“San Nicolò da Bari,
la festa dei scolari,
la festa dei putei…
Sona tuti i campanei.”
Questa vecchia filastrocca risuonava un tempo per le vie di Lavis e dei paesi circostanti, la sera del 5 dicembre, giorno che precede la festa di San Nicola. Era quasi un preludio, per molte parti del Trentino, di momenti festosi ben più importanti come il giorno di Santa Lucia o il giorno di Natale, da sempre deputati alla gioiosa distribuzione di doni ai bambini.
Spostarsi qualche chilometro più a nord il timido scampanellio si trasforma tutt’oggi in una notte “magica” evocatrice di misteri e paure ancestrali, in cui si scontrano potentemente il male ed il bene. Alla fine, diciamo all’alba appunto del sei dicembre, il bene trionfa cacciando le tenebre e i fantasmi della notte e lasciando regali e dolci per i bimbi più buoni.
Il bene è personificato in San Nicolò (Sankt Nikolaus per la lingua tedesca), figura importantissima per il culto cattolico, probabilmente collegato storicamente ad un vescovo di Myra, in Asia minore, vissuto durante il V secolo. San Nicolò indossa sempre l’abito talare, porta la mitra (il classico copricapo vescovile e cardinalizio) e tiene in mano un grande pastorale, il bastone ricurvo simbolo del potere vescovile.
Il Santo usa distribuire caramelle e sacchettini contenenti dolci ai bimbi. A volte può essere accompagnato da angeli. Sempre è accompagnato o preceduto da un chiassoso corteo simbolizzante il male. Il male è rappresentato dai Krampus (figure simili ai Cavezai della Valle di Cembra), sorta di figure diaboliche spesso munite di campanacci e sempre dotati di particolari “frustini” composti da fasci di rami, coi quali terrorizzano e percuotono chiunque capiti loro a tiro. I Krampus indossano spesso grosse maschere mostruose sormontate da corna, oppure lunghe parrucche nere e la faccia sporca di fuliggine ed emettono urla spaventose e suoni gutturali.
A Lavis la mattina del 6 dicembre San Nicolò faceva visita ai bambini dell’asilo portando piccoli doni e promuovendo il bene. Vestito di rosso e con la barba bianca (simile all’attuale Babbo Natale) era aspettato con ansia da grandi e piccini. La tradizione di origine ottocentesca fu mantenuta dalla signora Carmela Merlo e si interruppe nel 1961 quando queste ricorrenze vennero ritenute “non necessarie”.
Tutti ricevevano qualcosa (mele, noci o caramelle) che l’anziano santo vescovo, qualche volta aiutato da un’angelo, estraeva dalla sua grande gerla. A scuola finita i più grandi, andavano a suonare i campanelli cantando questa filastrocca: “San Nicolò da Bari, la festa dei scolari, la festa dei putei, che i sona i campanei“.
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