LAVIS. La mia nonna Agnese oggi avrebbe 118 anni. Qualche giorno fa, abbiamo pubblicato la prima puntata dei suoi ricordi di guerra. Quella qui sotto – pubblicata proprio nel giorno della Festa della donna – è la seconda (e ultima) parte.
Questa storia inizia alla fine del 1944, quando anche su Lavis infuriava la guerra. Quando suonava l’allarme, si correva al rifugio sul Pristol, pur di salvarsi dalle bombe. La protagonista, nonna Agnese (che ha scritto questi ricordi), ai tempi era alla fine della gravidanza.
Uno di quei giorni, suo padre venne investito da un camion militare e si ruppe la rotula del ginocchio. «Tutta la notte facemmo al papà impacchi di acqua di piombo», ricorda. Ma il giorno dopo doveva compiersi il miracolo della vita: Agnese partì per raggiungere l’ospedale di Cles. Solo che la Trento-Malé venne bloccata prima da un camion militare e poi per la mancanza dell’elettricità, dopo un bombardamento.
Agnese riuscì infine a raggiungere l’ospedale, grazie all’aiuto di alcuni militari. Ma in maternità non c’era più posto. Elena, la nipote, doveva tornare a Lavis e Agnese la pregò di portarla con sé. Proprio in quel momento passò una suora.
«Aspetti che telefono io».
Dopo poco si rivolse a mia nipote, Elena:
«Lei ritorni a casa, vada in pace che il posto c’è».
Seguii la suora che mi portò in una camera dove rimasi per 5-6 giorni fino a quando non ci fu posto in maternità. Seppi più tardi che in quella camera mettevano le degenti convalescenti di tifo e in quel letto assegnatomi era appena morta una donna.
Per fortuna non ebbi alcuna conseguenza. Mi assegnarono poi una camera in maternità nel letto vicino alla finestra dove era stata la signora Isabella Tonon di Gardolo. Aveva partorito il suo bambino il primo di gennaio.
Io l’avevo conosciuta sul tram per Cles ed ora lei era ritornata a casa mentre io avevo ancora da partorire. Naturalmente la camera era gelata, avevamo solo un piccolo fornelletto elettrico a due candele. La finestra non si poteva mai aprire perché i vetri erano tutti gelati.
Io subito le dissi: «scriva Miriam che mi piace tanto». Ma una maestra che era lì vicina sussurrò: «Ma cosa fa signora a metterle un nome ebreo? Non pensa che Hitler ne trova ogni giorno una per sterminarli?». Ringraziai quella signora per avermelo fatto presente e dissi: «scriva Maria».
La domenica avevi cinque giorni e alla messa delle 11.00 fosti battezzata in parrocchia a Cles con il tuo bel nome. Vennero a prenderti i tuoi padrini che si erano gentilmente offerti: Perj Endrizzi e la sua fidanzata Maria, perché Elena che doveva tenerti a battesimo non era ancora arrivata a causa dei disguidi del tram. Era una giornata freddissima e quando ti riportarono sembravi di ghiaccio.
Al pomeriggio arrivò anche Elena con tua sorella Beppina e mi assicurarono che papà stava meglio e che assieme a Riccardo quando bombardavano lo portavano sempre in cantina. Così fra ansie e dolori passarono i giorni.
«meglio che vada a casa oggi, la curerà il suo medico».
Avendo il letto vicino alla finestra, le coperte erano sempre bagnate perché toccavano il muro. Quando veniva il sole, si scioglieva il ghiaccio sulla finestra. Il davanzale era sempre bagnato, così potevo lavarmi le mani e gli occhi, ma le coperte la assorbivano.
Fu questa la causa di una dolorosa flebite alla gamba sinistra che non potevo camminare a causa dei dolori.
Salutai tutta la camerata e la suora ti mise in braccio a un militare convalescente di tifo mentre io dietro lo seguivo zoppicante fino alla stazione. Quando arrivammo, il tram era già zeppo, ma mia cugina mi aveva tenuto il posto e così potei sedermi. Ci mettemmo in viaggio, ma ogni tanto il tram si fermava perché la linea era ancora interrotta dal forte bombardamento del mezzogiorno e si doveva aspettare che la sistemassero alla meglio.
Come Dio volle, arrivammo nei pressi di San Michele. Era una notte serena di plenilunio e tutto in un momento il conducente fermò il tram e gridò:
“Fuori tutti, arriva il Pippo2, andate in quel capanno in fondo al prato”.
