LAVIS. Giovedì 25 luglio, in serata, in consiglio comunale a Lavis si è discusso la proposta della Lega di intitolare ad Andreas Hofer il parchetto di via Rosmini. Attualmente l’area verde viene comunemente chiamata parco delle RoSe: il nome deriva dall’incrocio fra le vie Rosmini e Segantini, ma non è mai stato ufficializzato.
La proposta è stata respinta, perché secondo la maggioranza ci sono luoghi più adatti per ricordare questo personaggio storico. Ma chi era Andreas Hofer e perché se ne torna a parlare oggi a Lavis? Cerchiamo di fare un passo indietro.
Qualcosa di simile esisteva già nell’antica Roma, quando ai traditori era riservata la damnatio memoriae. Tutto quello che li riguardava veniva cancellato, come se non fossero mai esistiti. In quel caso la condanna era alle singole persone, ma fa ben capire quanto sia radicata nella storia umana la tendenza a cancellare la storia dei nemici. In un senso o nell’altro. Avete presente i volti di Mussolini cancellati a Lavis?
Ancora oggi gli esempi di un utilizzo politico della storia sono comunque innumerevoli. Non è per forza un male, ma si corre un rischio molto concreto. Quello di vivere il passato indossando le lenti deformanti del presente: non tanto per conoscere quello che è successo, ma per usarlo oggi in maniera strumentale. Il risultato è spesso una semplificazione che accontenta i politici e inorridisce gli storici.
Quel giorno finì la storia secolare del Sacro Romano Impero: Francesco II divenne Francesco I, imperatore d’Austria1. L’accordo prevedeva fra le altre cose la cessione del Tirolo (compresa la parte italiana, ovvero l’attuale Trentino) ai bavaresi. Era una decisione calata dall’alto, motivata da semplici ragioni contingenti: la Baviera aveva fornito a Napoleone un corpo d’armata di trentamila uomini per Austerlitz. Il Tirolo era una sorta di premio concesso ai bavaresi per la loro fedeltà.
Il dominio bavarese riuscì comunque a portare un vento di modernità nella regione, accelerando riforme3 che per molti aspetti erano già in atto sotto il dominio asburgico4. Per i bavaresi portare delle novità era molto semplice, per il modo in cui governavano i loro territori, puntando a uno:
“Stato centralizzato, moderno ed efficiente, teso a cancellare privilegi di ceti, corporazioni ed enti intermedi per realizzare la parità civile e rivendicare solo al vertice la fonte del potere”5
Un modo di agire molto vicino alla “riattualizzazione napoleonica” della rivoluzione francese, ma molto lontano dai desideri di autonomia delle valli tirolesi. Le riforme toccarono innanzitutto l’amministrazione della giustizia, con il venir meno di vari potentati locali.
Ma anche l’ambito finanziario e commerciale, con provvedimenti riguardanti la monetizzazione, la lotta all’inflazione, la limitazione dei dazi interni e la soppressione di compagnie monopolistiche. L’ambito medico, con l’introduzione del vaccino contro il vaiolo. L’ambito dell’istruzione, con l’obbligo per i professori di sostenere gli esami di idoneità all’insegnamento nelle università. Ma anche con il controllo sui libri scolastici (compresi i catechismi). L’ambito dell’arredo urbano, con l’illuminazione notturna delle strade6.
Fu proibita la messa di mezzanotte a Natale, limitate le funzioni e le processioni religiose. Si pose un freno anche al suono delle campane. I religiosi non potevano avere contatti con l’estero senza l’autorizzazione: neppure con la sede apostolica, per esempio per le questioni inerenti il diritto ecclesiastico7.
Nel 1808 fu imposta la coscrizione militare obbligatoria, accolta con disappunto soprattutto nel Tirolo tedesco, ma che non mancò di riscaldare gli animi anche delle suscettibili vallate trentine8. La leva militare durava due anni, durante i quali gli uomini – fra i 18 e i 60 anni – erano costretti a lasciare i campi.
