Sul futuro non ci sono ancora certezze. La direttrice: «La prospettiva non è rosea, ma non vogliamo piangerci addosso»
LAVIS. «Se non mi faranno aprire a settembre, rischio davvero di dover chiudere tutto. Non mi sembra vero, sarebbe la fine di un sogno. Ma non può andare così: io sono fiduciosa, ce la farò a resistere. Ti prego, scrivilo». Manuela Zennaro è la direttrice di Ritmomisto, la scuola di danza più grande di Lavis. Qui lavorano 12 istruttori, lei compresa.
Soprattutto, ci sono 340 iscritti, di tutte le età. Dai bambini piccolissimi agli anziani. E fra loro anche 60 atleti agonisti. Ora però è tutto fermo per il coronavirus e anche se piano piano stanno aumentando le libertà personali, sulla danza si sa ancora molto poco. La federazione ha annullato anche i campionati italiani che si sarebbero dovuti tenere a luglio.
«C’è una grande incertezza, non sappiamo quando potremo riaprire», dice Manuela.
L’intervista
La storia di Ritmomisto inizia quando i genitori di Manuela, già adulti, scoprono la passione per la danza. «Mi sono appassionata anch’io – ricorda –. Ai tempi studiavamo a Verona. Nel 2000, ci siamo detti: “Forse è ora che apriamo una scuola anche nel nostro paese”.
Ci sembrava il momento di insegnare agli altri quello che avevamo imparato. Nel 2001 abbiamo fondato il gruppo sportivo e da lì è stata un’evoluzione continua. Siamo partiti dalle nostre discipline, poi ci siamo lanciati su tutte le danze artistiche».
Fino all’arrivo dell’epidemia. Ora qual è la vostra situazione?
La prospettiva non è rosea. La federazione ha annullato tutti gli appuntamenti. Siamo in balia del Governo che è sempre stato molto vago nelle indicazioni per le palestre e le scuole di danza. E così siamo nell’incertezza. Il fatto è che la nostra scuola è in una struttura privata e l’affitto non costa poco. In questi mesi dovrò continuare a pagare: posso tirare avanti fino a settembre o ottobre. Poi… Poi non so cosa succederà. Ma io vorrei riaprire. Lo vorrei proprio.
Come può essere la fase due nella danza?
C’è anche questo problema: il nostro è uno sport e un’arte in cui il contatto è indispensabile, tranne nei rari casi in cui si balla da soli. È una domanda che ci stiamo facendo per le danze di coppia. Ma anche nelle altre discipline, il contatto è necessario prima o poi. Non possiamo snaturare un’arte. E non possiamo ballare a due metri di distanza.
Neanche temporaneamente?
Mancano proprio gli spazi. Se ci permettessero di aprire tenendo un metro di distanza fra di noi, non saprei come fare. Dovremmo reinventare tutto. E poi c’è un ultimo aspetto da considerare.
Quale?
Con la crisi economica, gli sport e le attività secondarie non saranno più una priorità per le famiglie. Il rischio è che ci sarà un crollo nelle iscrizioni. Ma io non voglio piangermi addosso: so che ci sono tante altre persone che sono in difficoltà. Vorrei solo che ci si ricordasse che esistiamo anche noi. Che la danza ha una sua importanza, anche perché dà lavoro a tanti istruttori. Facciamo parte della vita di tante famiglie.
Oltre all’aspetto economico c’è quello umano?
Soprattutto questo. Noi viviamo la scuola come un gruppo compatto. Siamo una squadra innanzitutto. E questo si è visto anche in questi giorni.
E infatti avete organizzato corsi in videoconferenza e dirette su Instagram. È stato puro volontariato?
Sì certo, ogni cosa è stata fatta gratis. Ma l’obiettivo era quello di mantenerci in contatto, in una situazione di grande confusione. Per far capire alle nostre famiglie che comunque c’eravamo. Le insegnanti hanno iniziato a organizzare delle sfide, chiedendo ai ragazzi di fare delle foto e dei video. Poi siamo passati alle videolezioni. È chiaro che non può essere la stessa cosa. Ma ci sono ragazzi che venivano da noi tutti i giorni e all’improvviso si sono trovati senza più un posto dove vivere la danza.
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