LAVIS. Nella prima puntata abbiamo iniziato un viaggio nello spirito dei tempi in cui visse don Grazioli. Abbiamo visto come il Trentino stesse vivendo un periodo di grandi contraddizioni e cambiamenti. Ma non solo. Era l’intera Europa a vivere nell’incertezza: con popoli che avevano deciso di prendere in mano il loro destino, spinti dal sogno della rivoluzione.
Avevamo anche anticipato che la polizia austriaca aumentò i controlli su quegli «uomini indiziati di tendenze liberali». Nel generale clima di sospetto, anche il clero trentino finì spesso sul banco degli imputati. Furono comunque rari i casi in cui, da indagini più o meno approfondite, si passò a un vero e proprio provvedimento di arresto. Uno dei casi fu proprio quello di don Giuseppe Grazioli. In questa puntata inizieremo a conoscerlo un po’ meglio.
Prima puntata – Un prete di campagna e il suo tempo: venti di rivoluzione
Terza puntata – La fragile economia del Trentino di metà Ottocento
Quarta puntata – La storia nelle cronache e nei documenti
Quinta puntata – La storia del monumento
Questa sua caratteristica finirà con l’essere poi enfatizzata, in senso ovviamente positivo, dalla storiografia di epoca fascista. Lo storico Antonio Zieger, fra i principali storici locali degli anni Venti del Novecento, scriverà così, riferendosi proprio a don Grazioli:
Spiacque a costoro la leale franchezza di un uomo, adoratore dell’idea della patria per la quale egli sentiva «come una specie di idolatria» non composta di parole retoriche, ma compenetrata di opere proficue, di largizioni disinteressate, di vera benefica attività».Antonio Zieger
Basta leggere il diario che don Grazioli scrisse durante la prigionia e che oggi è conservato all’archivio della Biblioteca Comunale di Trento3:
Anche dalla presente scossa – (la rivoluzione, ndr) – soffre certo l’Europa tutta, ma riordinatasi la società io spero che si troverà un passo avanti; i popoli si troveranno in posizione di maggiormente svilupparsi, la sicurezza personale, l’eguaglianza in faccia alla legge ed altri beni saranno il retaggio dell’umanità tutta anziché di una classe privileggiata; e così come il temporale agita, scuote la natura, schianta anche ed abbatte degli alti alberi, delle vecchie torri, con fracasso e rovina, pure cessato è purgata l’aria, il cielo ride più sereno, e la natura pare ringiovanita, così sarà della società riordinata dal presente civil temporale che tanto la scosse ed agitò; l’umanità avrà fatto un passo nel perfezionamento morale».don Giuseppe Grazioli
I quattro ebbero dunque l’occasione di visitare tutta la penisola, recandosi sino a Napoli. Un divertente episodio, probabilmente inventato, ricorda come don Grazioli avrebbe scalato il Vesuvio, spingendosi troppo oltre sul cratere, tanto da «averne bruciacchiata la suola delle scarpe»5. È più serio il ricordo della visita a Roma, con le parole scritte da lui stesso:
I due grandi monumenti, cioè il Colosseo che indica la potenza di Roma, e San Pietro che indica quella dei Papi, in quei tempi che speriamo per sempre andati, non si cancelleranno mai più dall’anima mia».don Giuseppe Grazioli
Don Giuseppe Grazioli rimase impressionato nel vedere la ricchezza del Vaticano. E nel confrontarla con la povertà della sua gente e delle sue chiese. È possibile che siano nati qui, durante un viaggio, la sua affezione per gli ideali della rivoluzione, mischiati con l’amore per la cultura italiana?
La sua storia, praticamente dimenticata, è stata ricostruita negli anni Trenta dallo storico Tullio Panizza6. Carlo Stenico militò nel 1860 nell’esercito dell’Italia meridionale. Ma, per una serie particolari di circostanze, il suo ricordo andò perduto:
Amatissimo dalla famiglia, sentiva particolare affetto per la madre e il fratellastro don Giuseppe, che dal canto suo lo ebbe assai caro e lo educò al sacro culto della patria, incitandolo a servirla con ogni sua possa».Tullio Panizza
Dopo essersi arruolato volontario con i garibaldini, Carlo Stenico rientrò a Lavis negli anni Settanta dell’Ottocento:
Infatti i documenti ci raccontano che il giudice distrettuale di Strigno, De Maistrelli, si interessò particolarmente alla figura del cappellano. Fu lui a segnalare più volte «don Giuseppe Grazioli di Lavis» fra le persone «passionalmente attirate alla causa dei ribelli italiani», finendo per definirlo come «caldo e fanatico sostenitore della causa italiana». Le ripetute segnalazioni spinsero infine il capitanato circolare a rivolgersi all’Ordinariato vescovile, che indirizzò una dura lettera al cappellano, ordinandogli di raggiungere Trento:
Appena avuta la presente Ella dovrà tosto disporsi ad abbandonare la stazione da Lei occupata, venendo ciò richiesto dalle rincrescevoli circostanze, in cui Ella si trova per sua colpa.