Nel settembre dello stesso anno, il re di Baviera affidò al Consiglio comunale il compito di tenere i registri di nascita, matrimonio e morte (prima erano curati dalle parrocchie). Anche se il provvedimento era coerente con la politica bavarese, fu comunque letto come “una nuova intromissione nella sfera di azione della Chiesa”9.
In breve si unirono alla rivolta anche le valli trentine: di Fiemme e Fassa, di Non e Sole, oltre ai distretti della Valsugana. Fra il 20 e il 23 aprile le giubbe bianche dei regolari austriaci entrano a Trento. Con loro c’erano le compagnie contadine guidate da un oste e commerciante della Val Passiria: Andreas Hofer10.
“una vera e propria guerra ideologica, una ‘guerra di religione’ per la difesa e conservazione di quei valori tradizionali del cattolicesimo che la popolazione, sia tedesca che italiana del Tirolo, vedeva minacciati dal giacobinismo rivoluzionario e dal riformismo illuminato del governo bavarese”11.
In realtà, al momento dello scoppio dell’insurrezione, si trovarono a fronteggiarsi idealmente, su fronti opposti, trentini diversamente schierati. Da un lato i contadini, abituati a un “intreccio fra religione e patriottismo” e a una “incondizionata fedeltà all’Imperatore austriaco”. Dall’altro lato i nuovi ceti dirigenziali di città. Erano uomini e donne che non avevano grandi simpatie per i bavaresi. Allo stesso tempo, guardavano però con orrore alle rivolte popolari12.
Girolamo Graziadei, un esponente del patriziato trentino, scrisse:
“È indicibile la confusione e l’orrore che incuteva questa gente disperata ed ubbriaca, sempre disposta a qualunque eccesso, il che fece vegliare la notte più d’uno per essere pronti alla difesa delle proprie case”13.
Nell’aprile, ci furono i primi scontri fra le truppe bavaresi e gli insorti tirolesi: prima a Ladritisch e a Sterzing (10 e 11 aprile). La battaglia di Sterzing è particolarmente significativa, perché fu decisa in piena autonomia da Hofer. La sollevazione tirolese è ricordata con toni epici, anche perché si caratterizzò per la sua vasta indipendenza strategica.
Gli insorti riuscirono a ottenere importanti vittorie nei dintorni di Innsbruck e ad Hall. In breve, senza la necessità di un appoggio decisivo delle truppe austriache, la maggior parte del Tirolo era insorto e si era liberato.
Dopo le vittorie ad Aspern ed Esslingen, l’imperatore Francesco I si impegnò formalmente a non sottoscrivere alcun trattato di pace che non prevedesse la permanenza del Tirolo nell’impero austriaco14. In realtà, la promessa venne smentita pochi mesi dopo.
L’esercito napoleonico si era infatti ormai riorganizzato. Il 13 maggio Napoleone occupò Vienna. Il 12 luglio l’arciduca Carlo fu costretto a chiedere un armistizio a Znaïm15. E così, con i trattati di Schönbrunn del 14 ottobre, l’imperatore rinunciò ancora una volta al Tirolo.
Nel novembre, un Andreas Hofer sempre più isolato, abbandonato anche dal governo viennese, ottenne le ultime vittorie nei pressi di Merano e nella sua val Passiria. Costretto ormai alla fuga, fu infine tradito dal tirolese Franz Raffl e catturato nella notte tra il 27 e 28 gennaio 1810. Sarà condotto a Mantova, giudicato da un Consiglio di guerra francese, condannato a morte e fucilato il 20 di febbraio.
Era la fine dell’insurrezione del Tirolo, l’unica sommossa popolare favorevole agli Asburgo16. Il territorio trentino tornò nelle mani delle armate francesi. Il 28 febbraio del 1810, con il trattato di Parigi fra Francia e Baviera, fu quindi annesso al Dipartimento dell’Alto Adige e al Regno italico, con Milano come capitale. Ma questa è un’altra storia.
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