la maestosa e bella costruzione che negli anni antichi sovrastava il primo insediamento di “Avisium”, poi divenuto “Lavis” nel corso dei secoli.

A seconda poi di chi raccontava le storie, anche con più o meno fantasia degli altri di casa, le vicende fantastiche si allungavano o si accorciavano secondo l’usanza del tempo disponibile, mutando addirittura ambiente e magari modificando di volta in volta anche il finale, per accontentare l’uditorio più o meno interessato e accalorato che c’era intorno.

Una storia che andava per la maggiore e che veniva richiesta in ogni occasione propizia alla nonna o al nonno di turno, era senz’altro quella ambientata al tempo dei Longobardi, penetrati in Italia e poi anche nella nostra zona intorno all’anno 568. Erano rimasti qui da noi per oltre due secoli, lasciando anche sul territorio lavisano diverse vestigia con ricordi assai importanti, oltre alle tracce del loro passaggio, addirittura anche alcune parti di villaggi riaffiorati nel corso di scavi effettuati sulla zona del Pristòl Alto.

La vecchia torre sul Doss Paion

La storia del castellano

2.Questa, in sintesi, la storia che ci veniva raccontata, riveduta e corretta a seconda dei narratori o delle narratrici di allora…:
Il Dinasta sul Castello di Monte Pristol era allora un signore cattivo e terribile, di fiero carattere ma di modi assai aspri. Era il terrore dei sudditi ai quali faceva provare quotidianamente ogni sorta di angherie e di soprusi.

Era naturalmente temuto ma anche odiato da tutto il circondario, sul colle lambito dalle acque dell’Avisium e fino ai primi masi-roccaforti che si stagliavano nelle parti alte, prima ma anche dopo Pressano.

Sua moglie era invece una creatura angelica e bella, buona, mite e pia, il vero amore per tutti gli abitanti di quei luoghi e anche nelle vicinanze.

Il conte Romualdo – questo era il suo nome – visse per alcuni anni, felici e tranquilli, in piena pace e concordia con la sua amabile e adorata consorte Esmeralda; ma col tempo che passava divenne oltremodo sospettoso,geloso e anche crudele verso la compagna dei suoi giorni più belli.

Giunse anche ad invaghirsi di una ragazza appartenente alla famiglia che abitava vicino alla costruzione del “Doss dei Canopi”, poco distante dalla zona antica detta della “Clinga”, perse completamente l’affetto alla sua legittima sposa e per un certo periodo di tempo corse anche la cavallina con la sua nuova avventura sentimentale.

Divenuto poi vecchio, più per i vizi che per l’età anagrafica, il conte iniziò a segnare un certo squilibrio mentale, tanto che vagava spesso e volentieri in giro per i boschi del circondario, sempre in preda ad ossessioni e a tristi pensieri. Romualdo perse un giorno la strada del ritorno a palazzo, agitato e disperato vagò per l’intera zona, incontrando poi un vecchio eremita che, seduto davanti alla sua modesta abitazione ricavata in un anfratto di roccia ai piedi di Maso Rover, stava considerando attentamente, girando e rigirando, il cranio di un morto che gli serviva anche come soprammobile durante le sue meditazioni quotidiane.

Il castellano si avvicinò subito all’eremita e gli chiese sprezzante e in tono di scherno: “che cosa pensi di scoprire, vecchio fannullone che non sei altro, in quella testa da morto?…“

“Mi sto chiedendo – gli rispose subito il vecchio eremita guardandolo con severità – se questo cranio appartiene ad un castellano oppure ad un povero mendicante…!”.

Dopo tali parole, ritenute un offesa personale, Romualdo levò la spada dal fodero e trafisse il povero eremita, il quale prima di morire esclamò: “Ti perdono, ma tu non avrai più pace su questa terra!”.

E questa triste predilezione si avverò in pieno, il castellano diventava sempre più cattivo e intrattabile con tutti. La buona Esmeralda pregava sempre per il suo misero consorte; ma costui diventava sempre peggiore, sempre più selvaggio e crudele, abbandonato sempre di più da Dio e dagli uomini che lo fuggivano come un dannato, come un appestato.

