Oggi è l’8 marzo e per l’occasione vorrei ricordare un piccolo gesto che, anche se è di quasi 100 anni fa, dimostra come ci fosse un cuore anche negli uomini rudi del tempo, con i loro sentimenti molto spesso troppo nascosti….
Non c’era solo il senso di proprietà della donna, e di conseguenza la sua sottomissione.
Il protagonista è nonno Innocenzo, di cui ho già scritto qui su ilMulo. Quando gli chiesi di come si era dichiarato a nonna Rina (Daria), con una certa timidezza cominciò a raccontare… sembrava che nessuno fino a quel momento avesse avuto il coraggio di chiederglielo.
Era il tempo, inizio anni Venti, in cui vigeva ancora nelle famiglie patriarcali, l’usanza di costruire in famiglia l’incontro tra gli ignari due giovani, che avrebbero formato una nuova famiglia. Erano i genitori del ragazzo che adocchiavano chi sarebbe andato bene per il loro figlio, e di conseguenza spesso si puntava a un arricchimento dei campi da coltivare e da cui ricavare guadagno.
I quattro genitori si incontravano e discutevano. Fatto l’accordo, si decideva il giorno dell’incontro ufficiale tra i due: era quello che alcuni chiamavano el tocaman…
La storia per nonno Innocenzo è stata diversa. Era già sui trent’ anni, ormai in avanti con l’età rispetto ai suoi coetanei. Andando ogni giorno nei vigneti e nei prati vicino alla stazione dei treni, col carro trainato dai buoi, aveva tanto tempo per pensare e fare progetti.
«La casa c’è», pensava. «Spazio per una certa intimità pure, di che vivere anche».
Si era accorto che al maso Bonhof lavorava una ragazza e sapeva che era originaria della Val di Non. Anche lui si sentiva un po’ noneso, per via del trisavolo che era venuto ad abitare al maso Spon e poi a la Clinga.
Ha pensato, si è confidato col papà Luigi, e poi ha deciso di agire.
Sa che la ragazza, una bella florida giovane, si chiama Rina (Daria) Zadra e lavora perlopiù in cucina per far da mangiare ai signori e a qualche lavoratore.
È ancora inverno ma le giornate si stanno allungando. Il tiepido sole e qualche primula sbocciata ai bordi dei prati umidi, lo incoraggiano a fare il grande passo. Sale le scale in pietra, segue il profumo di cibo in cottura, entra in cucina. La cucina è immensa ma le pentole stanno in ordine, tutte appese.
Dal paiolo della polenta nemmeno un po’ di farina è stata rovesciata, segno che è una ragazza attenta a non sprecare. I secchi contenenti l’acqua per cucinare sono ben coperti per non far entrare polvere ed insetti.
Sono tutte cose che in lui fanno presagire un matrimonio nel segno della serietà e dell’oculatezza, grandi doto a quei tempi in cui i segni della Prima guerra mondiale erano ancora evidenti.
Lei si accorge di questa presenza inusuale. Lo accoglie gentilmente, anche se rossa in volto, e con trepidazione lo invita ad accomodarsi. Lui prende il coraggio a due mani, e cerca le migliori parole.
Senza tanti fronzoli, con molta emozione mal celata, le si avvicina, ma non troppo, e le parla in dialetto, con una frase che cercherò di trascrivere: «Toleè, vegniresse voi a far da magnar a me’ casa?».
Nonna, ancor più rossa in volto, non solo per il calore della cucina, col cuore che le batte a più non posso, visto che nonno le è subito piaciuto, risponde che sì, potrebbe anche venire a casa sua, ma sono con il benestare dei genitori Monica e Luigi.
Così poi avrebbero potuto “parlarsi”, come si usava dire allora quando ci si riferiva al fidanzamento.
Già quella sera lei prende carta, penna e calamaio e scrive a casa, a Tres. I suoi genitori acconsentono al matrimonio, ma le ordinano di ritornare intanto al paese, per fare il corredo. Nonno Luigi stilerà poi di fronte a un incaricato ufficiale la lista della dote.
L’esilio di lei a Tres prima del matrimonio serviva anche per non… cadere entrambi in tentazione. Gli incontri non erano frequenti. Nonno ogni tanto prendeva la Vaca Nonesa a Lavis fino a Dermulo e poi camminava per altri sei chilometri .
A nonno però, inguaribile romantico anche se con la tipica scorza contadina, non bastavano gli incontri al paese della nonna. Perciò faceva come aveva letto su dei libri di poesie. Raccoglieva a bordo campo e nei prati dei fiorellini, e come aveva visto fare dalle suore, li seccava dentro ai libri.
Poi comprava della carta, che ai tempi era preziosa, la ritagliava a piccoli rettangoli e su ognuno incollava un fiore e scriveva una dedica. Il postino aveva il suo bel daffare a portare le lettere lassù quasi ogni giorno.
Nonna Rina ogni volta che riceveva quelle missive, arrossiva. Alle sue amiche non succedeva certo.
Questi atti d’amore di nonno erano òa certezza che il suo sarebbe stato un matrimonio d’amore, di lavoro certamente, ma anche di profondo rispetto nei suoi confronti.
Ed è stato proprio così. Per più di cinquant’ anni.
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