LAVIS. Sabato 4 maggio 2013 veniva inaugurato il giardino della casa di riposo “Giovanni Endrizzi” di Lavis, che nasceva dalla campagna ex proprietà di Francesco Rossi, stimato e conosciuto lavisano doc.
Dopo gli interventi di rito delle autorità locali e provinciali, ho voluto ricordare – con alcune mie riflessioni – il legame speciale e profondo mio e di tutta la mia famiglia con quei campi, un tempo ricchi di vigne e di alberi, di ortaggi e di frutta, di piacevole ombra, dei giochi e della letizia di quando eravamo fanciulli.
La loro funzione continua tuttora e lo spazio esterno acquisito con il loro utilizzo da parte della struttura per anziani è motivo di conforto, di riposo e di serenità nella fase del tramonto di tante vite. Ora, su ilMulo.it, ripropongo le parole di allora.
I campi iniziavano in fondo al cortile di terra battuta, che era il teatro dei nostri giochi, degli schiamazzi, degli incontri e delle liti di noi bambini. Quando iniziava la lunga stagione estiva, ancora mezzo assonnati, scendevamo impazienti la scala con i gradini di pietra ed il corrimano di ferro battuto per correre nella libertà, nella frescura e nel verde della nostra campagna, in mezzo alle viti ed agli alberi da frutto, con gli animali da cortile: conigli, galline, qualche anatra, piccioni e porcellini d’India, insieme agli immancabili gatti ed ai vari cani succedutisi negli anni, da Pucci primo fino all’ultimo Pucci, passando per Alba, Pluto e Rocky.
Non eravamo solo noi cinque sorelle Rossi più fratello a scorrazzare in questo mondo libero, ma tanti altri amici del vicinato, nostri compagni di gioco e d’avventure.
La campagna era accogliente come i nostri genitori; c’era posto per tutti, l’importante era stare assieme senza litigare e senza mettersi nei pericoli. Quante corse, quanti strilli di disappunto o urla di gioia, quanti scoppi di ilarità o richiami impauriti quando scendeva il buio e noi ci attardavamo ancora a giocare nelle calde serate estive!
C’erano tante lucciole e per noi era sempre una magia stringere nelle nostre manine quegli insetti così insignificanti mentre li tenevamo prigionieri ma che poi, una volta liberati, portavano le loro piccole luci danzanti nell’oscurità; c’erano tanti nidi ed uccelli, tante piccole creature e anche qualche scorpione e qualche innocuo serpentello, che però ci faceva subito favoleggiare di veleno e di pericoli in agguato.
Ad inizio estate gustavamo le fragole, le “peratole di San Pietro”, le ciliegie marasche, poi l’uva bianca di Sant’Anna, di seguito le prugne, le pesche, i fichi ed infine, nell’autunno malinconico con la ripresa della scuola, l’uva nera ed i cachi.
E durante tutta la bella stagione, la mamma cucinava un gran varietà di verdure offerte dall’orto, dai “fasoleti” all’insalata, ai succosi pomodori alle zucchine, ed ancora sedano, carote, barbabietole, patate. Certamente, oltre ad offrire a noi bambini un luogo ideale per i nostri svaghi, i campi fornivano un importantissimo contributo all’economia famigliare, mentre ci facevano assaporare la gioia e lo straordinario privilegio di una vita a contatto con la natura.
Papà ci parlava delle proprietà e delle caratteristiche delle piante, ci insegnava a riconoscerle e a curarle; mamma, con il suo esempio quotidiano, ci portava con naturalezza ad avere amore e rispetto per le creature viventi, anche le più piccole, anche per quelle che magari ci incutevano paura.
I nostri genitori sono stati davvero capaci di farci sentire – come era giusto essere – riconoscenti per tanti doni: per la fresca “ora” del Garda, che puntuale ogni pomeriggio faceva stormire i nostri alberi, per il sole, per la salute, per le piante generose per le nostre “galinote” che ci scodellavano tante uova saporite, per la buona terra che faceva crescere tanti utili ortaggi, per il sole che faceva maturare i frutti e l’acqua che ristorava il terreno.
In fondo ai campi, dove c’era la “cavezara”, una rete un po’ sgangherata, appoggiata ad un muretto basso e corroso dal tempo, divideva il nostro mondo da quello dei vecchietti ospiti della casa di riposo: i “vecioti del Ricovero”.
Spesso noi bambini guardavamo incuriositi quel mondo così vicino ed insieme così lontano dal luogo spensierato dell’infanzia; la vecchiaia, la malattia erano cose che non ci riguardavano, noi eravamo vitali, belli, pieni di curiosità e di gioia di vivere … Di là c’erano Olga, Raffaele, Luigina, Romolo e Remo, il falegname Giovanni, il generoso Paolo, il “Bepi minestra” spesso vestito di bianco, volti ed immagini di una realtà che ci vedeva solo spettatori.
Qualcuno degli ospiti coltivava la campagna del Ricovero, allora grande e produttiva, altri si occupavano delle “bestie”, le mucche allevate ed utilizzate anche per i lavori agricoli; c’erano poi le suore di Maria Bambina ad assistere malati ed anziani (in particolare io ricordo suor Luigina infermiera e suor Maria, grassa e placida cuoca).
Allora la casa ospitava anche un reparto di maternità e pure la camera mortuaria, l’alfa e l’omega dell’esistenza.
Gli anni sono passati, tanti cambiamenti sono intervenuti, tante persone care se ne sono andate al di là e al di qua della rete in fondo alla campagna (tra queste la nostra cara sorella Bruna che per anni ha lavorato al Ricovero).
Ora i nostri campi sono passati di mano, saranno spazio e polmone vitale per la casa di riposo che un po’ alla volta si è ampliata ed è cresciuta sul verde che un tempo la circondava. Noi ci auguriamo che la felicità che ha abitato questi luoghi, che la vitalità, la laboriosità, l’amore di tante persone che qui hanno vissuto possano continuare a riversarsi come un’energia buona e pulita nel nuovo contesto e possano contribuire a creare nuova armonia, serenità e benessere per gli ospiti e per i visitatori della nuova struttura.
Campi buoni,
ricchi di doni e d’ogni meraviglia,
del tesoro nascosto sottoterra
fatto di petali di rose
nascosti dietro un vetro colorato
e di veri tesori
appesi ai rami delle piante
e offerti da una natura prodiga e affettuosa.
Campi abitati
da una bella famiglia di umani, erbe ed animali
campi amati e lasciati
dove ora rimane
la nostra piccola scintilla
d’eternità.
Luisa Rossi
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