La memoria

Confini e viaggiatori nel Trentino del XVIII secolo

Lavis. Il Trentino si sviluppa come naturale via di comunicazione e di collegamento fra il mondo tedesco e quello italiano. È a partire dal medioevo – in modo particolare con l’affermarsi del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica di Ottone I di Sassonia – che il tratto compreso fra le Alpi (prima il Passo del Resia e poi quello del Brennero) e Borghetto inizia ad assumere una certa importanza strategica. Diplomatici, intellettuali, imperatori, ecclesiastici e mercanti fanno dell’asta dell’Adige la principale via di transito. Il passo del Resia, infatti, costituisce per secoli la via percorsa dai re di Germania per ricevere a Roma, dal Santo Padre, l’investitura a Sacro Romano Imperatore. Fondamentale è quindi il controllo da parte dell’autorità germanica sulla regione dell’Adige. Controllo che si concretizza con il diploma di Corrado II il Salico, dell’anno 1027, con il quale l’imperatore conferisce al vescovo di Trento Udalrico II il controllo sulle contee di Trento, Bolzano e Venosta.

A partire quindi dal medioevo il territorio Trentino e Tirolese trova un posto nello scenario europeo proprio come principale via di comunicazione. Aspetto questo che si accentua nel corso del Settecento con gli scambi fra i domini degli Asburgo e l’Italia. Trento, Rovereto, Bolzano, Brunico, Bressanone e San Candido, (i principali centri della “via d’Italia”) erano anche snodi importanti per le vie di comunicazioni secondarie che collegavano le vallate delle regione con la principale arteria stradale.

Limiti fisici


In molte cronache di viaggio emerge un dato costante: la difficoltà di movimento, montagne anguste e clima non favorevole pure in estate.
La conformazione geologica di un territorio sempre soggetto a slavine e frane mette i viandanti in situazioni di non facile condizione. A dimostrazione di questo sono le cronache redatte dai viaggiatori in transito. Marco Bellabarba e Serena Luzzi, nel volume terzo della collana Il territorio trentino nella storia europea, L’età moderna, (edizioni FBK, Fondazione Bruno Kessler), riportano la testimonianza di un viaggiatore polacco:

Le rocce troppo grandi e pericolose, poiché incrinate, cadono sulle strade… quel giorno, un pezzo di roccia grande come una media capanna cadde davanti a noi, mentre un altro pezzo si abbatté sul carro da trasporto che portava vino tirolese

Limiti mentali


Non ci sono soltanto difficoltà oggettive e concrete. A rendere difficile il mettersi in movimento ci sono anche limiti e difficoltà mentali. L’immaginario alpino, ricordano sempre Bellabarba e Luzzi, è «fatto di spiriti maligni, draghi, animali mostruosi e anime di peccatori che si crede abbiano scelto di vivere in quei luoghi abbandonati dagli uomini». L’uomo moderno, infatti, è superstizioso. Crede nel demonio, nelle streghe, nei licantropi e nei vampiri. Per tutto il Settecento, e per buona parte dell’Ottocento, le strade dell’Europa orientale, (o della parte orientale dell’Impero degli Asburgo) sono battute, infatti, da specialisti nella lotta contro i vampiri. Atteggiamenti e credenze che mettono l’imperatrice Maria Teresa d’Austria nella condizione di promulgare un editto contro il vampirismo: questo dopo aver affidato al medico di corte, Gerard Van Swieten (1700-1772), il compito di studiare e raccogliere testimonianze, fra il 1718 e il 1732, sull’esistenza o meno dei non morti.

