Continuano a scorrere i ricordi e gli omaggi alle donne lavisane. Dopo il primo articolo di domenica e quello di lunedì oggi pubblichiamo la terza e ultima parte. È doveroso un ringraziamento a tutti i lettori che hanno voluto contribuire e a tutte le donne che hanno ispirato direttamente o indirettamente queste storie.
di Angela, Emanuela, Andreina
16.La storia che vi vorremmo raccontare parla di una donna. No, non ci riferiamo a qualche bellezza che ogni giorno la televisione ci propone e neppure alle tante donne violate e uccise che troppo spesso la cronaca porta purtroppo alla ribalta, colpevoli solo di essersi legate alla persona sbagliata.
Ma che ci vogliamo fare, il cuore femminile è così, grande, generoso, e mette sempre affetti e doveri al primo posto.
E noi di una donna così vorremmo parlare, una persona che per noi era speciale, che tanto ha fatto per la sua famiglia e per la comunità lavisana. Forse utilizzare il verbo al passato non è neppure corretto, in quanto, anche se ci ha lasciati da oltre quattro anni, il ricordo in noi è sempre vivo ed è come ancora ci fosse, ancora ci parlasse e ci insegnasse. Nonostante la sua assenza, lei rimane comunque ben salda e forte dentro di noi, che la facciamo rivivere ogni giorno in ciò che siamo.
Ripercorrendo gli anni che noi, figlie e nipoti, abbiamo trascorso assieme, molte sono le vicende che con lei abbiamo vissuto.
I non più giovani sicuramente la ricorderanno arrivare a scuola, in compagnia di papà, sempre entusiasta di quello che lei considerava un compito delicato, da svolgere con molta cura e attenzione. Sapeva coinvolgere i suoi alunni spiegando le varie discipline in un modo così accattivante da riuscire a catturare sempre la loro attenzione e l’apprendimento diventava un gioco. Chi fra i suoi alunni non ricorda ancora le gare di tabelline e di verbi?
Ma molto altro era la nostra mamma e nonna, sempre pronta ad aiutare chi era solo, in difficoltà, chi aveva bisogno di una parola buona o di un consiglio. Sensibile alle problematiche umane, non si tirava mai indietro quando si trattava di aiutare materialmente qualcuno (nel nascondimento e nella discrezione, quante spese donate a persone anziane!) o di andare a trovare chi si trovava in casa di riposo trascorrendo ore in compagnia di quelle che lei affettuosamente chiamava “le me pope”.
Ecco, questa panoramica sicuramente non è completa, questo ritratto non le rende giustizia. Ma siamo sicuri che molti saprebbero aggiungere altre qualità che lei, a causa di quella riservatezza che aveva innata, non metteva in mostra.
di Luigi Mafezzoli
17.Quando mi capita di passare dal Circolo ‘La Madonina’ e di incontrare le Signore del Direttivo trascorro almeno una mezz’ora davvero lieta. L’Atmosfera è sempre cordialissima. I sorrisi assolutamente sinceri e le parole mai di sola circostanza.
Mi accade, presumo dal momento che anch’io non sono giovanissimo, di pensare che a volte per assaporare davvero le vicissitudini del vivere quotidiano, e gli entusiasmi e le malinconie che le costellano, occorre avere qualche consistente manciata di anni. Da diovane spesso gli aromi variegati della vita ci sono troppe volte sconosciuti, o forse soltanto non resi pienamente e propriamente in una prospettiva che ne illustri le sfaccettature proprie della giovinezza.
Grazie care Signore, per essere quel che donate.
di Marco Consoli
18.Quando, nel 1974, a 48 anni, arrivò a Lavis dalla Sicilia (1.400 chilometri di distanza) con 4 figli piccoli – io avevo 10 anni – non conosceva nessuno ma le è bastato poco tempo per farsi apprezzare e amare da tutti.
Mia madre, che ai suoi tempi era una delle poche donne medico in Italia e prima donna medico a Lavis, è una luce sempre accesa.
