Lavis. Dopo le strepitose partite che portarono la nostra nazionale di calcio alla finale mondiale in Spagna nel 1982, sarebbe stato d’obbligo mettersi comodi in poltrona davanti alla TV per seguire quel pezzo di sport azzurro tanto atteso. Ma avevo altri progetti. Nella stessa giornata era infatti prevista anche una uscita esplorativa che il gruppo speleologico Sat Lavis aveva programmato da tempo nella grotta Cesare Battisti in Paganella.
Con gli amici speleologi/ghe del gruppo lavisano, di buon mattino, ci siamo avviati: destinazione Santel di Fai della Paganella. Parcheggiata la A 112 e il furgone Fiat 238 ci siamo incamminati lungo la “strada da Broz” (da biroccio) per malga di Fai e poi per Dosso Larici fino all’ingresso della grotta Cesare Battisti a quota mt. 1880. Uno degli gli obiettivi dell’uscita era risolvere l’enigma delle correnti d’aria in fondo alla via dei pozzi. Io la raggiunsi con l’amico Paolo Terzan (Gigio) mentre gli altri perlustravano altri rami della cavità.
Una fessura apparentemente inagibile che aspettava da 53 anni di essere percorsa; strettissima e terribile nonostante i suoi soli 25 metri, dove i caschi sfregavano sulle pareti e le gambe si incastravano più in basso. Il premio alla tenacia fu un saltino verticale oltre fessura che ci portò su un agevole cunicolo in discesa con piccole ostruzioni facilmente rimovibili, dove nessuno aveva mai posato piede. L’emozione era unica.
Proseguendo, un salto di una decina di metri nel vuoto ci obbligò all’uso di una corda che ancorammo ad un grosso masso. Pari o dispari per chi doveva scendere per primo e la promessa di aspettare l’altro per poter gustare insieme il resto dell’esplorazione. Una grande galleria si presentò ai nostri occhi. Poi cunicoli, camini e pozzi che dedicammo alle tre ragazze del nostro gruppo, prime donne a discendere il grande pozzo Trieste all’abisso di Lamar.
Tornammo indietro dopo aver esplorato uno stretto cunicolo che ci portò a vedere la luce esterna, ma che era inaccessibile per le esigue dimensioni. Avevamo perso la cognizione del tempo e gli amici usciti da qualche ora si stavano preoccupando. Li trovammo tutti in attesa all’ingresso e gli abbracci furono il preludio di racconti ed emozioni. Le esplorazioni con calate in parete delle domeniche successive ci portarono a conoscere lo sviluppo della grotta per quasi 2 chilometri.
Paura e stupore si erano diffusi tra i primi esploratori della grotta quando, nel 1929, avevano raggiunto l’enorme spaccatura nella parete della Val Trementina chiamata poi “bus de le grole”. Si scriveva nelle recensioni di allora:
Diverso fu il rumore che ci sorprese in cammino verso le macchine dopo le ore 21.00 di quell’11 luglio 1982. Il tempo era volato e, mentre noi avevamo ancora negli occhi lo stupore delle nostre scoperte, allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid era iniziata la finale dei campionati del mondo di calcio. Un boato assordante e cupo salì dalla valle dell’Adige.
Ci guardammo sorpresi con una unica risposta: sicuramente ha segnato l’Italia. Senza ancora sapere il risultato ci affrettammo per cercare di vedere almeno uno scampolo di partita. Ma la strada era lunga. Solo quando raggiungemmo di corsa Fai scoprimmo il punteggio finale: 3 a 1. L’Italia era campione del mondo.
Era troppo tardi per vedere in diretta Dino Zoff sollevare la coppa e le poltrone ormai non ci avrebbero accolti. Non rimaneva altro da fare che unirci ai suoni festosi dei clacson che si avvicinavano alla città. Ma noi avevamo due motivi per festeggiare.
La grotta Cesare Battisti fu scoperta nel 1929 da Adolfo Scartezzini e da un gruppo di alpinisti appassionati del mondo ipogeo della Sosat e Sat trentine, che nel ventennio fascista (in piena crisi economica, con l’aumento della disoccupazione e la diminuzione dei salari) si diedero alla ricerca di nuove cavità con battute sistematiche in Paganella.
La nuova funivia collaudata nell’agosto del 1925 da Umberto Nobile che portava da Zambana “Vecchia” a Fai della Paganella (e successivo tronco che raggiungeva Dosso Larici a quota 1900 metri) agevolò gli indomiti esploratori. Carichi di attrezzature raggiungevano facilmente da Trento la stazione di partenza di Zambana attraverso la Vela e Ischia Podetti, lungo la sterrata chiamata “strada del sangue” perché realizzata dai prigionieri russi e serbi nel 1916 durante la grande guerra.
In quegli anni la grotta fu esplorata e in buona parte topografata per un chilometro tra grandi sale, meandri e pozzi verticali, divenendo la cavità più estesa della regione. Narciso Adami documentò fotograficamente alcuni aspetti delle grotte trovate in Paganella ed ebbe l’intuizione di lasciare un ricordo ai posteri firmando a matita con il suo gruppo di esploratori un biglietto e inserendolo in una bottiglietta di vetro che nascose nella grotta Staloti. Questo biglietto è stato rinvenuto da chi scrive nel luglio 1977.
Il geologo G.B. Trener e il cognato geografo Cesare Battisti furono tra i primi speleologi trentini. Gli esploratori pionieri ricorderanno con un battesimo della cavità senza cerimonie la memoria del martire intitolandogli la grotta appena scoperta con queste parole:
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