LAVIS. Don Celestino Brigà (1877-1961) è stato un grande uomo, oltre che un sacerdote e un personaggio di Chiesa. Il suo curriculum ha inizio ancora nel 1903, il giorno della sua ordinazione sacerdotale. Prosegue poi fino all’8 maggio del 1961, il giorno della sua dipartita, nel paese natale di Enguiso in Val di Ledro.
Don Brigà è stato arciprete-decano a Lavis per ben 34 anni. È secondo solo a don Pietro Sicher di Coredo che è rimasto come parroco di Lavis per 40 anni suonati, esattamente dal 28 gennaio del 1860 e al 18 marzo del 1900.
Naturalmente era stato accolto festosamente da una vera moltitudine di gente, non solo di Lavis ma anche dai paesi del decanato. Erano presenti al gran completo tutte le autorità fasciste di allora, con molti giovani e bambini. C’erano i “balilla” e le “piccole italiane” nei loro tradizionali paludamenti allora di moda.
Don Celestino mise da subito in chiaro la sua natura antifascista. Suo malgrado, fu costretto a sentirsi ripetere per ben sette volte l’inno di “Giovinezza” dalla Banda dopolavoristica neocostituita. Avvicinandosi alla chiesa arcipretale, il nuovo arrivato sbottò e agli organizzatori intimò che la smettessero con quella “Giovinezza”. Disse di cambiare musica, intonando lui stesso il “Noi vogliam Dio”, seguito poi dall’intera Banda musicale…
Nel suo primo discorso al popolo espose il suo programma e le sue intenzioni di lavoro tra i lavisani. La sua linea era evidente: voleva spendersi a favore dei più deboli, degli emarginati e degli oppressi. A scanso di equivoci e di fraintendimenti di ordine “politico”, scandì a voce alta e perentoria le ultime frasi del suo discorso, tra la soddisfazione di tutti quelli che gremivano la chiesa all’inverosimile!
2.Don Celestino Brigà era nato a Enguiso in Val di Ledro il 14 novembre del 1877. Ordinato sacerdote nel 1903, fu per due anni cooperatore a Civezzano e per altri cinque a Mori. Dal 1911 passò ad Avio e quindi a Rovereto in San Marco, con l’incarico di assistente degli studenti e di direttore di quell’Oratorio.
Nel 1914, scoppiata la guerra, si recò in Austria e in Ungheria con l’incarico speciale di assistere tutti i soldati italiani degenti in quegli ospedali. Nell’inverno del 1914-15, si occupò anche dell’assistenza dei soldati ammalati a Rovereto. Nel maggio del 1915, entrata in guerra l’Italia ed evacuata Rovereto, accompagnò i profughi nell’interno. Per 15 mesi rimase con loro, spostandosi insieme nelle varie località: Tirolo, Salisburgo, Austria, Boemia, Moravia, Stiria e altre.
Nell’agosto del 1916 ottenne finalmente un lasciapassare per il Trentino e si fermò a Mezzolombardo dove incontrò anche il decano di Mori. Ammalatosi di tifo, don Celestino rimase fino a tutto novembre nell’Ospedale militare di zona.
L’inverno 1918-19 fu nuovamente a Rovereto. Lì ottenne l’incarico di presidente del Comitato profughi della città e dintorni. Dal marzo e sempre nella città della quercia, venne poi nominato catechista degli Istituti Magistrale e Tecnico.
Nel 1922 la Curia trentina lo pregò di andare a Mori ad aiutare il suo vecchio ex decano. Nel 1923 venne nominato, per volontà dell’amministrazione provinciale di allora, direttore responsabile dell’Istituto Nazionale dei disadattati di Vadena.
Nel settembre del ’24 venne trasferito a Trento come catechista dell’Istituto Tecnico e del Liceo Scientifico. Nell’estate del 1925, dopo innumerevoli sue richieste ai superiori, ottenne finalmente la cura d’anime dell’Arcipretura di Vallarsa. Prima però di prenderne possesso ufficiale, dovette sostituire per alcuni mesi il catechista del Ginnasio Liceo e il parroco italiano di Merano.
