LAVIS. Oggi è un “semplice torrente” che caratterizza il paesaggio e, in un certo senso, condiziona la vita degli abitanti. In passato ha dato, con le alluvioni, non pochi problemi agli abitanti di Lavis. Dall’altra, però, ne ha pure garantito lo sviluppo economico e commerciale muovendo mulini e le numerose segherie.
Ma in passato, in quello remoto dove il confine fra la storia e leggenda è labile, sottile, offuscato dalle nebbie dei tempi, il torrente era, forse, un qualcosa di puramente spirituale; forse una divinità al femminile. Tutto ha origine da una serie di ritrovamenti archeologici, in siti e in luoghi con una valenza sacra, nei pressi di corsi d’acqua. Si tratta, nello specifico, della famosa sìtula ritrovata a Cembra nella prima metà del XIX secolo e di un corno di cervo votivo rinvenuto a Tarces di Malles in Val Venosta: sono reperti risalenti alla civiltà retica, in un periodo quindi precedente a quello che vede i romani conquistare l’arco alpino
Il mondo pagano, e nel nostro caso quello retico e celtico, fonda la propria essenza su un sistema religioso legato al venerare gli elementi naturali come manifestazione di un qualcosa di spirituale e divino. Con l’affermarsi del cristianesimo tale aspetto comincia ad essere ostacolato dalla chiesa. Nel 452 d. C il sinodo Arles, infatti, condanna coloro che venerano gli alberi, le sorgenti e le pietre. Scrive T.W. Rolleston in, I miti celtici, che «le fonti sacre, la cui acqua è ritenuta capace di guarire le malattie, sono ancora assai comuni in Irlanda, e da questo punto di vista, nonostante l’adorazione da pare della Chiesa, il culto dell’acqua di Lourdes può essere considerato un caso esemplare per quanto riguarda l’Europa continentale»1.
Nelle popolazioni nordiche e celtiche, quindi, l’acqua ha un significato divino e sacro. Un significato divino che arriva fino ai giorni nostri attraverso alcuni riti cristiani, come il battesimo, e le acque sante di molti santuari cristiani. Ed è presso i corsi d’acqua, laghi e sorgenti che spesso sono venuti alla luce antichi reperti che testimoniano l’antico culto ancestrale nei confronti dell’acqua.
Uno di questi è proprio la sìtula di Cembra, datata al IV secolo a.C (di età retica), che tramanderebbe fino ai giorni nostri uno dei testi sacri retici più lunghi e completi:
A questo proposito lo studioso Ferruccio Bravi scrive: «Lavisa e Felevene sono aggettivazioni riferite ad una stessa divinità nel duplice aspetto infero e creativo-vegetativo. La sìtula è quindi un’offerta funebre con riferimento alla sfera generativa cui l’acqua e i prodotti della terra appartengono».2.
La famosa sìtula di Cembra fu trovata sul Doss Caslir a Cembra nel 1828 da Simone Nicolodi durante alcuni scavi. Successivamente divenne di proprietà del podestà di Trento Benedetto Giovannelli. Il reperto fu trovato intatto all’interno di una “grotticella” rivestita di pietra: e questo fa pensare ad un luogo di culto.
Nell’articolo I ritrovamenti archeologici di Cembra nel quadro dell’antico popolamento della Valle, del 1994, Franco Marzatico è cauto sull’interpretazione della scritta: «se le sigle alfabetiche riportate sull’orlo e sul manico della sìtula corrispondono a dei suoni noti, in quanto il locale alfabetico retico di Sanzeno a cui si riferiscono è derivato come detto da quello nord-etrusco, per quanto concerne invece il significato complessivo dell’insieme delle scritte si deve riconoscere l’attuale incapacità della ricerca a dare delle risposte sicure. Vi è dunque uniformità di vedute solo nella translitterazione della scritta sul manico che è intesa “laviseli”…»3.
Nel 1979 Maria Grazia Tibiletti Bruno (Direttore del Dipartimento di Studi Linguistici e Orientali, per il triennio accademico 2002/2003-2004/2005 dell’Università di Bologna) trova però nelle iscrizioni presenti sulla sìtula i nomi di due offerenti e di un destinatario dell’offerta. Gli offerenti sono un uomo e una donna.
Per quanto riguarda “laviseseli”, scrive: «si potrebbe pensare che si trattasse del santuario di una divinità così chiamata, o nell’occasione di festa in suo onore: infatti a Tarces di Malles si ha un’iscrizione nella quale a lavis.iel un certo riviselxu, preparò l’oggetto, cioè il pezzo di corono di cervo. Pertanto laviseseli, lavises e lavis.iel potrebbero essere tutte forme esprimenti rapporti diversi con una divinità lavise»4.
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