L’ira del degenerato si rivolse anche contro la moglie e una sera tornando al castello, la vide inginocchiata nell’atrio davanti al grande crocifisso di famiglia. Preso da furore satanico brandì la spada e colpì a morte la sua sposa fedele, fuggendo poi e ululando come una belva attraverso i campi ed i boschi verso la Val di Cembra.

Da quel giorno il vecchio castellano pazzo visse sempre da selvaggio, vagando continuamente per i monti, nascondendosi nelle caverne e nelle grotte, mangiando ogni tanto qualcosa che trovava, proprio per non lasciarsi morire di fame. Vestito di stracci, con capelli e barba foltissimi, alto, pallido, dimagrito fino all’impossibile, era diventato il terrore della zona e di tutti i suoi abitanti. Il suo incontro era sempre presagio di disgrazie a non finire e di maledizioni per tutti.

Dopo una serie di anni passati così miseramente, arrivò finalmente anche per lui la morte, che però non si seppe mai come fosse avvenuta e in quali circostanze. Gli abitanti del Pristòl, anche per dimenticarlo e cancellarlo completamente, demolirono poi tutto il castello, lasciando solamente la base di una torre rotonda, quella rivolta verso le terre alte di Pressano.

Nelle sue fondamenta poi, a stretto contatto con la roccia, uno degli ultimi suoi servi rimasti andò a seppellire le spoglie mortali del suo padrone.

Il castello incompiuto dei Ciucioi

Il fantasma di Esmeralda

3.Passarono gli anni e i secoli inesorabilmente e le leggende si moltiplicarono e crebbero ancora intorno a quel promontorio che sovrastava la nuova Lavis. Nelle vicinanze era intanto stato costruito un altro castello-giardino chiamato dei “Ciucioi”, la sua vita fu però breve e ben presto cadde in rovina dopo la tragica morte del suo proprietario-costruttore.

Pronti però anche per questa occasione i nonni del circondario riuniti con i nipotini ai piedi del Pristòl , nel raccontare anche la storia dei “Ciucioi” la quale aveva naturalmente un legame storico-affettivo con quella di “Castel Pristol” . Si narrava del vento che tutte le sere iniziava la sua cantilena tra le grosse crepe del castello rimasto incompiuto. Sembrava – dicevano i nonni modificando anche la voce – che il vento stesse inseguendo qualcuno o qualcosa, qualcuno che non era più tornato in quei posti leggendari.

E tra un sibilo e l’altro, sembrava anche di udire come un richiamo che veniva da lontano, lontano… E poi nelle notti di luna piena, i più fortunati potevano anche ammirare una sagoma inconfondibile che camminava sui verdi sentieri costeggianti il castello. La figura aveva le sembianze di una giovane e leggiadra fanciulla dai lunghi capelli e da un magnifico vestito nel quale si riflettevano persino le stelle.

Forse – si diceva in quei frangenti – era la bella Esmeralda, ancora innamorata del cattivo castelliere di Monte Pristòl.


LEGGI ANCHE: Il giardino e castello dei Ciucioi a Lavis: tra storia e leggenda, in attesa della riapertura


La cartolina del Comune

Un ricordo dal Pristòl

4.Ancor oggi chi visita la spianata del “Doss Paion” può trovare i segni inconfondibili e i resti di una torre rotonda che spunta tra i sassi e i rovi. E’ quello che è rimasto in ricordo ai lavisani del tragico destino del castelliere cattivo di “Monte Pristòl”!

E per concludere, proprio in questi giorni il Comune di Lavis ha avviato un percorso partecipato per la rigenerazione urbana del Pristòl e per il recupero della memoria storica di questo leggendario quartiere. Si tratta di “Una Cartolina dal Pristòl” e tutti quanti possono scrivere un ricordo che li lega al Pristòl e alla sua memoria indimenticabile, forza e coraggio quindi e lasciaci il tuo ricordo…

Giovanni Rossi

Giornalista, scrive per "Vita Trentina". Per decenni è stato il corrispondente da Lavis per "L'Adige". Memoria storica e appassionato di cinema, ha lavorato come tuttofare per il Comune di Lavis fino alla pensione. Scrive per "Il Mulo" dopo essere stato una delle colonne del giornale digitale "La Rotaliana".

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