MEZZOLOMBARDO. La contessa Elisabetta Crescenzia Spaur, ultima discendente della secondaria linea degli Spaur di Mezzolombardo, estintasi la linea maschile con la morte del fratello Carlo dopo la metà del 1800, aveva potuto godere della vista della quadreria del Castello della Torre, ancora presente in castello nel 1849 quando sposò il conte Eugenio Welsperg della casata dei nobili feudatari originari della Pusteria. La figlia Giovanna Eugenia Welsperg sposata Unterrichter, nobili di Caldaro, nel 1919 nel suo testamento cedeva arredo e quadreria, costituita da cinquantacinque dipinti, fra i quali alcuni quadri sacri, ritratti di famiglia, paesaggi di Vienna, di Innsbruck e sei paesaggi locali.
Grazie alla cortesia del privato proprietario che ne è pervenuto in possesso e che ci ha permesso la riproduzione, possiamo ora ammirare uno di questi quadri che rappresenta una veduta di Mezzolombardo. La raffigurazione, opera di un anonimo pittore, databile agli inizi del XIX secolo, è sinora l’unica rappresentazione nota di quest’epoca del centro rotaliano. Tutte le altre sono riferibili a stampe o cartoline molto successive, spesso in bianco e nero, e spesso raffiguranti solo il Castello della Torre, come ad esempio il disegno del 1800 – anch’esso di anonimo –, e quello della Grossrubatscher del 1846.
Questa invece è una plastica veduta sia del castello sia della parte di paese che si poteva vedere all’epoca da questo punto di vista, e rappresenta una visione di architettura rurale imperdibile. A dire il vero, il particolare del castello risulta molto simile alla vignetta presente nello studio di Desiderio Reich del 1901 “I castelli di Sporo e Belforte”, visto da sud con alle spalle l’ingresso alla Val di Non, suggerendo così che la rappresentazione del castello sia stata già colta nella sua icastica bellezza in occasione della stampa del volume. Il quadro invece, oltre al castello in primo piano con le pertinenze del giardino, della chiesetta di Santa Apollonia, del portale di ingresso alla residenza, riproduce il piano di campagna con alcune abitazioni, la chiesa del Convento francescano, e sullo sfondo il paese di Mezzocorona con le montagne oggi chiamate Cime di Vigo.
Da notare nel dipinto due torrette, una dietro il portone merlato (oggi in via Garibaldi), un’altra a sinistra della salita, all’esterno del muro di cinta che risulta privo di merlatura: oggi queste costruzioni non esistono più. Le case ai piedi del castello hanno le tipiche caratteristiche delle costruzioni rurali, con un sottotetto aperto, con in bella evidenza le travi di sostegno a croce di S.Andrea e tegole in cotto. Sulla strada che porta alla chiesa conventuale dell’Immacolata eretta nel 1666, e costruita in quella posizione in ricordo della località detta “Capitel de la Madona”, per la presenza di un’edicola contenente l’immagine della Santa Vergine con il Bambino, sono presenti tre costruzioni di colore bianco molto simili fra loro, dotate di ampi finestroni al piano terra e simmetriche finestre al secondo, che quasi certamente sono riferibili a edifici destinati alla lavorazione del baco da seta.
Ricordiamo infatti che questa attività, molto sviluppata in Trentino nel secolo XIX, anche a Mezzolombardo era fiorente; i bachi erano chiamati in dialetto “cavalieri” forse come dice qualcuno, perché nascevano il giorno di San Giorgio, il cavaliere che uccide i draghi, o forse perché i bachi, quando sono vicini alla filatura, muovono la testa e caracollano, appunto, come cavalieri. E nel quadro le piante di gelso si notano particolarmente nel paesaggio agreste: sono le forme rotonde di macchie gialloverde chiaro inserite nella campagna di color arancio bronzo.
La viticoltura muoveva allora i primi passi e l’economia della borgata non poggiava ancora fortemente su questa; Mezzolombardo contava all’epoca una popolazione all’incirca di duemila abitanti risultando il comune più popoloso del distretto; nel censimento del 1828 poi, 57 erano i cavalli, 16 gli altri animali da soma, 142 i buoi e 108 le vacche. L’incremento demografico a seguito dell’affinamento della coltivazione della vite per la produzione di vini destinati all’esportazione nel vicino Tirolo tedesco (e il Teroldego pur presente, non era ancora diventato il vino di successo come oggi) fu poi impetuoso: si passò in poco tempo dopo l’istituzione del distretto giudiziale nel 1824 a circa 2.200 e alla metà del secolo si arrivò in prossimità dei tremila.
Ritornando al quadro impossibile non notare come duecento anni fa l’abitato si caratterizzasse, come probabilmente molti altri, se non tutti, nel Trentino, da una sparsa e diradata presenza di edifici e da una preponderante, lussureggiante vegetazione, nella quale si insinuavano esili, stretti percorsi stradali, adatti a mezzi di trasporto per merci e persone a trazione animale e a percorsi a piedi.
L’assenza di qualsivoglia presenza umana conferisce al dipinto una statica immota fissità nel tempo e nello spazio, consegnandoci un momento di un passato lontanissimo da quello a cui oggi siamo abituati. (b.k.)
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