La scelta di un nuovo parroco per Lavis, come si seppe in seguito da qualche suo confratello, mise ai quei tempi in seria crisi l’intera Curia di Trento compreso l’Arcivescovo mons. Endrici. Praticamente nessuno dei “papabili” per la guida della parrocchia e del decanato lavisano voleva accettare l’incarico, a causa delle traversie e delle persecuzioni passate da don Mosna per colpa dei fascisti locali.
Don Celestino era stato tenuto come carta vincente. Era stato l’unico ad accettare l’incarico, di buon grado, ma anche per obbedienza al suo Vescovo, che lo avrebbe poi definito come “l’uomo giusto al posto giusto”…
In realtà rimase però ancora del tempo con i suoi lavisani. Quando dovette abbandonare la canonica di via Roma, perché erano iniziati i lavori di restauro in vista dell’arrivo del nuovo arciprete don Luigi Zadra, si trasferì con la sua fedele nipote Lina in un’abitazione di via Paganella, nella nuova casa dei fratelli vetrai Gottardi.
Don Celestino venne ricordato in quell’omelia come «un sacerdote pieno di coraggio, ma anche di tanta coraggiosa generosità, che seminò tesori di bene nelle anime che ebbero la grazia e la fortuna di avvicinarlo».
Concepì l’apostolato sacerdotale come vera e propria attività sociale primaria, tutta tesa al bene del popolo locale, ai suoi problemi e alle sue attività di allora. Una vera e propria “missione” la sua. Molti lo definivano come “un uomo tutto d’un pezzo” e ancora oggi i non più giovani lo possono senz’altro testimoniare.
Notorio antifascista sui generis, venne più volte diffidato dalle “cosche” locali e anche richiamato dai gerarchi in molteplici occasioni. Naturalmente era sull’elenco dei “sorvegliati perché pericolosi” del PNF (Partito nazionale fascista) di Trento.
È rimasta all storia quella sua frase, tra l’ironico e il faceto, rivolta ai fascisti lavisani e ai gerarchi e federali di Trento mandati “ in missione” in canonica a Lavis:
«Se le organizzazioni cattoliche di Lavis sono impenetrabili al fascismo, la causa principale si deve ricercare solamente nella condotta dei dirigenti del fascio lavisano».
È da ricordare senz’altro anche come antesignano dell’intera cooperazione locale e sociale. Era in prima linea per l’Asilo Infantile, la Cantina Sociale, la Casa Acli e l’Oratorio, in modo speciale dopo la seconda guerra mondiale. Furono infinite le sue organizzazioni parrocchiali, territoriali e decanali: la Madonna Pellegrina, le ripetute Sante Missioni al popolo, la cospicua attività missionaria anche in ricordo del suo ex primo cappellano don Sisto Mazzoldi poi diventato Vescovo.
Fu merito suo il risveglio di tutte le attività nell’ultimo dopoguerra e anche la realizzazione della nuova Via Crucis per la chiesa arcipretale. Con don Celestino l’Oratorio risorse in tutti i sensi e in quell’edificio rifiorirono e si potenziarono anche tutte quelle attività che in paese mancavano da parecchi anni.
L’idea, anche se c’è ancora il progetto originario nell’archivio parrocchiale, non si poté concretizzare per svariate ragioni. Don Celestino portò con sé nella tomba questo sogno, come molti altri che aveva nella testa.
Di lui è rimasto però il solco tracciato con maestria e competenza in questi 34 anni di guida pastorale. Se poi a Lavis esistono certe strutture e certe opere irrinunciabili, è solamente merito suo e della sua lungimiranza nel tempo.
Rimangono anche i suoi diari giornalieri scritti e redatti con passione giornalistica sin dal suo ingresso a Lavis. Sono una vera e propria enciclopedia storica, non solamente di fatti ed eventi ecclesiali e comunitari, ma anche di rara storia contemporanea, non esclusivamente locale, ma anche nazionale e del mondo.
Nei lavisani che lo conobbero e lo stimarono fino all’ultimo, rimane per don Celestino la riconoscenza filiale e affettuosa. La sua figura nobile e prestigiosa sarà sicuramente difficile da dimenticare …
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