I valori che ha trasmesso a noi figli, e non solo, non si spegneranno mai. Mia madre non ce li ha trasmessi con le parole ma con l’esempio. Valori altissimi: onestà, rispetto, senso del dovere, impegno, amore per il proprio lavoro e grandissimo spirito di solidarietà e generosità.
Mia madre era reperibile H24 ed entrava nelle case della gente perché diceva che era importante conoscere l’ambiente dove i pazienti vivono e le loro relazioni. Dopo la prematura morte di papà (1975) mamma si è dovuta fare carico anche delle sue attività in Sicilia. Il suo giorno libero era il venerdì e mamma si faceva accompagnare all’aeroporto di Bologna o di Milano (allora non erano attivi i voli per la Sicilia da Verona), andava in Sicilia per sbrigare alcune pratiche ed entro mezzanotte (come cenerentola) doveva rientrare in servizio.
Mia madre era l’ufficiale sanitario e Direttore Sanitario della casa di riposo quindi tutti l’hanno conosciuta, per un certificato o un vaccino o una sostituzione, in un periodo dove i medici a Lavis erano solo 2 e facevano tutto. Mia madre era un ottimo medico ma soprattutto una straordinaria figura carismatica, la donna più carismatica che io abbia mai conosciuto nella mia vita.
Seduta sulla sua poltrona donava forza, energia e sicurezza non somministrando solo farmaci ma stimolando i pazienti a lavorare prima con la propria testa. Quante volte a me ha detto: “corri che ti passa” quando io le chiedevo di darmi una pillola … e aveva sempre ragione lei.
Mia madre era anche una cuoca strepitosa e cucinava spesso piatti della tradizione siciliana. La sua parmigiana di melanzane non ha paragoni con nessun’altra parmigiana di melanzane che io abbia mai mangiato al ristorante o cucinata da amici e parenti. Mamma friggeva le melanzane senza guardarle. Al momento giusto le girava ed erano sempre perfette.
Mia madre adorava i suoi nipoti ai quali cucinava montagne di patatine fritte e cotolette.
Mia madre è stata una donna esemplare, una mamma e nonna unica e straordinaria e sarà per sempre la dottoressa della gente.
di Andrea Casna
19.Ho conosciuto Paola per caso. Era il 1998 e all’epoca ero uno studente all’Istituto d’Arte Alessandro Vittoria di Trento. A Paola serviva un assistente per un lavoro da fare a Prijedor, in Bosnia, esattamente nella Repubblica Serba di Bosnia. Tutto è iniziato per caso. Un contatto, una telefonata e un breve incontro a Lavis. Siamo partiti nell’estate del 1998. Poi, negli anni successivi, il Brasile e altri lavori in Trentino. Quella del 1998 fu per me la prima e vera esperienza all’estero. Fu un viaggio lungo su un furgone della Casa per la Pace di Trento carico di aiuti umanitari. Porto sempre con me questo ricordo: Annalisa, una volontaria della Casa per la Pace, al volante, io sul lato passeggeri e Paola dietro … comoda e sdraiata su un lettino improvvisato sopra pacchi pieni di ogni genere di cosa.
Il primo vero viaggio all’estero e il primo lavoro: decorare una parete esterna di una scuola superiore. Dopo i primi giorni, trascorsi a coprire i fori dei proiettili di una guerra civile terminata da pochi anni, abbiamo iniziato a lavorare. “Dimenticati – diceva sempre Paola – di quello che hai imparato a scuola. Dimenticati tutto e cerca il tuo segno distintivo…cerca il tuo modo, un modo che sia solo tuo”. Questo era uno dei principali insegnamenti di Paola: dimenticare le nozioni apprese all’interno di un contesto formale e rigido, appunto la scuola, per iniziare ad essere se stessi in una dimensione libera; in una dimensione fatta di impalcature (a volte precarie), di colori, pennelli, sudore e fatica. Ma soprattutto una dimensione fatta di due cose: confronto e un muro freddo e grezzo al quale si doveva dare la vita, esattamente come lo scultore fa con la pietra.
Paola non era solo una maestra d’arte o un’amica. Era di più. Era una persona testarda che quando voleva una cosa faceva di tutto per ottenerla. Eravamo sempre in Bosnia, a Prijedor, su quell’impalcatura precaria. Un giorno, in un momento di riposo, andiamo con altri volontari a visitare un campo profughi.
