Cattura e trasferimento in Germania di soldati italiani dopo l’8 settembre 1943
Lavis. Uno dei ricordi che la famiglia di mia mamma si tramanda è un episodio poco conosciuto della seconda guerra mondiale che riguardava mio nonno Silvio Odorizzi sfuggito rocambolescamente alla cattura dei tedeschi attraversando a nuoto il fiume Adige.
Quel giorno gran parte dei catturati furono internati nei lager nazisti. In Italia furono ben 700.000 i soldati che vennero fatti prigionieri e molti di loro furono caricati sui treni per la Germania. Essi furono denominati dai tedeschi con l’acronimo IMI: Internati militari italiani. Catturati nelle caserme italiane o sui fronti di guerra all’estero dopo l’8 settembre 1943, in seguito alla proclamazione dell’armistizio del Governo Badoglio con gli Alleati.
I tedeschi, sentitisi traditi, non vollero qualificare quei soldati come “prigionieri di guerra” in modo da privarli dell’assistenza degli organi internazionali previsti dalla convenzione di Ginevra del 1929. Hitler infatti aveva promesso un “castigo esemplare” agli italiani, rei di essere venuti meno al patto di alleanza. Per questo il trattamento che ricevettero fu terribile e spietato.
Quella sera dell’8 settembre 1943, le parole del maresciallo Badoglio illusero per un attimo gli italiani che la guerra fosse finita. La fuga in tutta fretta del re Vittorio Emanuele III, l’abbandono dei ministri e dello Stato Maggiore dell’esercito e la fulminea azione della Wehrmacht con l’operazione Achse (Asso), fecero precipitare il Paese nel caos e in una delle più difficili situazioni della sua storia (nel dialetto trentino quei giorni vengono ancora ricordati con il termine “El Rebaltòn”).
Ecco qui di seguito il racconto del soldato semplice il bolognese Sangiorgi Arturo:
Dopo i convulsi e confusi momenti della cattura il viaggio verso la Germania è il contesto della presa d’atto della realtà della prigionia nel disorientamento collettivo. Per i più sfortunati il viaggio durò fino a quindici giorni, poiché i treni, entrati nel territorio del Reich non avevano più precedenza e rimanevano fermi sui binari morti. Talvolta sostavano in aperta campagna per permettere ai prigionieri di fare i bisogni fisiologici. Ma in molti casi i vagoni non venivano aperti fino alla destinazione, costringendo i poveri soldati a condizioni degradanti.
Tra queste persone volonterose e portatrici di amore e speranza c’era mia nonna Frida Mosca, futura moglie di Silvio. Frida era nata a Pressano e durante la guerra si era trasferita con tutta la famiglia a Egna per lavorare come mezzadri presso un maso della zona. Il comune di Egna in epoca fascista era entrato a far parte, assieme a Bronzolo, Cortaccia, Magrè all’Adige, Montagna, Ora, Salorno, Termeno e Trodena, della provincia di Trento. Questi territori dovevano subire l’assorbimento dell’elemento tedesco autoctono per unirsi con l’italiano Trentino.
Nel settembre 1943 Frida aveva 19 anni e lavorava come aiutante presso la mensa della Wehrmacht alla stazione di Egna. In quei giorni dopo l’armistizio le cose si erano messe male, l’atteggiamento dei soldati tedeschi era cambiato.
Dopo l’8 settembre le autorità naziste si preoccuparono immediatamente di ingrandire il Sudtirolo a spese della provincia di Trento inglobando così a sua volta i comuni di Rumo, Fondo, Bronzolo, Ora, Montagna, Trodena, Egna, Capriana, Salorno, Magrè all’Adige, Cortaccia e Termeno.
Con la costituzione della Zona operativa delle Prealpi, iniziò la deportazione degli ebrei avallata dalla politica fascista che in virtù delle leggi razziali del 1938 aveva preparato le liste della popolazione ebraica. In Italia fu proprio in Alto Adige che si verificarono i primi arresti di ebrei e quindi la loro deportazione, e per la maggior parte dei casi passavano per il campo di transito di Bolzano.
Nel suo operare presso la stazione di Egna Frida oltre che a porgere qualche alimento di conforto riuscì a raccogliere centinaia di bigliettini lanciati dai soldati italiani prigionieri in transito sui treni verso la Germania. La sera, al lume di candela, ricopiava il contenuto dei bigliettini su delle lettere indirizzate ai famigliari rassicurandoli con la speranza e l’amore dei propri cari:
Passaggi d’amore: bigliettini e storia che la memoria ha tramandato fino a noi.
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