Ella farà perciò in modo da lasciare Ivan Fracena al più tardo ai 31 del corrente. Vorrà poi recarsi immediatamente a Trento, e presentarsi all’Ordinato per conoscere le ulteriori disposizioni sul di Lei conto.
L’Ordinariato Le raccomanda quanto più può fervosamente di eseguire la sua partenza nel modo il più circospetto e prudente, e di procedere in guisa da non compromettersi maggiormente presso le Autorità.
Non potendo forse far eseguire entro il termine prefisso il trasporto di tutt’i suoi mobili, vorrà incaricarne qualche fidata persona, onde non debba per tale oggetto far ritorno a Ivan Fracena.
Confida l’Ordinariato, ch’Ella corrisponderà pienamente a questo invito.
Dall’Ordinariato P. Vescovile,
Trento ai 25 luglio 1848»Freinadimetz, vicario generale
Fui condotto in una prigione di detta polizia ove sdraiato su di un letticiuolo trovai il giovine Pietro Martini; io mi coricai sull’altro cagnaro vestito perché era sporcissimo, mi posi il fazzoletto da naso sotto il capo e quieto e tranquillo riposai quel tanto che la torma di pulci me lo permisero.
(…) La notte vegnente il Martini ed io accompagnati da un caporale che apparteneva alla polizia di Milano partimmo dal carcere per venire al veloce all’una (…).
Entrammo in un veloce noi due colla guardia, vestita da civile fuorché la berretta (…). La notte era placida e bella, serena, con plenilunio; io mi trovavo calmo e tranquillo, ma il povero Martini era agitato; oltre il triste Addio dato al vecchio padre e alla sorella che dolentissimi lo avevano lasciato la sera; aveva la madre che all’arresto del figlio, poveretta era caduta ammalata, e tre amorosi fratelli che lo avevano accompagnato fino alla carrozza; e poi mi pareva che il suo carattere non fosse de’ forti, e poco preparato all’affrontar le miserie umane –.don Giuseppe Grazioli
Povera creatura: aveva a tre passi sì fiera tempesta di Dolore, e non se ne accorgeva, forse sognava il mio ben’essere! Per lei mi commossi, per me ero perfettamente rassegnato».don Giuseppe Grazioli
Il capellano raggiunse infine Innsbruck, dove rimase in prigionia fino al 28 agosto, 14 giorni dopo, quando arrivò finalmente la notizia dell’amnistia, concessa dall’imperatore a tutti gli accusati di alto tradimento.
Cosa aveva spinto allora Innsbruck ad intervenire con tanta solerzia contro don Grazioli? Lo stesso curato, nel suo diario, avanzò un sospetto ben preciso. Il suo arresto era stata una vendetta, architettata dal decano di Strigno:
Se io fossi stato un vile, ed avessi incensato il D(ecano) ed il co(nte) e il suo agente, ed avessi detto che beneficavano il mio povero popolo quando invece se lo mangiavano vivo… io non sarei qui!».don Giuseppe Grazioli
Per ricostruire quelle vicende bisogna fare un altro piccolo passo indietro, e tornare al periodo fra il 1845 ed il 1847, ad Ivano Fracena. La questione al centro della discussione era l’ampliamento della canonica del paesino, fortemente voluta dal cappellano. Il Pola rifiutò di concedere il finanziamento della parte che gli spettava. Da un lato don Grazioli accusava quindi il decano di avarizia, dall’altro questi si difendeva, tacciando il cappellano di calunnia.
Io mi son ritirato in questo paesetto per servire con le mie forze la società, in pace e lungi da guerre e da imbrogli. Ma Ella è venuta a disturbare questa pace veramente beata, consolata dall’amore dei miei curaziani, e per non contribuire la parte che giustamente Le tocca a questa fabbrica canonicale. Mi fece e mi fa una guerra quanto più riposta e nascosta, altrettanto più accanita».don Giuseppe Grazioli
Una guerra che, stando a don Grazioli, si basò su un’«opposizione vile e bugiarda». Il prete si rifiutò di «soffrire tutto, senza aprir bocca!», ed anzi si dichiarò disposto a versare «tutto il sangue fino all’ultima goccia», per difendere i suoi ideali.
La vicenda dello scontro con il decano, in conclusione, non pare tanto interessante perché – stando almeno al sospetto di don Grazioli – avrebbe favorito il suo arresto nel 1848. Quanto piuttosto perché rivelò appieno la forte personalità del prete. Un carattere risoluto e ben deciso, o persino – come scriverà la storica Elisabetta Pontello Negherbon7 – «troppo schietto e impetuoso».
