Lavis. In un precedente articolo vi avevamo già raccontato della disputa tra i lavisani e il nuovo governo italiano per l’utilizzo delle acque dell’Avviso che andavano ad alimentare il sistema di rogge e che davano vita a tutto l’abitato e alle campagne circostanti.
Vi avevamo racontato di tutta la documentazione fornita a supporto del diritto gratuito all’utilizzo di questo bene prezioso vantato dai lavisani. Quello che non vi avevamo raccontato è come questa vicenda si sia conclusa. Dagli archivi dei nostri storici ecco che è spuntato un altro prezioso documento che ce lo racconta: si tratta della risposta arrivata direttamente da Roma e firmata da Antonio Leoni, Ministro Segretario di Stato per i Lavori Pubblici.
Il 16 marzo 1933 arriva da Roma un documento in risposta alle istanze presentate qualche anno prima da alcuni enti, dai titolari di attività economiche e dallo stesso Comune di Lavis. La questione è abbastanza delicata e a repentaglio c’è il benessere di un’intera borgata che vive in stretta simbiosi con il suo torrente.
Un primo elemento interessante è l’elenco dei firmatari di queste istanze. Ci sono i titolari delle principali attività economiche del paese che hanno presentato un loro documento tra la data del 10 aprile e il 25 maggio del 1930 :
Viero Francesco Saverio fu Francesco (lavanderia)
Cembran Antonio (impianto vinicolo)
Dorigatti Giuseppe fu Giovanni (molino)
Casagranda Giuseppe fu Giuseppe (segheria)
Beber Giacobbe fu Domenico (segheria)
Nardelli Abele fu Angelo (molino)
Obrelli Silvio fu Giuseppe (falegnameria)
Barin gaetano fu Tommaso (falegnameria)
Del Piaz Romano e fratelli fu Carlo (molino)
Dallas Maria e Giuseppina fu Felice (segheria)
Pezzi Rodolfo e fratelli fu Ilario (fucina e impianto per produzione energia elettrica)
Bazzanella Francesca fu Albino (molino)
Rella Angelo fu Carlo (molino)
Si costituirono parti interessate anche la Società Serica Trentina (con istanza 31 gennaio 1930), i consorzi nati per la gestione della acque (Consorzio Avisiano di Lavis, Consorzio sponda destra dell’Avisio e Consorzio Aicheri) e lo stesso Comune di Lavis (con istanza 7 luglio 1930).
L’interesse comune era quello di ottenere il riconoscimento del diritto (gratuito) di deviare dal fiume Avisio la quantità d’acqua necessaria per gli usi industriali, irrigui e potabili.
Immaginiamo che i firmatari confidassero in un esito positivo, leggendo che:
Il documento prosegue poi andando a specificare per ogni richiedente la quantità di acqua ritenuta necessaria per lo svolgimento delle rispettive attività. Anche questa considerazione è di buon auspicio per una soluzione favorevole della controversia:
Ma si sa che i documenti vanno letti fino in fondo e che dove ci sono interessi economici la possibilità di guadagno spesso prevarica il buon senso e tutte le altre considerazioni.
Ecco che allora il governo di Roma decretò che:
Art. 2) – L’acqua dovrà continuare ad essere derivata come per il passato, senza apportare alcuna modifica alle opere di presa, utilizzazione restituzione.
E fin qui tutto bene. La doccia fredda arriva però con l’articolo 4 dove i lavisani scopriranno l’istituzione di un canone prestabilito sulla base della portata concessa. A creare il malcontento non fu solo la tanto temuta tassa ma anche la sua decorrenza. Proseguendo la lettura dell’articolo scopriamo infatti che il nuovo governo italiano aveva deciso di applicare il canone in via retroattiva, a partire dal 30 giugno 1921.
Alla volontà di fare cassa dell’allora Governo Italiano non sfuggì nemmeno il Comune di Lavis, che fu assoggettato alla tassa per gli usi potabili dell’acqua che aveva da sempre derivato dal torrente Avisio.
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