Il mio canto alla Luna: cinquant’anni fa l’impresa che ha cambiato la storia dell’umanità

Poche date hanno segnato la storia dell’umanità come quella del 20 luglio 1969.

Quel giorno, nell’attimo in cui Neil Armstrong ha posato il suo piede sulla luna ed ha detto la sua celebre frase “Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un gigantesco balzo per l’umanità”, si sono chiusi molti capitoli della storia umana e si sono aperte nuove frontiere.

La corsa allo spazio

Dal punto di vista politico, in piena guerra fredda, gli Stati Uniti e l’Occidente misero la parola fine alla corsa per la conquista dello spazio, cominciata nel 1961 con il viaggio intorno all’orbita terreste di Jurij Gagarin e continuata negli anni successivi con una sfida vertiginosa all’inseguimento del primato e del prestigio che in quegli anni aveva una valenza particolare.

L’iniziale supremazia dell’allora URSS in pochi anni era stata annullata e nonostante sia stato solo il caso, o la fortuna, a portare un americano a passeggiare per primo sul suolo lunare, questo moralmente diede agli Stati Uniti una consapevolezza ed una supremazia che non venne più colmata dal blocco sovietico e che condizionò pesantemente i decenni successivi.

Il Capitano Armstrong

Dal punto di vista geografico venne abbattuta una barriera che fino a pochi anni prima sembrava insuperabile. L’uomo aveva conquistato il globo terreste pressoché in ogni suo angolo e la voglia di nuove sfide lo portò ad osare quello che sembrava impossibile.

Il Capitano Armstrong, novello Colombo, guidò il suo equipaggio e la sua caravella, l’Apollo 11, dove nessuno prima era arrivato e dove pochi pensavano si potesse arrivare.

Con questa missione per la prima volta il blocco occidentale mise da parte contrasti, nazionalismi e divisioni e, unito, accompagnò la navicella nella sua discesa sul suolo lunare. Questo fu possibile anche grazie ai progressi nelle tecnologie di comunicazione che avevano permesso di diffondere nelle case di tutti le televisioni e la diretta dell’evento.

In diretta

L’Italia, così piccola, così lontana tecnologicamente e geograficamente da quella navicella, fu portata a bordo dall’appassionata telecronaca e dal battibecco dei giornalisti Ruggero Orlando e Tito Stagno, divenuti celebri per noi quasi quanto i tre astronauti.

Nessuno osava fiatare o muoversi quasi temendo che il minimo movimento nelle nostre case potesse cambiare la rotta o sbilanciare quel curioso e piccolo scatolotto che stava per atterrare.

La nostra musa

Ma la conquista della luna ha avuto anche riflessi meno eclatanti, più intimi e personali.

Fin dalla notte dei tempi l’uomo ha sempre alzato lo sguardo al cielo cercando nell’infinito spazio profondo risposte a domande che la ragione e la scienza non sono in grado di dare. E nel nostro cielo la luna ha sempre avuto una posizione privilegiata.

Per l’uomo la luna è stata un elemento misterioso, è stata una dea da venerare, è stata espressione della creazione divina, è stata guida per i viandanti e per i navigatori, è stata musa ispiratrice per poeti e pittori e per gli innamorati di tutti i tempi. È stata sogno, desiderio e fantasia.

La fine del sogno

Con quell’impronta lasciata sul suolo lunare esattamente cinquant’anni fa, forse tutto questo ci è stato portato via. Poco importa che qualcuno sostenga che quello sbarco in realtà non ci sia mai stato, perché nella memoria collettiva la luna è oramai diventata qualcosa di reale e tangibile.

La luna ha perso il suo fascino misterioso ed è diventata semplicemente un ammasso di sabbia e rocce che ruota intono alla Terra. Nessuno di noi probabilmente ci andrà mai, ma nella nostra testa sappiamo che è già conquistata e adesso già guardiamo oltre, in una ricerca perenne. È la natura umana.


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L’eterno secondo

Dopo la missione dell’Apollo 11 l’uomo è arrivato sulla luna altre cinque volte ma queste sono state relegate dalla storia ad un ruolo di secondo piano. Anzi, se chiedessimo come si chiama l’altro astronauta che ebbe la sfortuna di uscire “solo” per secondo dal modulo lunare, pochi si ricorderebbero il suo nome.

L’eterno secondo, colui che ha contribuito a fare la storia ma che dalla storia è stato quasi dimenticato, è Buzz Aldrin. Quasi nessuno poi ricorda il nome del terzo astronauta che rimase in orbita, Michael Collins.

Venuti in pace

La figura di Michael Collins per noi italiani dovrebbe anche avere una valenza particolare in quanto ha portato nello spazio un pezzo d’Italia. L’astronauta infatti è nato il 21 ottobre del 1930 a Roma, perché il padre all’epoca era un militare statunitense che prestava servizio presso l’ambasciata americana nella nostra capitale. Ma anche questo è stato dimenticato.

L’equipaggio dell’Apollo 11 lasciò sulla luna una targa per commemorare lo sbarco. Sulla targa sono raffigurati i due emisferi terrestri con la scritta “Qui, uomini del pianeta Terra posero piede sulla Luna per la prima volta, luglio 1969 DC. Siamo venuti in pace, per tutta l’umanità”, con le firme dei tre astronauti e dell’allora Presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon.

Verso altre imprese

Si è trattato di un’impresa titanica, ai limiti, e forse oltre, le capacità e le conoscenze scientifiche e tecnologiche dell’epoca, ma la sorte ha voluto che l’uomo riuscisse a compiere quel “grande balzo”.

Dopo le missioni Apollo (Apollo 17 nel 1972 fu l’ultima missione che portò altri uomini sulla luna), i programmi spaziali hanno accantonato l’idea di portare altri equipaggi sul nostro satellite ma la natura umana ci ha fatto sollevare la testa ancora più in alto e volgere lo sguardo verso l’infinito.

Ci sono altre imprese da compiere, c’è la storia da scrivere.
Quale sarà la prossima frontiera?

Daniele Donati

Nato a Trento nel 1972, laureato in Economia Politica all'Università degli studi di Trento. Impiegato commerciale è appassionato di economia e di storia. Attualmente è vicepresidente dell'Associazione Culturale Lavisana.

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