D’altronde anche il panorama storico era nel frattempo mutato. La rivoluzione non sarà certo scevra di conseguenze, ma le insurrezioni erano state placate un po’ ovunque. Il 2 dicembre del 1848 Ferdinando aveva nel frattempo abdicato, a favore del nipote diciottenne – Francesco Giuseppe – che rimarrà sul trono fino al 1916. È questo un periodo che taluni storici hanno definito come “controrivoluzione”, altri come “neoassolutismo”: «le vecchie élite sociali – scrive a proposito Roger Price8 – si erano presto riprese dallo sconforto iniziale provocato dall’apparente collasso delle esistenti istituzioni di governo, proprio perché possedevano un considerevole vantaggio che derivava da un senso di superiorità sociale e culturale, da consolidate posizioni nell’amministrazione pubblica e nell’esercito, e dall’esperienza politica».
Una petizione, con la firma di 46.000 cittadini favorevoli all’autonomia, venne approvata dal Comitato parlamentare il 14 febbraio 1859. Ma, ancora una volta, il provvedimento fu solo temporaneo. Francesco Giuseppe – fortemente contrario ad una revisione costituzionale – fece occupare l’aula dall’esercito e dichiarò la fine dei lavori. Anche i deputati trentini fecero ritorno a casa.
Diversi documenti ci provano come l’ammirazione per il cappellano fu diffusa anche in diversi ambienti culturali della regione. E non solo. Così, il «Circolo Sociale di Trento», in occasione dell’ottantesimo compleanno del sacerdote, gli scrisse una lettera:
Il Circolo Sociale di Trento nella modesta sua sfera d’azione condivide la gratitudine che nutrirono per Lei tutti i buoni cittadini, ed augura che Ella possa essere conservata ancora a lungo per il decoro e vantaggio della patria.»
Il Museo Civico di Rovereto, il 10 maggio 1885, inviò invece una lettera di ringraziamento per il sostegno fornito. Così, l’Accademia Australiana delle Scienze (con sede a Melbourne) nominò don Grazioli come membro onorario straniero, con il titolo di vice presidente. In una nota del 1883, si legge come il sacerdote consegnò al comune di Villa Agnedo una serie di libri – fra gli altri anche L’isola misteriosa di Giulio Verne – per la biblioteca locale.
È colla più viva compiacenza che adempio al gratissimo incarico di partecipare alla S.V. che questo Gruppo Pro-Patria nella sua plenaria seduta di ieridì ebbe ad acclamarla, dietro proposta del Sig. Francesco Dalmaso, a suo Presidente Onorario, volendo con tale deliberazione offrire alla S.V. una tenue testimonianza dell’affetto che sentono gli abitanti di Lavis verso il loro Benemerito Concittadino, e della memoria che conservano sempre vivissima dell’Illustre Patriotta.
Nella lusinga che la S.V. vorrà accogliere con animo benigno tale dimostrazione, col medesimo rispetto e devozione mi segno,
Dal Gruppo Pro Patria Locale
Lavis 28 aprile 1890
Il Direttoredott. Carlo Sette
Alla morte di don Grazioli (27 febbraio 1891), Carlo Dordi scrisse:
Ed io che lo visitai pochi giorni prima della sua morte rimasi non dirò meravigliato, ma profondamente commosso quando quel vecchio più che ottantenne colpito da lunga e totale cecità, affranto dal malore che doveva condurlo alla tomba, stringendomi la mano mi disse: “Procurate che il monumento di Dante sorga bello e grandioso nella vostra città a perpetua ricordanza del nostro amore per la bella lingua italiana ed a sfida contro tutti coloro che si attentassero di combattere in questo paese l’integrità che è il carattere indelebile impresso dalla natura e dalla divinità ad ogni nazione”.
In quel momento mi sovenne alla mente l’immagine poetica di quel cieco divin raggio di mente che brancolando abbracciava le urne degli avi e ne evocava la memoria ad onore e risorgimento della patria. E l’amore di patria fu veramente grande in don Giuseppe Grazioli, il quale se per esso ebbe a soffrire triboli ed angosce lo conservò vivo ed immacolato fino all’estremo sospiro.
Le nobili doti di don Giuseppe Grazioli non poterono rimanere ignote anche oltre alla cerchia del suo paese natio perché la virtù e la grandezza si impongono in tutti e perciò egli ebbe insigni onorificenze e nel suo eremo di Vill’Agnedo fu visitato più volte da illustri personaggi di ogni nazione; lontano però da ambiziosi pensieri egli accettava tutto con eguale affabilità e cortesia cercando la sua soddisfazione unicamente nella coscienza di avere bene operato per il proprio paese.
Troppo lungi mi condurrebbe il parlare delle virtù private di don Giuseppe Grazioli, della affabilità dei suoi modi, della semplicità dei suoi costumi che lo rendevano carissimo agli amici, i quali lo apprezzavano come padre, come fratello, come consigliero, come benefattore e per i quali la sua perdita fu meritata cagione di indimenticabile cordoglio.
Il secolo che sul suo principio vide nascere don Giuseppe Grazioli fu agitato per grandi avvenimenti, per concepite speranze, per amari disinganni; possa il secolo che sta per sopraggiungere trovare chi imiti gli esempi di quell’uomo veramente sublime ad essere così ferace di benefici frutti per la umanità e per la patria».Carlo Dordi
(Continua…)
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