Io e Paola rimaniamo fortemente colpiti da quel posto e soprattutto dagli odori di quel luogo, conosciuto ma allo stesso tempo dimenticato. Un logo abitato da famiglie. Da donne, anziani, e da bambini che giocavano a pallone fra le rovine della guerra. Paola ha una illuminazione: vuole portare i ragazzi del campo a dipingere sul muro. Vuole dare a loro un momento di serenità, di speranza e di vita. Ma non è facile: ci si deve scontrare con una burocrazia ottusa post bellica e con una mentalità che vuole dimenticare la guerra, e quelle persone del campo sono un ricordo vivo della guerra. Alla fine Paola vince la sua battaglia. Ottiene i permessi e anche il pulmino per portare i ragazzi a lavorare qualche ora sulla parte bassa del muro. E ancora oggi, in una Prijedor che forse sta meglio della Prijedor che ho conosciuto io, lì, su quel muro, ci sono ancora i dipinti di quei bambini che grazie a Paola, per poche ore, hanno conosciuto un mondo diverso e annusato odori diversi.
di Marta Cassol, Daniela Franco e Rebecca Zoro
20.Ormai sono poche le persone che in paese non conoscono la Frida: una lavisana particolare…Sì… parliamo del manichino del negozio Part!colare di Lavis.
Ai tempi del coronavirus tutto è possibile sui social, ma dietro alla Frida ci sono storie di donne vere, donne che si reinventano e che credono nelle risate, nel provarci e nei sogni che si realizzano. La prima è Daniela, la “collega” della Frida. Daniela abita a Lavis da un paio di anni ed è una donna di quelle che, quando decidono una cosa… ebbene, quella cosa si DEVE fare! Daniela ha realizzato, subito dopo il lockdown, il sogno della sua vita: aprire una boutique di abbigliamneto “particolare”… e proprio così ha chiamato il suo negozio di Lavis. Ammirando la grazia e l’eleganza di Frida ha pensato che poteva essere un ottimo biglietto da visita per sé e anche per le attività del territorio lavisano che iniziavano a soffrire per la situazione del Covid. È così che Frida ha cominciato a girare tra le attività e i negozi di Lavis. E chi può non adorare la Frida ed i suoi outfit?
Poi c’è Marta, in standby con la sua scuola di danza “PETITE DANSEUSE”, che ha sfogato il suo bisogno di arte nella sua vecchia passione dell’arte figurativa… ed ecco allora quadri, illutrazioni e decorazioni, in questi mesi senza danza e dove la musica si sentiva solo dai balconi.
Mettici la passione di Marta per le cose belle… mettici Daniela che le cose belle le vende… le due si sono incontrate e ovviamente si sono subito piaciute: tutte e due intraprendenti, ambiziose e con idee stravaganti. Quando Marta ha saputo che Frida faceva il giro dei negozi e delle attività lavisane non è riuscita a star ferma…
Daniela, così vivace e divertente, portava in giro un manichino, silenzioso e accondiscente… la Frida, naturalmente. Tutto questo sembrava un fumetto! Fra chiacchiere, risate e progetti a volte improbabili, le due donne sono davvero diventate un fumetto, che inizialmente però era solo un gioco fra di loro.
E qui entra in scena un’altra giovane donnina, Rebecca, figlia di Marta, 15 anni. Una ragazza spigliata e fantasiosa, che come tutti i ragazzi vede il possibile nell’impossibile e con il piglio energico degli adolescenti esclama: “Ma queste cose disegnatele sui vestiti! Io la metterei una maglia con la Frida!”.
È bastato questo a Daniela e Marta per mettersi in moto: organizzarsi, studiare la linea, trovare i tessuti giusti… e lanciare la linea della Frida.
Questa storia di donne arriva a fagiolo per la festa della donna… e secondo noi è un simpatico esempio di come 4 donne insieme, partendo da un gioco, arrivano a realizzare le proprie personalità.
