Lavis. Il funzionario asburgico roveretano Girolamo Andreis, nella prima metà dell’Ottocento, in pieno periodo romantico, partorì un’opera teatrale ambientata durante i giorni della battaglia di Lavis del 1809.
Si tratta di «Carlo e Lisetta ossia la battaglia di Lavis», un lavoro che descrive i tragici momenti della battaglia, che ha avuto luogo sulle sponde del torrente Avisio, il 2 ottobre 1809. Entrando piano piano nel dettagli, si tratta della storia d’amore fra Carlo, capitano franco-italico, e Lisetta: una vicenda che funge da cornice romantica ad uno spaccato di storia nostrana ed europea.
Nel corso delle guerre napoleoniche il borgo di Lavis si trovò ad essere uno dei principali luoghi di scontro tra gli insorti tirolesi e le armate napoleoniche.
Napoleone Bonaparte costituisce una delle figure più intriganti, enigmatiche ed affascinanti della storia. Fu un figlio della Rivoluzione francese e allo stesso tempo un argine alla stessa. Iniziò la sua carriera come capitano di guarnigione, diventò seguace di Roberspierre per poi finire i suoi giorni indossando gli abiti di imperatore dell’isola di Sant’ Elena.
Napoleone e il bonapartismo entrarono in ogni palazzo, in ogni chiesa, in ogni centro di potere e in ogni piccolo villaggio d’Europa. Napoleone introdusse nei paesi conquistati riforme volte all’ammodernamento della macchina statale. Se non fu lui a promuoverle direttamente, lo fecero i suoi alleati. Nel caso del Tirolo ci pensò Massimiliano I di Baviera il quale, in linea con il giuseppinismo e con il bonapartismo, promosse una serie di riforme per svecchiare l’apparato statale al fine di eliminare il potere dei ceti territoriali.
In linea con i principi dell’assolutismo illuminato, il governo di Monaco introdusse la leva obbligatoria per tutti i maschi adulti andando contro, nel caso del Tirolo, a quell’antica consuetudine, del 1511, secondo la quale i tirolesi erano tenuti ad impugnare le armi solamente per la difesa del proprio territorio. Il nuovo ordinamento militare e le riforme in materia ecclesiastica spinsero i tirolesi, nel 1809, ad impugnare fucili, forche e badili per rispedire i bavaresi a Monaco e i francesi a Parigi. In questa nuova fase dell’epopea napoleonica, tutta l’Europa tentò inutilmente di liberarsi di Napoleone.
A cercare di riportare l’ordine in Tirolo ci pensò il generale Peyri che, alla guida di un contingente franco-italico, occupò la città di Trento. Il 2 ottobre del 1809 pose l’assedio a Lavis. Al comando dei tirolesi vi era Giacomo Torgler il quale dichiarò:
Per gli insorti la battaglia si concluse con esito tragico. Il Peyri occupò il borgo di Lavis e quelli che non caddero sul campo di battaglia furono presi e fucilati nei pressi della chiesetta di Loreto. Girolamo Andreis fornisce una descrizione dettagliata dei fatti lavisani:
«Le vedove e i figli -come scrisse Agostino Perini nel 1852 nelle sue Statistiche del Trentino- si recarono ogni anno processionalmente dalle vicinanze di Bolzano a questo luogo a pregare per le anime degli estinti».
Il già citato Andreis, verso gli anni trenta dell’Ottocento, a ricordo della tragica battaglia di Lavis, partorì un’opera teatrale «Carlo e Lisetta, ossia la battaglia di Lavis». Una storia d’amore, in linea con lo spirito romantico del tempo, che si svolge proprio nel momento in cui i franco-italici attaccano il borgo di Lavis.
Carlo è un giovane capitano al servizio del generale Peyri; Lisetta è una giovane ragazza di Meano figlia di un proprietario terriero. I due si amano. Il giovane capitano, sempre ligio al dovere, per un momento si lascia trascinare da quel sentimento dall’amore e dalla passione. Al momento dell’attacco, invece di essere sul campo di battaglia, è in compagnia della sua amata. Al primo colpo di cannone è costretto ad abbandonare il suo amore per unirsi alla battaglia. Carlo guida la conquista di Lavis battendosi in modo così valoroso da ricevere l’ordine di fucilare i prigionieri. Otto sono i mal capitati tirolesi che dovranno subire la fucilazione per ordine del giovane capitano che, per un momento, è travolto da un sentimento d’esitazione.
Interroga uno dei prigionieri, un certo Mittempergher di Folgaria, sulle motivazioni di questa apparente e assurda rivolta. Nel dialogo di Mittempergher emergono i valori e principi dell’amore verso la patria, «il sentimento della sua libertà, della sua costituzione e l’affezione verso l’imperatore».
In questo confronto emerge lo spirito di generazioni e due mentalità diverse. Carlo è un soldato italiano che dovette abbandonare gli studi di filosofia a causa della coscrizione obbligatoria; Mittempergher è un semplice contadino legato alla propria terra e alle proprie tradizioni che combatte volontariamente per la salvezza della propria patria. All’interrogativo posto da Carlo «dove aveste potuto fondare le vostre speranze?», il nobile e romantico Mittempergher risponde «nella divina Provvidenza! Voi gia sapete, che questa è la regolatrice delle vicende del mondo; che in essa molto confidano i tirolesi».
Terminata la discussione, Carlo ordina di aprire il fuoco. A terra cadono tutti e otto, ma solo sette muoiono. Mittempergher, ferito gravemente, rimane sotto i cadaveri. Calata la notte fugge e trova rifugio in un ricovero prima a Giovo e poi a Bolzano. Per Carlo le cose si mettono male perché il comando francese scopre che i fucilati sono sette e non otto e che al momento dell’attacco non era presente. Per questo viene arrestato per alto tradimento.
Di fronte al tribunale militare Carlo si difende ammettendo, sì di essere arrivato tardi al momento dell’attacco ma, per quanto riguarda la fucilazione, di aver rispettato gli ordini. A salvare le sorti del giovane capitano è una lettera proveniente da Bolzano nella quale lo stesso Mittempergher descrive come è scampato al suo tragico destino testimoniando che Carlo ha veramente eseguito gli ordini impartiti da generale Peyri. Di fronte a questa testimonianza, Carlo viene liberato e congedato, dallo stesso Peyri, per potersi unire in matrimonio con la sua amata.
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