Il caso o forse il destino ci hanno portato a conoscere le vicende di Amos, un lavisano con una storia triste e una grande passione
Reggio Emilia. La nostra storia inizia a Reggio Emila, presso la Biblioteca Carlo Livi, proprio dove era terminata quella di Amos. Attraverso amicizie comuni siamo venuti a sapere che un nostro concittadino aveva destato curiosità ed era oggetto di studio da parte di un’associazione del posto. La cosa ha incuriosito anche noi e l’amico Enzo Marcon (Cic) ha iniziato un fitto scambio di mail e telefonate con i referenti di questa associazione. Da qui, il passo a fare una trasferta a Reggio Emilia è stato breve e un giorno di fine inverno ci siamo recati presso la biblioteca dell’ex manicomio San Lazzaro per conoscere meglio la storia di Amos Clementi.
Amos Clementi
Di Amos non sappiamo molto, o meglio sappiamo molto degli ultimi anni della sua vita ma poco della sua giovinezza. Le informazioni che sono arrivate a noi le abbiamo ricavate dal suo certificato di nascita e dalla sua cartella clinica, custodita a Reggio Emilia.
Amos nacque a Lavis nel 1851. Non sappiamo come passò la sua giovinezza, che studi fece o se viaggiò. Sappiamo che si sposò con Viola e che ebbero cinque figli.
Insieme alla famiglia gestiva un’attività a Mezzolombardo e commerciava “vino, coloniali e confetture”. Questa doveva essere un’attività particolarmente redditizia perché… ad un certo punto il problema di Amos venne preso in carico dalla famiglia. Dopo un primo ricovero al manicomio di Pergine, forse troppo vicino e soprattutto ancora dentro i confini dell’impero austro-ungarico, la famiglia decise trasferire Amos presso il manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia.
Il ricovero al San Lazzaro
Il manicomio di Reggio Emilia nacque come lebbrosario nel XII secolo, ma nel corso del Settecento divenne luogo di ricovero riservato all’assistenza degli alienati.
Nei primi anni dell’Ottocento, grazie all’attenzione e alla lungimiranza di alcuni direttori, il manicomio crebbe di fama e si ampliò. Questo istituto divenne uno dei pochi ospizi pubblici a cui ricorrevano anche famiglie agiate per collocarvi i loro malati. La struttura divenne una vera e propria “cittadella”, costituita da numerosi padiglioni, presso i quali gli ammalati vivevano occupati quotidianamente in varie attività.
Amos venne ricoverato al San Lazzaro il 28 aprile del 1890, a 39 anni. Dalla cartella clinica abbiamo scoperto che era una malato di seconda classe, quindi ricco. La retta che pagava la famiglia gli consentiva di avere una certa indipendenza e anche spazi privati per gestire i suoi interessi.
Ma quale era il problema di Amos? Si trattava di un problema comune a molti pazienti della struttura: l’alcolismo. In quegli anni era frequente che i familiari facessero ricorso ai ricoveri nei manicomi quando la persona affetta da questa dipendenza diventava “pericolosa per se, pericolosa per gli altri o per pubblico decoro”. E la cosa era ancora più frequente nelle famiglie agiate dove era meno imbarazzante allontanare la persona piuttosto che cercare una riabilitazione in famiglia.
Il legame con la propria famiglia e la propria terra
Dagli scambi epistolari custoditi nella cartella clinica emerge come Amos fosse un fiero cittadino austriaco e un fervente cattolico, che avesse a cuore gli affari e che, pur consapevole dei suoi problemi, sperasse di tornare a casa presto.
In una lettera indirizzata al figlio inizia così
Nella stessa lettera continua mandando le sue idee e uno schizzo per l’ampliamento della cantina, segno della sua volontà di tornare presto alla sua vita normale e alla sua attività a Mezzolombardo.
In un’altra lettera scrive ancora alla moglie per parlare della sua malattia e per avere notizie dei figli, chiedendo anche che andassero a trovarlo. La delusione nel leggere la risposta arrivata qualche settimana dopo probabilmente ha ampliato il suo sconforto e il suo senso di solitudine:
Amos non tornerà più a casa a riabbracciare moglie e figli in quanto morì di tubercolosi polmonare nel manicomio di Reggio Emilia. Era il 2 agosto 1894.
Amos e la musica
Fino a questo punto la storia di Amos potrebbe essere simile a quella di molte altre persone di metà Ottocento. Quello che l’ha fatto emergere dall’oblio e che ha destato l’interesse prima in alcune persone dell’Associazione L’Indaco e poi nei suoi concittadini è la sua grande passione: la musica.
Essendo – come dicevamo – un paziente di seconda classe, Amos aveva a disposizione anche uno piccolo studio e un pianoforte. Nelle sue giornate solitarie componeva musica, e in particolare ballate che lo riportavano tra le sue montagne, tra la sua gente, nelle tradizioni che tanto amava.
Se siete curiosi di conoscere meglio questo personaggio, la sua storia e la sua musica, vi aspettiamo sabato 4 giugno alle 20.30 presso l’Auditorium comunale di Lavis.
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