LAVIS. Ormai sono passati più di cinquant’anni da quell’autunno del 1966: quando in varie zone d’Italia si visse la paura delle alluvioni, del fango e delle frane. Chi ha vissuto quei giorni a Lavis, ancora oggi ricorda il rumore dell’acqua e le vibrazioni che sul ponte sembravano quasi un terremoto.
L’Avisio portava con sé tronchi e sassi, in una marcia che sembrava inarrestabile. E faceva sempre più paura: con il pericolo che il torrente esondasse, travolgendo l’intero paese.
Negli ultimi giorni di ottobre e nei primi di novembre, la pioggia aveva ripreso a scendere, praticamente senza interruzioni. Aveva dato un po’ di tregua soltanto il primo del mese, giorno della festa dei Santi, quando si era intravisto un timido sole. Ma i terreni, ormai, non riuscivano più ad assorbire l’acqua, tanto erano zuppi.
«Un po’ dovunque nella nostra provincia si son visti, per la furia scatenata delle acque, argini rotti, ponti travolti, strade e ferrovie interrotte, campagne sommerse o addirittura erose e asportate, acquedotti danneggiati, inquinamenti d’acque, frane e smottamenti di terreno, negozi, magazzini, cantine, officine e anche abitazioni allagate con danni enormi a merci, riserve alimentari, macchine e attrezzi, combustibili, ecc., automobili posteggiate sulle strade sommerse o portate via dall’acqua, case danneggiate o addirittura abbattute e asportate, funzionamento del telefono e fornitura di luce e di gas ridotti o resi impossibili, isolamento non solo di singole case, ma di frazioni, di interi paesi, di intere vallate, (…) e, quello che è più doloroso, anche numerose vittime».
La cronaca si può leggere, giorno per giorno, dai giornali del tempo. Sono testimoni diretti di quello che succede: anche perché pure le rotative del quotidiano L’Adige finirono sotto l’acqua del fiume. I giornalisti riuscirono comunque a continuare il loro lavoro, dando alle stampe il giornale in un formato straordinario, più piccolo, simile a un bollettino comunale:
«Amici lettori – scrivono il 6 novembre del 1966 –, nonostante quest’ora anche per noi dura e difficile, abbiamo voluto uscire egualmente in edizione di emergenza per recarvi le principali notizie del giorno dedicate all’alluvione».
E il racconto è quello di una calamità come non si ricorda a memoria d’uomo. Anche perché ormai erano passati 84 anni da un evento per molti aspetti simile: l’alluvione del 1882. Che però, come si dice in questi casi, è tutta un’altra storia (che forse un giorno vi racconteremo).
«Inizia la cronaca dell’alluvione che colpirà Trento. Fu una giornata lunghissima, caratterizzata dall’apprensione crescente per ciò che stava accadendo: una folla sempre maggiore e sempre più preoccupata si ammassava lungo gli argini del fiume. Non è solo l’Adige a destare preoccupazione. Il torrente Fersina, ingrossato all’inverosimile, è arrivato a lambire il piano viabile del ponte dei Cavalleggeri: enormi ondate hanno costretto le autorità a chiuderlo al traffico.
L’acqua si è inoltre riversata in via Gocciadoro, rendendo necessario l’intervento dei pompieri che hanno fatto sgomberare con i barconi i piani più bassi. Anche il rio Salè è straripato. Il rio Sant’Agata è fuoriuscito, allagando Povo e Oltrecastello. Cognola è investita dalle acque che scendono a valle e San Donà è ormai un torrente in piena. Impressionante è la progressione con la quale aumenta il livello dell’acqua al ponte San Lorenzo: da 1,90 metri delle sei del mattino ai 6,30 metri delle ore dieci della sera stessa. È un livello mai raggiunto: nel 1882 era stato registrato a 6 metri e 11 cm, nel 1965, a settembre, si era raggiunta quota 6,05. Si calcola che se l’Adige non fosse tracimato sarebbe arrivato a 6,45 metri. (…)».
A nord della città, i bidoni della Sloi – la fabbrica che una decina di anni dopo diventerà tristemente famosa per un terribile incendio – esplosero a contatto con l’acqua. Per una reazione chimica, quei bidoni diventarono come petardi, i cui boati si sentivano anche a distanza.
Ma a Trento nord, sulla statale del Brennero, c’è anche una delle vittime dell’alluvione. Vittorio Andreatta era un giovane meccanico, nel 1966 aveva solo 29 anni. Lui, che aveva una giovane moglie e una figlia, annegò nel tentativo eroico di salvare la vita a un conoscente. Era di Lavis, aveva un’officina a Pressano ed era stato anche segretario della sezione locale del Partito socialista.
La mente torna al 1966: i Zeni si erano appena sposati. Nei primi giorni di novembre, quando la pioggia inizia a scendere copiosa e l’Avisio a fare davvero paura, vivono in affitto in una casa di Lavis costruita proprio sugli argini del torrente. In una via che, ironia della sorte, si chiama “4 novembre”. Lì hanno trovato il loro primo nido d’amore.
Ma è soprattutto l’Avisio a terrorizzare, con il suo rumore assordante, il vortice che sembra inghiottire le roste. Luciano Zeni ricorda quei momenti:
«Il quattro novembre ho portato mia moglie a San Michele, perché dicevano che lì era più sicuro rispetto a Lavis. Intanto in paese già circolavano le notizie di quanto stava succedendo a Trento, dove l’Adige aveva iniziato a straripare. Io e mio cognato siamo andati a vedere cosa accadeva alla Sloi, dove c’erano i bidoni che esplodevano».
«Sono riuscito a togliere l’auto, poi l’edificio ha iniziato a collassare, piano per piano».
Più in basso, rispetto al suo appartamento, vivono due anziani e sono rimasti bloccati. Non possono uscire, perché la porta non si apre. I vigili del fuoco formano una sorta di catena umana e riescono ad arrivare fino alla soglia dell’appartamento. Con un’ascia aprono un varco e li mettono in salvo.
La cosa crollerà definitivamente verso mezzanotte, portando via con sé un pezzo di un altro appartamento. Ma l’acqua trascinerà via con sé anche tutto quello che c’è dentro: beni materiali e ricordi. Compresa una foto che ritrae Bruna e Luciano appena sposati.
«Eravamo sposati da metà giugno del 1966 e a novembre siamo rimasti senza nulla. Poi, fra mille peripezie, abbiamo ripreso la nostra vita. La primavera dopo è nata la nostra prima figlia: insomma siamo sopravvissuti e ci siamo rialzati. Ma ancora oggi, ogni novembre, il pensiero torna a quei giorni»
A quando tutto sembrò crollare, sotto la forza del torrente.
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AGGIORNAMENTO: In una prima versione di questo articolo era riportato che l’officina di Vittorio Andreatta era a Pressano, come indicato da un giornale del tempo. In realtà, si trovava in via Pressano, l’attuale via Rosmini, quindi a Lavis. Ci scusiamo per l’errore.
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