“Giochi di casa”: ho già usato questo titolo per il primo racconto che ho scritto e con il quale ho partecipato ad un concorso letterario. Il racconto descriveva i giochi di casa di quando ero bambina. Sono passati molti anni da allora e straordinariamente la situazione che viviamo attualmente mi ha portato a descrivere nuovamente i giochi di casa, quelli fatti, anziché con le mie sorelle, mio fratello e le cugine, con le mie figlie già grandi, nelle lunghe giornate trascorse a casa.
Non solo giochi sedentari ma anche di movimento, come per esempio 30 minuti di zumba insieme a Francesca: la scena si svolge in soggiorno, sulla parete il proiettore manda il video della zumba, mia figlia vestita… sportiva da zumba, io vestita… da casa. Entrambe con lo sguardo rivolto allo schermo per copiare i passi di zumba, lei è davanti, io dietro. Posizione favorevole la mia, così lei non mi vede quando non riesco a coordinare i passi, specialmente quando oltre le gambe bisogna muovere contemporaneamente anche le braccia (praticamente quasi tutti i passi sono così).
Lei vuole aiutarmi e allora conta i passi 1, 2, 3 e 4 per stare al ritmo, non sa che io dopo il 2 mi sono già persa e muovo o solo le gambe o solo le braccia! Da sempre i giochi di movimento non fanno per me.
Passiamo ai giochi di società, con quelli mi sento più a mio agio. Giochiamo ad “Hotel” una sorta di Monopoli dove si acquistano terreni, si fabbricano hotel appunto e il giocatore che passa davanti al tuo hotel ci rimane da una a sei notti, a seconda del punteggio del dado. A questo gioco, strano ma vero, si aggrega oltre Francesca anche Tiziana, anzi è lei stessa che lo propone.
Mi sembra di tornare indietro di buoni dieci anni, quando il giocare con le mie figlie era un appuntamento quotidiano. Il gioco prosegue e ognuna di noi ha acquistato e costruito e tutte e tre siamo proprietarie d’albergo anzi d’hotel aspettando che la pedina (in questo caso la macchinina colorata) dell’altra giocatrice arrivi all’ingresso del nostro hotel e che ci rimanga almeno… sei notti con relativo guadagno; il quale ci permette di acquistare, costruire e anche pagare le notti trascorse negli hotel delle altre giocatrici.
Le mie figlie hanno più hotel, io solo uno, ormai sul campo è rimasto un solo terreno da acquistare, ma per farlo bisogna arrivare sulla casella giusta. Tra il mio sbuffare e le risate di Tiziana, dopo quattro giri di percorso a vuoto, dove, quando raggiungerei la fatidica casella con un sei, ed invece esce un uno, e quando sono a ridosso della casella, anziché un uno esce un bel sei, il gioco diventa noioso, è necessario ravvivarlo un po’.
Lo so, lo so che non si fa, ma ad estremi mali estremi rimedi. Basta una furtiva occhiata alla giocatrice alla mia sinistra (lei è su quella fatidica casella e io sono sulla casella dietro). Mentre la terza giocatrice è impegnata al cellulare, per incanto le due macchinine invertono il posto. Finalmente posso acquistare l’ultimo terreno a disposizione e il gioco continua …
Ora è il turno di un altro gioco che si può dire ha accompagnato tutta la mia vita: il puzzle (in italiano rompicapo). Ho trasmesso questa mia passione anche alle mie figlie specialmente a Stefania. È con lei che passiamo dei pomeriggi interi a fare e rifare gli stessi puzzle. Questa volta tocca a quello da millecinquecento pezzi, raffigurante una chiesetta alpina e relativo paesello, un bel cielo e naturalmente tanta tanta montagna, le bianche cime (circa 20 pezzi) e il resto con i prati fioriti dove i colori prevalenti sono verde, marrone, grigio (circa mille pezzi).
Anche qui c’è il trucchetto: ogni volta che rimettiamo a posto un puzzle, naturalmente dobbiamo romperlo per metterlo nella scatola, ma ne rimangono comunque dei bei pezzi interi, che alleggeriscono il lavoro della prossima volta! Usiamo due metodi per estrarre i pezzi interi dalla scatola: o con la paletta degli hamburger si solleva il pezzo e lo si mette sul tavolo (questo è il mio metodo), o si appoggia la mano aperta sul pezzo, si comprime un po’ in modo che i pezzi rimangano incollati alla mano e si sposta la mano sul tavolo (questo è il metodo di Stefania).
Si inizia dal bordo e poi si continua costruendo pezzo per pezzo tutto il disegno. Mentre costruiamo ci allieta la musica, è così che sento le canzoni più recenti ringiovanendo il mio repertorio rimasto agli anni 80. Ho provato a proporre le mie canzoni anni 70 e 80, ma Stefania è irremovibile, al massimo concede le canzoni Disney, tratte dai film vecchi e nuovi.
Dopo molte ore, eccoci quasi al traguardo: il puzzle ha uno buco vuoto, mancano solo cinquanta tasselli, quando ne hai messi già millequattrocentocinquanta, cosa vuoi che sia metterne altri cinquanta? E invece… anche perché il buco vuoto è proprio il pezzo di immagine più anonimo, più scialbo, banale di tutto il puzzle. Pensate al cielo tutto azzurro? Invece no… è la costruzione della montagna con i suoi colori grigio, verde e marrone l’ultima grande fatica.
A questo punto si hanno tre possibilità per completare l’opera, le prime due si possono considerare metodi rispettabili per due appassionate di puzzle ovvero: ti basi sul colore per inserire i tasselli mancanti. Se non ti riesce, passi alla seconda opzione, li dividi secondo la loro forma: i lunghi, i larghi e gli speciali. I primi vanno inseriti orizzontalmente, i secondi verticalmente i terzi vanno dove gli altri hanno fallito.
Sarebbe apprezzabile e dignitoso completare il puzzle in queste due maniere, però ahimè quando si ha a che fare con la montagna e si vuol finire a tutti i costi rimane la terza soluzione, ovvero: provare ad uno ad uno tutti i pezzi a disposizione. Fissato il punto da cui partire, con tanta pazienza, passi in rassegna tutti i tasselli, ad uno ad uno, con la convinzione che ognuno ”va sicuramente da qualche parte!” Non è finita qui, perché ovviamente dei cinquanta tasselli ben allineati sul tavolo, quello giusto è proprio il cinquantesimo.
E allora quando cerchi il prossimo parti dal quarantanovesimo e quello giusto è… il primo, ovviamente!! Infine può anche succedere che (sembra fantasia ma è realtà)… essendo in due giocatrici a provare i cinquanta pezzi, allora quello che cerchi tu non lo trovi per nulla, perché in quel momento è in mano alla tua compagna di giochi.
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