Corre l’anno 1960. A Lavis, come in tutta Italia, è in corso il boom economico del secondo dopoguerra. Si rifanno edifici, strade, ferrovie, ponti, fabbriche e si rinnovavano le campagne del fondovalle danneggiate dai bombardamenti. Anche in paese è tutto un fermento, sia dal punto di vista pratico sia culturale e sociale.
In quella che oggi è la casa di riposo, c’è l’infermeria mista, come sta scritto sulla facciata principale. Anche qui vengono improntate modifiche e rinnovamenti. Si acquistano nuove attrezzature, si ridimensionano i cameroni e si costruiscono nuovi bagni. L’arrivo di Ines, una nuova ostetrica, porta una ventata di novità per le donne.
Chiede e ottiene dall’amministrazione comunale la possibilità di ricavare, al piano terra dell’infermeria mista-casa di riposo, due stanzette comunicanti e l’uso di un bagno, che lei adibirà a saletta parto e stanza per donne e neonati. È una grande novità che permette alle donne di far nascere il loro bimbo in un ambiente più igienico e sicuro della casa.
Non c’è la possibilità di attrezzature per parti cesarei o difficoltosi, ma la presenza di un’ostetrica, della suora infermiera, e al bisogno del dottor Pisoni, sono assicurate. E poi, se subentrano imprevisti, si è più vicini all’ospedale della città rispetto ai lontani masi.
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È il 1960, il 12 febbraio.
La mia mamma, Annamaria Pilati, ormai al terzo figlio, è pronta con la sua valigetta. Soprattutto, è d’accordo con un vicino contadino, pronto a portarla alla “maternità” di Lavis il giorno del parto. La notte del 12 febbraio, poco dopo la mezzanotte, si sveglia per le prime avvisaglie.
Papà, Enrico Sala, ha un sentore strano, percepisce che c’è una calma inusuale… Nonna Angelica, io e mia sorella Donatella stiamo dormendo beate nella camera accanto. Apre un po’ la finestra e… sta nevicando. In strada, su via Manzoni a Pressano, ci sono già più di venti centimetri di neve!
Mamma è pronta, fazzoletto in testa, scarpe “alte”, calze di lana, la valigetta con i pochi indumenti per sé e il nascituro. Papà corre dall’amico col quale è d’accordo per il trasporto. Ma lui, nonostante abbia vari mezzi agricoli, una Fiat 600 e un grande motocarro, non si fida a guidare con la neve.
Che fare? Andare a piedi fino Lavis a prendere l’ostetrica nemmeno pensarci, serve troppo tempo. Ma c’è qualcuno che forse può dare un aiuto.
Poco lontano dalla casa dell’amico si sente il rumore di un motore. C’è un mezzo che sta sfidando il pericolo di scivolare… chissà che non ci sia una buona anima che sta scendendo a Lavis, anche se la notte è tremendamente buia.
Papà fa un sospiro, momentaneo, di sollievo: ce la faremo, qualcuno potrà accompagnarci in paese, pensa. Ma quando compare quel mezzo ha una brutta sorpresa: è lo spartineve a V di legno, con il trattore con lo sta trascinando e due uomini a bordo.
Papà nella disperazione chiede comunque che aspettino qualche minuto. Corre dalla mamma, spiega la situazione, avvisa la nonna che nel frattempo si è svegliata, e… si parte. Papà, seduto sul parafango del trattore, tiene l’ombrello sulla testa dell’autista. Mamma, con la valigetta stretta in mano, è seduta sulla traversina dello spartineve e guarda con apprensione la neve che cade incessantemente. A consolarla e rassicurarla c’è il mitico Settimo De Biasi, allora messo Comunale… e tanto altro. Lo spettacolo che vedono davanti a loro è da cartolina di altri tempi, con la notte illuminata soltanto dalla luce fioca del trattore.
Le doglie cominciano ad essere dolorose e ravvicinate.
Il paese di Lavis appare nel buio quasi assoluto. La corrente va e viene, come si diceva allora. Arrivati alla casa dell’ostetrica, papà salta dal trattore per chiamarla. Lei si posiziona sull’altro parafango e il viaggio riprende, via verso..”el ricovero”.
La bottiglietta di acqua di cedro ormai è finita dai due uomini con papà Enrico.
Ma il campanello del ricovero non suona!
Papà, preso dalla disperazione, corre dietro la casa dove sa che c’è un varco nella rete. Batte sul portone, e dopo qualche minuto che sembra durare un’eternità… si affaccia una suora che svelta svelta capisce la situazione e apre il portone.
Su ordine dell’ostetrica Ines, scalda un po’ d’acqua su un fornelletto a “spirit” (ad alcol), corre in chiesa a prendere due candelieri, i più grandi, a cera vergine, e li posiziona ai lati del lettino su cui mamma Annamaria è a pochi minuti dal parto. Papà Enrico non può assistere e torna a casa a preparare noi per la scuola materna, mentre la suora va in chiesa a pregare che tutto vada bene. Le contrazioni sono sempre più ravvicinate. La stanza è gelida e la notte è ancora buia, o quasi.
Ed è così che, al buio, al freddo, alle primissime luci dell’alba, nasce Gianluigi, mio fratello.
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