ZAMBANA. «Era stato un autunno particolarmente piovoso»: inizia così il racconto di chi con la memoria torna ai drammatici giorni di fine novembre 1955, giorni che scombussolarono la tranquilla vita degli abitanti di Zambana.
Il piccolo paese che sorge su un conoide ai piedi della Paganella ha origini molto antiche. Ci sono ritrovamenti in zona che risalgono al mesolitico (riparo di Vatte), resti di una necropoli retica e reperti di epoca romana. Da Zambana passava un’importante via di comunicazione che, attraverso la Valmanara, collegava la Valle dell’Adige con la Val di Non.
Il paese, da sempre vocato all’agricoltura, dopo le bonifiche di metà Ottocento è diventato noto in tutta la regione, ma anche nei paesi confinanti, per la produzione degli asparagi. Nel 1925, con la costruzione della funivia Zambana-Fai della Paganella inaugurata dal generale Umberto Nobile, ci fu un rilancio anche in chiave turistica del piccolo centro abitato.
Il legame con la montagna è molto profondo e insieme problematico. Da sempre gli abitanti di Zambana hanno dovuto convivere con scariche di pietrisco e torrenti d’acqua che precipitavano dalla parete est della Paganella. Per limitare questi pericoli nel 1935 gli abitanti del borgo avevano deciso di costruire in Val Manara una diga di sbarramento lunga 40 metri. Ma i fatti dell’autunno del 1955 erano destinati a passare alla storia.
Il 7 settembre di quell’anno un enorme diedro si staccò dalla montagna, precipitò a valle e, spinto dal fango e dalla pioggia battente, travolse la diga, minacciando la stazione a valle della funivia e le prime case del paese. Volontari, vigili del fuoco e uomini del genio civile raggiunsero Zambana per monitorare la situazione e incanalare le acque del rio Secco e del rio Maor.
L’esercito, con potenti fari, continuava a scandagliare anche di notte la parete della Paganella che sembrava ancora pericolante. Il 25 novembre un altro enorme diedro si staccò dalla Paganella.
«Sembrava fosse sostenuto dalla luce del faro – ci racconta una testimone – ma ad un certo punto la forza di quella luce non fu più sufficiente. E così vedemmo la massa di roccia staccarsi e cadere».
Nel trambusto generale i civili furono caricati sui camion militari e allontanati.
«Una mamma in preda al panico mi mise in braccio la sua bambina sul camion dei soldati e corse verso casa per recuperare chissà che cosa», racconta ancora Elsa, che abitava in una delle poche case che non furono danneggiate. A seguito di questo evento il 27 novembre venne ordinato un primo sgombero. I quasi 700 abitanti di Zambana furono costretti a recarsi da parenti e amici o nelle strutture messe a disposizione dalla Provincia a Fai della Paganella.
La maggior parte dei bambini e dei ragazzi venne invece mandata nei collegi degli istituti scolastici di Trento. Il dramma di Zambana però non era ancora finito. Nella primavera dell’anno successivo le abbondanti piogge crearono una massa di detriti e fango che a più riprese raggiunse e travolse gran parte del paese. Dopo la frana del 16 aprile 1956 solo la chiesa e poche case, tra cui la scuola e l’asilo, erano rimaste in piedi.
Il 10 luglio del 1957 intervenne anche il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi che con un decreto dichiarò il paese di Zambana inagibile e non abitabile. Contestualmente iniziarono i lavori di costruzione dell’abitato di Zambana Nuova in zona “Aicheri” su una superficie di 22 ettari ceduti da Comune di Lavis.
In realtà alcuni nuclei famigliari non abbandonarono mai il vecchio paese e altri se ne aggiunsero nel corso degli anni, facendo diventare Zambana Vecchia un paese fantasma. In un giornale dell’epoca, un giornalista particolarmente ironico scrisse che «esiste addirittura una disposizione secondo la quale chi voglia recarsi a Zambana Vecchia deve farsi scortare da due carabinieri, come se la Paganella al cospetto delle divise rinunziasse a far rotolare i suoi massi».
Questa condizione di tollerata clandestinità perdurò fino a luglio del 1985 quando a seguito della tragedia di Stava la Provincia decise di chiudere questo capitolo per evitare un’altra tragedia di vite umane. La volontà espressa dai politici di Trento era quella di allontanare definitivamente tutti i residenti e di radere al suolo tutti gli edifici. Iniziò una lunga battaglia fra gli abitanti del paese fantasma e i politici e tecnici della Provincia.
Alla fine prevalsero la volontà e l’attaccamento al proprio paese dei “zambanoti” e la Provincia finanziò una serie di interventi per mettere in sicurezza l’abitato di Zambana Vecchia.
Nel 1991 vennero finanziati la costruzione di un vallo protettivo e il consolidamento della parete pericolante.
Già nel 1993 l’allora sindaco di Zambana, Fabio Bonadiman, poté emettere una nuova ordinanza che consentiva la residenza nella zona classificata come geologicamente sicura.
Da allora sono stati fatti altri lavori minori di messa in sicurezza. Lentamente il centro abitato di Zambana Vecchia ha ricominciato a vivere e a crescere. Recentemente è tornato attuale anche il progetto di ripristino della vecchia funivia per il collegamento fra Zambana Vecchia e Fai della Paganella.
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