Dopo la prima puntata, continua il nostro viaggio nel passato di Lavis, attraverso i ricordi che vedono le donne come protagoniste.
di Fulvia Albertini
di Cinzia Stenech
Ma nessuna di loro lo ha vissuto come un obbligo, una forzatura, anzi, era un gesto d’amore per gli uomini che lavoravano duramente per mantenere la famiglia. Era giusto e irrinunciabile aiutare. Decenni dopo, queste donne non hanno smesso di creare oggetti utili agli altri. Adesso hanno nipoti e pronipoti. Ora non c’è più bisogno di calzini e maglioni fatti a mano, anzi, quelli che si comprano forse sono più comodi. Ma alcuni oggetti sono quasi introvabili e sicuramente unici.
Così Annamaria, Artemia, Renata, Rita e Silvana hanno messo l’arte appresa a disposizione del prossimo, dei più deboli. Di quelli meno fortunati che, al contrario di loro che sono ancora arzille e vivaci, sono in Casa di Riposo.
Ed è nato il gruppo “Magia di maglia”, che, un paio di pomeriggi in settimana per tutto l’anno, si ritrova in una della sale della Casa di Riposo per creare oggetti. Verso Natale le nostre instancabili dame si danno il cambio alla bancarella per vendere il prezioso artigianato.
Il ricavato? Ogni anno un acquisto diverso, per quelle cose “particolari” che il ferreo bilancio dell’ente non permette. Giochi come i birilli o grandi palle, un acquario, un arredo allegro per una saletta. Quello che può rendere più felice anche un solo istante degli ospiti. Sono donne che non hanno permesso alla loro età di farle smettere di aiutare gli altri. Hanno messo a disposizione dei più bisognosi i loro talenti. Non recriminano su quanto erano povere, quanto hanno faticato in gioventù e ora avrebbero tutti i diritti di non dedicarsi agli altri. L’emergenza Covid non le ha fermate, perché lavorano in casa, in solitudine, in attesa di quando potranno nuovamente ridere assieme e far sorridere ospiti e dipendenti della Casa di Riposo.
Perché, come dice una di loro, “finché non sei morto puoi sempre fare qualcosa di buono!”.
di Luigi Mario Maffezoli
11.Vorrei ricordare la signora Iole, “la Iole della Caritas”.Ormai qualche anno fa le avevo chiesto la cortesia di procurare qualche capo di vestiario per una persona che ne aveva urgente bisogno. Facendo una cortesissima eccezione, ci aveva aperto il deposito. Il giovane per cui avevo chiesto aiuto e che avevo accompagnato si stava dimostrando un poco arrogante ed eccessivamente pretenzioso, tanto è vero che l’avevo brevemente ripreso. La Iole, la signora Iole, ci aveva dedicato un intenso sguardo e un sorriso. Aveva parlato in un modo talmente squisito, attento e delicato che era come se si fosse diffusa una sorta di armoniosa e pacata tenerezza che ci aveva avvolti.
Ricevuto il vestiario, il giovane l’aveva abbracciata. Commuovendosi, aveva cominciato a scusarsi e a ringraziare per le parole che lo avevano confortato e incoraggiato.
Quando, per il paese, mi accedeva di incontrare la signora Iole, salutandola chinavo il capo con deferenza, gratitudine e affetto.
di Paolo Facheris
Una di queste è stata Luigia Debiasi vedova Saltori detta “Gigiotta”; una Tagesmutter ante litteram che a Lavis negli anni 50 e 60 ha ospitato nella sua famiglia tanti bambini che per censo o per necessità non avevano sempre la fortuna di essere accuditi nella famiglia naturale. Io sono stato uno di questi ragazzini che nei primi anni Sessanta, per determinati periodi, è stato affidato appunto alla “Gigiotta”. Ricordo con una vena di nostalgia e gratitudine i periodi vissuti nella casa della “Gigiotta” con suo marito Guido, i loro figli Angelo, Edoardo, Maria Emma, Ivan; era come assaporare il senso, altrimenti negato, di una famiglia con tutti i suoi protagonisti: padre, madre, sorelle e fratelli; allo stesso tempo vivere momenti di quella normalità che non avrei poi più vissuto nei tanti anni di collegio che si sono susseguiti.
La “Gigiotta” mi piace ricordarla cosi: una donna semplice, una mamma supplente a cui ci si affeziona e a cui si vuole bene e che anche da adulto rivedevo sempre con piacere e commozione.
di Marilyn Ama Assemien in Casaburi
13.Cara Marta, mi ricordo con quanta passione e devozione ci spiegavi come essere dei bravi volontari, è merito tuo se ho imparato cosa significa servire il mio prossimo con amore senza aspettare nulla in cambio. Un giorno tornerò nel mio paese e lo insegnerò alla mia gente.Mi ricordo delle volte in cui mi hai insegnato a cucinare il sugo di pomodoro, oggi sono sposata e mio marito mi fa sempre i complimenti ed è tutto merito tuo.