I viaggiatori dell’Età Moderna: testimonianze


Anno 1608; relazione dell’ambasciatore Zustignan Zori:

Alli tre, passassimo per una terra, detta l’Avis da un’acqua che passa vicina al detto borgo e che entra nell’Adige, così chiamata: dove si passa sopra un ponte di legno, coperto, assai lungo, che divide la Germania dall’Italia. È sottoposto ad un barone, chiamato Dario Castelletto da Nomi, che fu ambasciatore in Spagna per l’imperatore, il quale ha in questo paese un assai ricco contado risiede in una terra chiamata Cembra, grande e ricca, fabricata anticamente dai cimbri, e però si chiama Cembra da quel nome di quella natione. (…). Alli quattro, partissimo da Trento e passassimo per Perzen. A questa terra comincia la Valsugana, nella quale si vede un lago, non molto largo e per un quarto di miglio lungo, nel quale dicono prendersi un buon pesce, e dal quale esce la Brenta, fiume navigabile. Questa valle è fertile di grano e di vino, e le sue montagne, che son a man destra, confinano con il Vicentino, copioso de legnami, li quali per via della Brenta si conducono a Venetia. Più passassimo per un terra, chiamata Levego, soggetta al vescovato di Trento…

Fra le cronache di viaggio forse più interessanti troviamo quella di Montesquieu. Il viaggio in Italia di uno dei padri fondatori dell’Illuminismo, si svolge fra il 1728 e il 1729. Qui alcuni estratti:

Lo stesso giorno, un’ora prima del tramonto, partii da Verona alla volta di Trento. Il paese è tutto pietre e roccia. Da Verona fino a Trento abbiamo seguito il corso dell’Adige, e da Volargne (la seconda posta dopo Verona) col rischio di precipitarvi dentro, data l’oscurità della notte, soprattutto nei pressi di una fortezza veneziana, chiamata la Chiusa, che s trova su una montagna e lascia solo un passaggio strettissimo fra le mura e il precipizio…
Queste popolazioni ai confini fra la Germania e l’Italia non controllate da nessuno; sono in certo senso, libere, e di conseguenza insolenti: non c’è nulla di peggio della plebaglia abbandonata a se stessa. Si aggiunga che i furfanti fissano più volentieri la loro residenza ai confini fra due Stati
Quando si lascia la bella Italia per entrare nel Tirolo, si rimane molto sorpresi: fino a Trento si vedono solo montagne, e così fino ad Innsbruck, e così fino a Monaco. Eppure se ne fa di strada. Trento è una città molto brutta. (…). C’è la chiesa di Santa Maria Maggiore, dove si tenne il concilio; è buona solo per celebrarvi una messa parrocchiale. Si comprende facilmente come a Trento non ci sia nemmeno un’opera d’arte degna della curiosità del viaggiatore
Partii da Trento il 31 luglio alle sei, ora di Francia. Non mi fermai né per mangiare né per dormire, e arrivai a Innsbruck l’indomani, alle 11 del mattino. Tutto il paese del Titolo che ho visto, da Trento fino a Innsbruck, mi è parso molto brutto. Abbiamo viaggiato sempre fra le montagne, da una parte all’altra, e sembra impossibile che dopo essere quasi crepato di caldo a Mantova, ho dovuto soffrire un freddo tremendo fra le montagne del Tirolo, sebbene avessi abiti adatti per l’inverno; e questo il 1° agosto
Il Tirolo, a mio parere, è come le stesse Alpi che separano la Germania dall’Italia. Quel che ne ho visto è, in generale, brutto: sono montagne quasi sempre coperte di neve, quasi sempre del tutto sterili. Da un versante, e dall’altro, la Germania e l’Italia possono facilmente difendersi dalle invasioni. Il Tirolo è una fortezza, e se i Romani avessero fatto un’unica provincia del paese che oggi noi chiamiamo Italia, e se la Repubblica l’avesse gelosamente custodita, sarebbe durata a lungo: invece la Gallia cisalpina fu posta sotto governatori speciali, e quindi il resto dell’Italia, dal Rubicone in giù, non poteva difendersi, e Pompeo fu costretto ad abbandonarla

Bibliografia

Pietro Cafaro, Trasporti e vie di comunicazione, Storia del Trentino, Volume V, L’età contemporanea, 1803-1918,

Edoardo Benvenuti , Nella regione dell’Alto Adige – viaggiatori e studiosi, Archivio per l’Alto Adige, 1908,

Montesquieu, viaggio in Italia, Laterza, 1995,

Andrea Casna

Andrea Casna, iscritto all'Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige, albo pubblicisti, è laureato in storia e collabora con l'Associazione Forte Colle delle Benne. È stato vicepresidente dell'Associazione Culturale Lavisana e collabora come operatore didattico con il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto.

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