LAVIS. Per i lavisani di un tempo il termine “Paion” ha da sempre avuto due significati. Si dice “sul Doss Paion” per indicare il colle storico che sta sopra Lavis e il Pristòl. E si dice “ sul paion” per indicare quello che i nostri vecchi utilizzavano come un materasso, confezionato al suo interno con le foglie secche del grano turco. Era un grande sacco che, specialmente nelle famiglie contadine, si usava nel letto al posto degli odierni materassi moderni. Era cucito con la tela di canapa, molto resistente e veniva poi riempito abbondantemente di foglie secche recuperate in campagna.
Solo alla fine del ‘700 anche nelle terre di Lavis, al posto delle foglie si usavano invece i cartocci (sfoiazzi) del granoturco, abbondanti in inverno dopo le serate di filò. Nel saccone c’erano due larghe fessure fatte lungo i due lati. Permettevano di penetrarvi con le mani per ravvivare e accomodare periodicamente il contenuto, distribuendolo poi uniformemente per l’intera superficie del saccone, chiamato anche storicamente “paglione” dagli antichi scrittori-autori nostrani. Ecco quindi nelle case di quei tempi l’eterno dilemma “vago a paion”, “vago sul paion”, “vado a dormire sul Paion sotto le stelle”…!
Ma noi, abbandoniamo intanto la tradizione storica del tempo passato, parlando invece del Doss Paion. Un posto da riscoprire per salubri, simpatiche passeggiate e scampagnate familiari, come una volta organizzate periodicamente e puntualmente. Il dosso del Paion sovrasta quasi paternamente Lavis con le sue pendici scoscese, i suoi anfratti non certo impegnativi da raggiungere e riscoprire. La sua cima un tempo era assai popolare e molto frequentata.
Era chiamato dal popolino di allora “il salotto del paese”, era assai popolare ed era la meta anche di passeggiate romantiche di molti lavisani di un tempo. Ma in modo speciale dei “pristolani” che lo avevano lì a due passi e sopra la testa.
La storia locale, anche da alcune pergamene in latino, ci ha tramandato chiaramente che su quel colle esisteva, da tempi antichissimi, anche un ardito castelliere che dominava incontrastato tutta la zona dell’allora “Avisium” . Scavi, non proprio recenti, eseguiti da studiosi e storici della Provincia, hanno poi reso ulteriore testimonianza, portando anche a diversi ritrovamenti archeologici che hanno confermato, in parte, questa storia.
Sono state molte le escursioni che nell’immediato dopoguerra e fino ai primi anni ’50, hanno entusiasmato l’intera generazione appassionata, che era coinvolta in tutto quel tempo e periodo felice. Si arrivava sul posto agognato, naturalmente sempre a piedi, normalmente salendo dal 3° Vicolo del Pristòl e fino alla simpatica casa dello “zio baffo Ricchetto”. Poi ci si dirigeva arrancando sulle famose “scalette” che portavano direttamente fino al curvone con la strada provinciale della Val di Cembra.
Da qui si saliva ancora per altri scalini di porfido consunto e logorato dal tempo, sui lati le campagne collinari degli Andreatta e dei Gadotti e più in su, dopo la casa “dei cavai”, quelle dei Giovannini e ancora avanti la stradina che imboccava direttamente alla base del “Paion” e precisamente nella zona base detta da sempre dei “castagnari”.
Per molti, ragazzini e giovanetti, questa era la prima vera base di partenza, il quartier generale per innumerevoli giochi, molto in voga negli anni passati. Si giocava alternativamente a guardie e ladri, ai banditi del far west, alla teleferica e agli esploratori. Altri invece più impegnati, costruivano le capanne di fresche frasche, emulando poi anche le gesta di Tarzan – Johnny Weissmuler, visto più volte in bianco e nero sullo schermo del Cinema dell’Oratorio.
Gli intrepidi invece, quelli della camminata facile, tranquilla e inarrestabile – veri artefici e fondatori futuri poi della Sat lavisana – proseguendo verso il maso Franch, imbocavano la stradina sulla destra che costeggiava il promontorio e che li portava direttamente alla sommità del “Paion” vero e proprio. Si arrivava così sulla spianata erbosa che formava un vero e proprio grande belvedere e dal quale si poteva ammirare , in lungo e in largo, tutta la borgata lavisana ai piedi della Paganella.