Mi ricordo il giorno della mia laurea: eri bella con la tua pettinatura così fashion. La mia famiglia di origine non c’era, ma c’eri tu e i miei altri amici del cuore. Non mi sono sentita sola, non mi è “salita” quella maledetta solitudine che uccide piano piano tanti stranieri, per questo mi reputo fortunata perché vi ho conosciuti. Mi ricordo che quando ho saputo che non stavi tanto bene, ero molto preoccupata e tutte le notti prima di mettermi a letto pregavo per te.
Cara Marta per me sei una donna speciale, ti voglio tanto tanto bene e non vedo l’ora di abbracciarti, sarai sempre nel mio cuore anche quando tornerò in Costa d’Avorio.
Ti auguro una buona festa della donna.
di Lorenzo Cainelli
14.Vorrei raccontarvi la brevissima storia che parla di una donna coraggiosa, prima donna vigile del fuoco volontaria di Lavis. Uno dei primi ricordi che ho della sua piccola/grande rivoluzione è il cicalino nero dei pompieri che squillava in piena notte e lei, ancora mezza addormentata, che si dirigeva rapida in caserma. Chissà che emergenza era! Chissà cosa avrebbe fatto! In quegli anni me lo chiedevo, ero curioso…Per me, e la mia famiglia, era una cosa normalissima avere in casa una Vigile del Fuoco Volontaria; lo era stato anche il nonno Tullio e anche lo zio Elio lavorava come pompiere nella centrale di Trento. Solamente crescendo ho capito che la sua femminile presenza in caserma era un piccolo gesto fuori dall’ordinario; di stra-ordinario.
Essere volontario è già di per sé una scelta di vita (è il decidere di spendersi con amore per la propria Comunità) ma se poi sei anche una delle poche donne Vigili del Fuoco Volontarie del Trentino, di sicuro la prima a Lavis, allora la tua scelta di servizio ha sicuramente un valore aggiunto; può anche contribuire a cambiare il pensiero della nostra piccola società.
Solo adesso mi rendo conto di quanto coraggio ci voglia anche per i gesti più semplici che, ai più, possono sembrare banali: sfidare le convenzioni sociali, indossare un’uniforme e decidere di dedicare del tempo non unicamente alla tuafamiglia. (Sacrifici che conoscono bene le famiglie di tutti i meravigliosi pompieri volontari!). Sono orgoglioso della grinta di questa donna, non solo perché Monica è mia mamma; ma anche perché dimostra ulteriormente come le donne possano essere anche mamme ardimentose, figlie valorose, zie coraggiose e sorelle forti con la voglia di mettersi in gioco finendo anche, ed è successo, per rischiare la vita. Tutto quanto in quell’eroismo silenzioso e nell’umiltà di chi non cerca mai di essere al centro dell’attenzione.
Tra tutte le cose che mi ha insegnato, ancora oggi non riesco minimamente ad eguagliare quella forza straordinaria che ha dentro. La determinazione di quelle donne che sanno sempre esserci a testa alta, che non hanno paura di spendersi per gli altri in prima linea con il sorriso sul viso (anche se mantenerlo, a volte, è davvero difficile!).
La mia è la brevissima storia che parla di una donna coraggiosa che, assieme a tantissime altre donne straordinarie e coraggiose, è pioniera di temerarietà e sicuramente portavoce di emancipazione e di uguaglianza.
di Marianna Piffer
Quella casa ora si trova quasi in “centro” a Lavis, insieme a tante altre che negli anni sono state costruite in via Peratoner, ma non è sempre stato così. Ricordo ancora quando scorrazzavo nelle campagne appena fuori casa, la strada era sterrata, non c’era ancora l’asfalto. Poi sono arrivate le ruspe a scavare per costruire le fondamenta di tanti piccoli condomini e portare tanti nuovi bimbi a giocare.
Ma quella casa, quando è stata acquistata dai miei nonni nel lontano 1951, era chiamata “il Masetto”, perché era una casa lontana dal centro abitato. Il maso comprendeva anche la campagna attorno che iniziava all’imbocco dell’attuale via Peratoner. Un cancelletto ne delimitava la proprietà.
I miei nonni decisero di abitare lì e di costruire i più bei ricordi che tutta la mia famiglia custodisce. Lì sono nati il mio papà e le mie due zie. In quella casa tante persone lavisane, ma anche di Verla, sono passate a farsi fare un orlo, o un vestito: mia nonna era una bravissima sarta. Sicuramente qualche anziano si ricorda ancora di lei: era la Teresa Monauni. Una donna forte, di altri tempi, che mi ha insegnato i valori della famiglia e del condividere. Ma soprattutto mi ha insegnato che non ci si deve abbattere mai e si deve vivere per i proprio figli.
Tante cose sono cambiate ora, perché il tempo scorre. Ma, quando guardo quella casa, rivivo ancora quei momenti di spensieratezza che i miei nonni mi hanno donato.
FINE SECONDA PUNTATA
(continua…)
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