21.Il gruppo “donne rurali di lavis “ si è costituito parecchi anni fa con l’intento di promuovere attività di conoscenza nell’ambito dell’agricoltura e dell’attività domestica. In particolare si impegna, nell’ambito di varie manifestazioni, nel promuovere alcuni piatti della tradizione trentina: spaetzle, tagliatelle fatte al momento, orzetto, tortel de patate, frittelle di mele e omelette.
L’impegno è sempre stato grande, portato avanti condividendo con gioia anche le fatiche, pensando
soprattutto al fatto che, con il ricavato, si sono potuti aiutare sia realtà locali che il mondo missionario.
Speriamo e ci auguriamo vivamente, come lo è per tutti, di poter riprendere una vita normale.
In questo particolare momento, come donne, siamo vicine a chi rimane orfano per colpa di mano omicida. L’educazione al rispetto dell’altro si insegna, prima di tutto, nelle famiglie, dove grande ruolo ha la donna.
di Fulvia Albertini
22.Roberta Nardon, attuale maestra della scuola materna di Lavis, classe 1965, è stata l’insegnante di due delle mie figlie, di mio nipote, dei figli dei miei cugini e pure degli stessi cugini. E’emozionante, credo, trovarsi un bel giorno davanti padre e figlio/a che ti chiamano entrambi “maestra”.
La maestra Roberta ha le mani d’oro, crea delle cose pazzesche con materiale di riciclo e non, per questo vicino alla sua sezione c’è uno stanzino, zeppo fino all’orlo delle più svariate cose. Per anni le ho portato giochi, costumi e oggetti vari, che venivano accuratamente catalogati e lì riposti, sicuri che prima o poi sarebbero stati riutilizzati/ricreati dalle sue fantasiosee mani.
Con lei voglio ricordare tutte le insegnanti, specialmente quelle dell’asilo nido e della materna, che per un certo periodo corto o lungo che sia, hanno fatto da mamme a noi (quando eravamo piccoli) e ai nostri figli, trascorrendo con noi un pezzo spensierato di infanzia, con ricordi indimenticabili.
di Roshanthi Nicolò
23.Giovanna è il mio nome inciso su carta per questo contributo, per questi racconti volti e con sguardo al femminile. Giovanna è una presenza unica, una costante fonte di ispirazione nella mia vita privata ma anche in quella pubblica.
Siamo donne intrecciate che un dí per caso si sono ritrovate sullo stesso punto di un sentiero e che poi passo dopo passo hanno scelto di costruire un legame indissolubile; siamo nuora e suocera, siamo figlia e madre. Donne fortemente indipendenti, anche l’una dall’altra, ed ognuna si è costruita il suo percorso in totale autonomia nel rispetto delle proprie identità e diversità ma senza timore di condividere e affrontare percorsi importanti.
Giovanna è per me, fra le moltissime altre cose, un esempio e un’ ispirazione positiva e di amore incondizionato. Le mie forti passioni in ambito associazionistico e politico certamente vengono da me soltanto, dalla mia voglia e desiderio di esserci, ma nel modo in cui cerco di vivere queste passioni e portare avanti vari percorsi spero sempre ci sia un po’ di lei: forte impegno, coerenza, serietà, estrema correttezza, e la scelta consapevole della discrezione anziché del facile clamore: il riconoscimento arriva comunque e tu certamente lo hai meritato e lo meriti ancora di più oggi.
Dedico a te Giovanna queste mie poche righe per dirti grazie dal profondo del mio cuore per tutto ciò che sei e che rappresenti: sicuramente è così per me, ma ritengo senza troppi dubbi che sia così anche per molte altre persone. Certamente è così per molteplici giovani donne e uomini che hanno avuto la fortuna di averti come maestra in età scolare!
Non è possibile esprimere tutto ciò che rappresenti per me, per le nostre famiglie e anche per la comunità. Hai dato e stai dando tantissimo nel tuo percorso di donna, madre, nonna, maestra, nell’ impegno politico e quello dell’ associazionismo. Ecco: a volte si guarda lontano, a nomi “famosi” o influencer per trarre esempio nelle nostre vite ma molto spesso queste persone le abbiamo accanto, vicine di casa e di cuore.
Grazie Giovanna!
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