Tutti scesero a precipizio e io ero l’ultima. Una signorina ti prese in braccio e mi aiutò a scendere. Attraversammo il prato mettendo i piedi nelle orme degli altri perché c’era mezzo metro di neve.
Rimanemmo lì tutti in silenzio per circa mezz’ora, nessuno fiatava e credo tutti pregassero. Passò Pippo col suo lumicino acceso andando a sganciare altrove il suo bagaglio di morte.
Arrivai a Lavis verso le 21.30 e trovai alla stazione tutta la mia famiglia che ci aspettava.
Quando Paolo VI diede ordine ai parroci di commutare i voti fatti in tempo di guerra per la paura di quei momenti a chi ne avesse fatto richiesta, andai dal parroco don Luigi Zadra spiegandogli il mio voto e pregandolo di cambiarmelo. Egli mi disse subito di fare tanta carità secondo le mie possibilità, cosa che ho sempre fatto, aiutando in particolare le Missioni.
Intanto i giorni passavano e anch’io, dopo 3-4 settimane, finalmente ero guarita dalla gamba. Cornelia che non aveva tanta paura dei bombardamenti restava con me a casa più che poteva. Una volta guarita, andavo anch’io al rifugio con tutti gli altri.
Io e Cornelia, con te in braccio, ci precipitammo in cantina. Beppina invece corse al rifugio, ma quando fu sotto il poggiolo della macelleria del Carmelo Nardelli dovette buttarsi per terra perché crollarono i vetri delle finestre e anche dei finestroni della chiesa.
Sembrava la fine del mondo e quando ci fu un momento di tregua salii su in camera per prenderti una copertina. Tu eri diventata tutta viola, non so se per il freddo, la paura o la polvere.
Nel ridiscendere le scale tornò una seconda formazione aerea e sganciò ancora delle bombe e con lo spostamento d’aria, venni sollevata in aria e piombai in ginocchio vicino alla porta d’entrata. Non so quanto tempo passò finché fini tutto quel frastuono. Intanto arrivarono anche papà e Riccardo dalla campagna. Avevano trovato rifugio in un capanno e tutti assieme andammo al rifugio.
Quando ritornammo a casa, c’erano le porte della chiesa spalancate a causa della pressione d’aria e si vedeva la Madonna in mezzo alla chiesa col suo scettro in mano carica di polvere. Il nostro arciprete don Brigà l’aveva tolta dalla sua nìcchia e messa in mezzo alla chiesa perché fosse più vicina al popolo e difendesse la popolazione in quei giorni tremendi. E così fu.
Una notte piovosa riempirono la nostra piazza di camion e cominciarono a battere alla porta con il calcio del fucile. Per fortuna papà conosceva un po’ di tedesco e balzò giù dal letto ed andò ad aprire.
Questi poveretti erano inzuppati d’acqua fino alle ossa e chiedevano di potersi asciugare. Mi vestii alla meglio ed accesi il fuoco. In quel momento tu ti svegliasti con tutto quel trambusto e incominciasti a piangere anche per la fame. Allora ti portai in cucina scaldandoti un po’ di latte, ma un soldato prese dal suo zaino un pacchetto di biscotti e mi fece cenno di schiacciarli e metterli nella bottiglia con il latte. Avevi 4 mesi e per la prima volta mangiasti biscotti tedeschi.
Quando videro solo i telai dei letti senza materassi, papà disse loro che lì erano morti da poco tempo i suoi genitori colpiti dal tifo. Scesero in fretta le scale però obbligarono papà a cercare loro una stanza.
Allora papà si recò dal nostro vicino Riccardo Dalpiaz che viveva da solo e per la paura dormiva in un avvolto, ma aveva tutta la sua grande casa vuota. Gli disse che se non gli dava le chiavi di casa quei tedeschi avrebbero dato fuoco a tutto perché erano le S.S., squadroni della morte. E così ottenne le chiavi e i tedeschi presero possesso della casa.
La mattina dopo nella piazza c’erano ancora i camion, ma erano coperti con teloni bianchi con in mezzo una grande croce rossa per fingere un ospedale da campo. Verso sera partirono per Cavalese fermandosi a Molina di Fiemme dove, ci raccontarono, fecero razzie di bovini perché ormai erano alla fame. A chi resisteva bruciavano la casa.
In paese c’erano ancora nascosti dei soldati cechi che portarono sulle balaustre dell’altare tante candeline e cantarono una lunga canzone di ringraziamento, anche se per loro la guerra non era ancora finita.
E questi, Maria, sono gli indimenticabili ricordi legati alla tua nascita e ai primi tuoi mesi di vita.
La tua mamma
Agnese Bronzetti Calliari
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