La cultura

Sarajevo 1992-1996. L’assedio più lungo

Rovereto. È stata inaugurata, il 16 novembre 2022, presso il Museo della Guerra di Rovereto, la mostra di immagini scattate dal reporter Mario Boccia a Sarajevo tra il 1992 ed il 1996.
Mario Boccia ha scelto di lavorare sulla resistenza civile della città, ha fotografato la vita, non solo la guerra. La mostra, che rimarrà aperta fino al 4 giugno 2023, è stata organizzata dal Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto e Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa.

Bombardamento di granate sulla via

Gli interventi


Marco Abram, dell’Osservatorio Balcani Caucaso, nel corso dell’inaugurazione, ha spiegato ai presenti che quelle dei Balcani «sono guerre ancora escluse dallo spazio della memoria, forse perché l’area dei Balcani è vista come una sorta di periferia: uno spazio di ambiguità e/o semi civilizzato. Per questa ragione, forse, quella storia viene percepita come non del tutto nostra. In realtà la storia dei Balcani, di quel mondo percepito come periferico è una storia drammatica che appartiene a tutti noi. Ed è giusto quindi affrontare la complessità di quelle guerre. Le fotografie di Mario Boccia aiutano a capire quella guerra: sono fotografie che pongono molte domande e che fanno riflettere» su un fenomeno che è tipico delle guerre del Novecento, vale a dire «quello della guerra ai civili. Ma durante la guerra Sarajevo è una città viva sotto molti aspetti: è viva nella sua quotidianità ed è viva anche sotto l’aspetto culturale. È una resistenza quotidiana. È un mostra questa che racconta non solo la morte, ma anche la vita».

Il fotografo Mario Boccia ha iniziato il suo intervento citando Padre Stjepan Duvnjak: «l’identità della Bosnia necessariamente contiene in sé la molteplicità. L’identità comune non deve assorbire le differenze e le differenze non devono distruggere l’identità comune. Riconoscere l’altro non significa assimilare o farlo uguale a noi, ma permettergli di essere diverso nella forma sociale, culturale e religiosa». L’identità bosniaca, quindi, si basa «su un confronto secolare dove le differenti culture, che hanno saputo attingere l’una dalle altre, hanno prodotto qualcosa di nuovo.

In Jugoslavia ci andavo in vacanza da piccolo -racconta Boccia: era la città dei miei ricordi d’infanzia, quindi è come se la guerra fosse entrata dentro di me, nei miei ricordi. Perché è durata quattro anni questa guerra? Perché bisognava dividere quella molteplicità descritta da padre Duvnjak. La guerra è durata 4 anni perché dovevano cacciare di casa più della metà della popolazione. Con i primi spari in Slovenia, nel 1991, la reazione delle persone oneste era lo stupore: una delle frasi ricorrenti prima della guerra era “la guerra non ci sarà” perché erano troppo abituati a vivere insieme. Lo sguardo di stupore degli onesti è diverso da chi, invece, la guerra la fa.

Fare le fotografie in combattimento è facile perché non comporta problemi morali. La cosa imbarazzante è guardare negli occhi chi fa la guerra perché ci si rende conto che» quelle persone sane che sparano anche ai bambini, «sono simili a te: è troppo facile identificarsi con le vittime, ritengo sia molto più utile cercare di capire le somiglianze che potremmo avere con gli assassini». Boccia ha poi concluso il suo intervento con la poesia tratta da Qualcuno ha suonato, di Izet Sarajlić: «Solo la guerra non suona quando entra nelle case della gente. Entra come se fosse suo diritto».

Campi minati a Dobrinja. Marzo 1996

La mostra


Le immagini in mostra – , come si legge nella nota stampa- sono state scattate a Sarajevo tra il 1992 ed il 1996, nei lunghi giorni dell’assedio e nei mesi immediatamente successivi.
Nel suo lavoro di fotogiornalista, Mario Boccia non ha mai voluto forzare le immagini. Ha scelto di lavorare sulla resistenza civile della città, cercando di raccontare il dramma senza mostrare il sangue. Come ha detto Benjamina Karić, sindaca di Sarajevo, bambina durante l’assedio, Boccia ha “fotografato la vita, non solo la guerra”.

Il Museo Storico Italiano della Guerra e Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa hanno scelto di aprire una finestra su una guerra lacerante e vicina nel tempo, quella nell’ex Jugoslavia, che grazie al vivido racconto fotografico di Boccia diventa uno squarcio sul presente.

Da giornalista, a Sarajevo ha cercato un approccio diretto con la città e i suoi abitanti. Quando possibile, ha scelto di chiedere ospitalità presso civili che si sono sempre mostrati straordinariamente ospitali e con alcuni dei quali ancora oggi è legato da un rapporto fortissimo.
Boccia ha scelto di fotografare gli assediati, ma anche gli assedianti, attraversando spesso le linee del fronte, nella convinzione che “identificarsi con le vittime è facile e rassicurante, ma può essere ipocrita. Al contrario, mostrare quante affinità possono esserci con i cattivi è necessario per capire come il fanatismo ideologico e la guerra riescano a stravolgere valori umani elementari.”

La mostra offre una lucida analisi dell’impatto della guerra su persone, società e cultura e offre uno strumento per sviluppare una coscienza critica rispetto alla storia dei conflitti.

Il Museo della Guerra da alcuni anni ha allargato la propria attenzione anche alla seconda metà del Novecento, con iniziative espositive e culturali che affrontano fenomeni complessi, proponendosi come un luogo aperto al pubblico per interpretare e decodificare i conflitti.  Da anni collabora con Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa proponendo alle scuole percorsi relativi ai conflitti nell’area balcanica e nei paesi del Mediterraneo, sulla nascita dell’Unione Europea e sui valori su cui essa si fonda.
La scelta di curare questa mostra fotografica dedicata all’assedio di Sarajevo nasce dunque dalla volontà di raccontare un conflitto recente, abbracciando una funzione del museo che è anche quella di luogo di interpretazione del presente.

Almedina studia vicino alla finestra. Settembre 1993

Informazioni


Mario Boccia, fotogiornalista freelance, ha realizzato reportage su questioni internazionali e pubblicato articoli e fotografie su molte testate giornalistiche italiane. Ha lavorato per vent’anni in scenari di guerra e povertà in Europa, Africa, America Latina e Medio Oriente, cercando di individuare segnali di speranza anche nelle situazioni più disperate. È stato corrispondente e inviato de “il Manifesto” da Sarajevo, Belgrado, Pristina, Skopje, Dyarbakir e Baghdad. Le sue foto sono state utilizzate per promuovere campagne di solidarietà di varie ONG, organizzazioni no-profit, e Agenzie delle Nazioni Unite.

Sarajevo 1992-1996. L’assedio più lungo
Fotografie Mario Boccia
Testi di Mario Boccia, Marco Abram, Luisa Chiodi
A cura di Museo Storico Italiano della Guerra, Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa
La mostra è aperta dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle ore 18.00. Ingresso compreso nel biglietto del Museo.
Realizzata grazie al contributo della Provincia autonoma di Trento e del Comune di Rovereto.

La piccola Benazir. Marzo 1996
Andrea Casna

Andrea Casna, iscritto all'Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige, albo pubblicisti, è laureato in storia e collabora con l'Associazione Forte Colle delle Benne. È stato vicepresidente dell'Associazione Culturale Lavisana e collabora come operatore didattico con il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto.

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