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Quando i lavisani andarono a Vienna per protestare contro la nuova ferrovia

Lavis. I fatti di cui furono protagonisti i nostri avi sono un patrimonio importantissimo. Questa “storia locale” permette una visione interpretativa più completa di quella che può fornire la sola storia nazionale ed internazionale raccontata sui libri di testo.

La maestra delle elementari

1.Alle elementari dei miei tempi, negli anni 1955 – 1960, ricordo che la maestra Cesarina Moscon, che fu per anni insegnante di molti lavisani, ci raccontava in classe i fatti storici che erano accaduti nel nostro paese. Spesso indulgeva anche su quelli minori, che non sarebbero mai apparsi nei libri di testo suggeriti dal Ministero, ma che erano autentici tesori di cultura nostrana. Questi mettevano in evidenza i caratteri, gli usi, le abitudini, la vita quotidiana della nostra gente. Erano i fatti che ci appassionavano, come quello che voglio ricordare in queste righe.

Il progetto della ferrovia

2.Nel 1856 era in costruzione le ferrovia che doveva collegare Bolzano e Trento a Verona. Il progetto, come quello di quasi tutte le ferrovie dell’Impero Austro-Ungarico e della Svizzera, era in gran parte opera dell’ing. Luigi Negrelli, nostro illustre conterraneo del Primiero, più noto come risolutore dei grandi problemi di realizzazione del canale di Suez.

Certo per il paese sarebbe stata una bella comodità, ma le vaporiere sbuffanti volute nere e getti violenti di vapore candido, in un fragore di stantuffi, cigolii e sferragliamenti, erano macchine infernali, temutissime dai poveri contadini del tempo. Figuriamoci che questi erano già impauriti dalla “folle” velocità di talune dirigenze che in qualche rara occasione transitavano sul macadam della strada imperiale.

La protesta dei lavisani

3.No, quei mostri inquinanti dovevano stare lontani dalle case e dalle campagne. Era talmente radicato e diffuso questo timore, che si convocò un’adunanza generale dei capifamiglia per far fronte al grave pericolo, presi tra il veloce procedere della massicciata, da Bolzano in giù verso il paese, e l’evidente difficoltà di riuscire a far modificare un progetto che veniva da Vienna.

Una delegazione fu mandata alla direzione del cantiere per esporre il problema, ma qui fu loro risposto che localmente non potevano fare altro che eseguire scrupolosamente i progetti. Chi mai sarebbe stato in grado di cambiare, in corso d’opera, un tracciato tanto complesso? Proprio per questo fu suggerito agli ingenui lavisani di perorare la causa “più in alto”. Ingenui certo, al punto da diventare apparentemente impertinenti: decisero di rivolgersi direttamente all’Imperatore Francesco Giuseppe in persona.

I lavisani vanno dall’Imperatore

4.Detto fatto: scrissero a Vienna per avere un colloquio con sua Maestà Imperiale. E l’ottennero! Si formò una commissione. Presero in affitto una carrozza e si misero intrepidamente in viaggio. Ci volle un’intera settimana per raggiungere la corte di Vienna.

Ricevuti in Reggia, espressero i gravi timori e il grande desiderio dei loro compaesani con tanto trasporto, che Cecco Beppe li stette ad ascoltare a lungo e poi li congedò senza dare assicurazioni di sorta, ma anche senza cancellare motivi di speranza: avrebbe cercato di provvedere come meglio poteva.

Ritornata a casa con un’altra settimana di viaggio, la commissione convocò nuovamente l’adunanza di tutti i capi famiglia, svolgendo una relazione sulla spedizione e sul colloquio, molto interessante e cordiale, avuto con l’Imperatore. Un primo effetto su subito evidente: i lavori della ferrovia furono sospesi per oltre due mesi. Infatti occorreva del tempo per verificare se un’alternativa era possibile e, se si, dove spostare il tracciato. Ogni modifica era difficile e anche molto costosa, perché aumentava i chilometri, ma sopratutto più ad ovest si doveva andare con i binari e più il greto dell’Avisio si faceva largo, immenso: se il progetto originario prevedeva due o tre campate, la variante avrebbe dovuto considerare un ponte lungo circa un chilometro: il Ponte dei Vodi.

Il vecchio tracciato (in giallo) e la variante realizzata (in rosso)

Il nuovo tracciato e la salvezza del paese durante la seconda guerra mondiale

5.L’ing. Negrelli fu chiamato al lavoro e nel giro di due mesi il nuovo tracciato venne riprogettato e il cantiere riprese i lavori. Ovviamente, spostando il tracciato nel tratto tra la zona attuale Zambana Nuova e Trento, anche la stazione ferroviaria di Lavis si sarebbe allontanata dal paese, e venne prevista a circa due chilometri dalle case più vicine.

Questo disagio tuttavia si rivelò un’autentica protezione divina durante la seconda guerra mondiale, perché l’allontanamento della linea ferroviaria dall’abitato allontanò anche le bombe degli americani, che ripetutamente distrussero il ponte e che, diversamente avrebbero massacrato la popolazione.

Nelle perorazioni dei lavisani a Vienna, sarebbe stato certamente questo l’aspetto più importante e convincente da evidenziare, ma nessuno poteva prevedere il corso della storia. L’ingenua ma determinata intraprendenza di quei nostri antenati, forse, venne guidata da Chi vedeva più lontano.


Leggi anche – «È veramente bello»: l’inaugurazione del ponte San Giovanni Bosco a Lavis, in una lettera inedita del 1935


Carlo Refatti

Collezionista e appassionato di storia locale, è stato decorato con la croce nera del Tirolo È autore di alcuni libri sulle vicende belliche della prima guerra mondiale.

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