N’Djamena – Ciad. Carissimi tutti, eccomi in Ciad già da 3 settimane.
Un viaggio lungo, troppo: tre aerei, Verona – Roma – Addis Abeba – N’Djamena, da casa a casa 28 ore. Ma quello che più mi pesava era l’ultimo controllo dal cardiologo: la fibrillazione atriale c’è ancora, mi ha detto il medico. Un fulmine a ciel sereno.
Si son presentate più alternative. Ho lasciato decidere al mio superiore qui in Ciad, un togolese, e al cardiologo: partire, curarsi e… quando i valori saranno ottimali un veloce aller-retour per un’altra cardioversione a TN.
Beh, Deo gratias che tutto questo è possibile e adesso sono qui.
Il clima, durante questo periodo, dovrebbe essere come in estate da noi; invece fa molto caldo, ogni giorno si va oltre i 40°. Pian piano cambierà. Anche l’umidità l’altro giorno era al 98%. La maglietta che porto, da mattino a notte, resta sempre attaccaticcia.
Le sorprese sono state tante. Le termiti nel mio ufficio hanno fatto festa, rosicchiando armadi, involucri ed anche un po’ di soldi (150€). Gli uccelli hanno nidificato abbondantemente sul poggiolo della mia finestra e anche adesso ci provano. Mi consolo dicendo che anche le bestie mi voglio molto bene.
Domenica 3 ottobre ho celebrato, per l’ultima volta, due messe a Kundul più la preghiera con i bambini. Kundul è un grosso villaggio distante 30 chilometri dove vado da otto anni. È stato un saluto e un addio, ma senza tanti entusiasmi come forse ci si potrebbe immaginare. Qui il clima è caldo, ma la gente è piuttosto fredda.
E’ stato un addio perché ora i responsabili del villaggio sono i Saveriani. Purtroppo ho faticato ad arrivare alla fine della seconda messa. Ero sfinito: il caldo, le medicine, il cuore, la diarrea… (senza sapere dove andare…); volevo solo tornare a casa. Un’umiliazione. Non ero affatto all’altezza.
Domenica prossima dovrei andare nel nuovo settore periferico, di cui sarò incaricato, ma mi dicono che le piogge han creato lunghi pozzangheroni ed anche con una doppia trazione, la macchina rischia di restare impantanata… vedremo.
L’altro giorni prima riunione della nostra comunità. Siamo in sei ciascuno con i suoi compiti. Siamo due italiani e quattro africani. Un caffelatte tutto da gustare.
Sabato messa alla prigione nella nuova installazione a 40 chilometri, con 3.000 detenuti. Per arrivare al luogo della preghiera ho attraversato cinque portoni in doppio ferro con muri alti 8 metri. Mi hanno spiegato e descritto varie cose della vita in quella prigione, sembra tutto incredibile… e non vado oltre.
Di ritorno – non lo sapevo – sulla stessa strada, poco prima c’è stata una manifestazione contro il governo violento e dittatoriale. La polizia ha sparato sui manifestati (le pallottole di gomma qui le danno ai loro bambini x giocare) e il bilancio è stato di due morti, decine di feriti fra i quali cinque molto gravi. Dovevo passare in mezzo: occhi in tutte le direzioni. Guai se toccavo qualcuno. Tensione massima, e… ce l’ho fatta. Deo gratias.
Vorreste delle foto? Impossibile come potete immaginare.
L’altro ieri sono uscito in macchina in cerca di un rubinetto, quello del mio lavabo è marcio. Niente da fare. In un batter d’occhio invece arriva la polizia e blocca tutto. “Ci siamo” mi son detto, perché per bene che vada andrà sempre male. Invece (una lezione che ho imparato fin dal mio arrivo qui in Africa), ho abbozzato un bel sorriso (non facile) e “mission catholique“, Questa é la nostra parola magica. “Ma lei è sacerdote?” Certo! ed ho mostrato la crocetta, via, via… con la mano. Era uno del Sud, forse anche cristiano perché parlava francese.
Domenica festa di S. Daniele Comboni, morto – sfinito dalla missione – a Khartoum il 10 ottobre del 1881.
Vi lascio con un caro saluto a tutti e con un po’ di humour (ma neanche troppo):
1. Cosa avete fatto a scuola? L’appello. E poi? Niente perchè siamo in 789, l’appello è finito a mezzogiorno.
2. I vostri piccoli vanno al Gardaland, qui se lo costruiscono
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