Verso sud invece si potevano ammirare le antiche vestigia del caratteristico castello dei Ciucioi, allora al posto delle serre c’erano solo viti e pergolati dappertutto, in fondo poi la piazza Loreto con il ponte di ferro per San Lazzaro.
E su quella grande e spaziosa spianata del “Doss Paion” si poteva fare proprio di tutto! I bambini lasciati in libertà assoluta, potevano assalire e prender possesso di tutta quanta la zona, giocando tranquillamente. Gli adulti invece – genitori e accompagnatori – potevano dedicarsi ai passatempi preferiti: letture, fotografia o partite al pallone.
Altri invece, praticando il riposo assoluto e con l’indifferenza totale da tutto il resto, prendevano la tintarella standosene sdraiati sull’erba fitta e fresca di rugiada.
Di allora sul “Paion” è rimasto solamente il ricordo delle belle passeggiate feriali e festive, quelle con la “Colonia diurna” e con i cappellani dell’Oratorio, il tutto in spedizione avventurosa e coinvolgente per quelli anni intensi.
Ma c’è però chi si ricorda ancora oggi la gare stagionali di tiro a volo, il cosiddetto “tiro al piattello”, che era organizzato allora con dedizione ed impegno dalla Associazione dei Cacciatori di Lavis presieduta dal dinamico e simpaticissimo Valeriano Massarelli.
Era uno spettacolo nello spettacolo, per tutti i ragazzi e ragazzini seduti a circolo intorno ai provetti tiratori, che con il loro fucili da caccia miravano ai piattelli, sparati da una apposita macchinetta con lancio automatico, appunto verso il cielo della zona sopra gli alberi dei Ciucioi.
C’erano tra gli spettatori, giovani e non più giovani, chi faceva anche la conta sui piattelli centrati in pieno, ma anche sui tiri andati a vuoto e che quindi il piattello si era salvato, cadendo tra gli alberi o sui cespugli intorno.
Apposite “squadre” volontarie perlustravano attentamente la zona sottostante e le sue pendici, guardando sui rami e nei cespugli. Anche perché i piattelli che risultavano ancora sani si potevano riutilizzare per altri tiri, mentre ai “recuperanti” venivano elargite anche dieci lire a piattello, era anche un affare insomma… divertendosi!
In conclusione poi, il pubblico poteva godere e partecipare alla merenda di fine gare. I cacciatori distribuivano a tutti i presenti, ragazzini compresi, la tradizionale “micheta” o la “ciopeta“ con la mortadella, insieme al vino di casa per i grandi e le aranciate allungate con l’acqua per i piccoli…!
Il Dosso è anche ricordato come base logistica della grande croce illuminata tutte le notti in occasione della Madonna Pellegrina dal 1949. Era stata messa in opera e posata dai Vigili del Fuoco di Lavis guidati da Silvio Odorizzi e Aurelio Obrelli, illuminata e collegata poi alla linea elettrica della STE di Maso Franch dall’elettricista di allora, l’Andrea Fava.
Oggi intanto, il “Paion” è sempre lì e se ne sta a guardare, in basso verso il suo paese, attorno alle sue pendici sono arrivate anche alcune casette e anche qualche costruzione moderna. La sua spianata è in attesa di “novità” logistiche. Si parla di una strada che dovrebbe arrivare dai Ciucioi e collegata fino a piazza Loreto. Dovrebbe esserci anche un nuovo belvedere sulle pendici dell’ex vascone dell’acquedotto comunale.
Intanto però, oltre alle segnaletiche installate per i “turisti” nostrani, all’inizio della spianata è rimasto solo ed abbandonato il vecchio supporto in cemento degli anni ’50, quello che sosteneva la macchinetta lanciapiattelli. Il cimelio, un rudere di tante battaglie, che ricorda i bei tempi del Paion e le gare del tiro al volo. Di quando nelle case vicine si diceva, è tardi vado sul “paion” (intendendo il letto), altri invece si aggiravano… la frittata dicendo, vado a dormire sul Paion, sul Doss Paion, sotto le stelle delle estati lavisane di un tempo felice, in mezzo al verde e al canto delle cicale…!
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