Lavis. Oggi sarà forse difficile a credersi ma tra le innumerevoli opere artistiche che si trovano sin dal 1777 all’interno della bellissima chiesa arcipretale lavisana dedicata al patrono Sant’Udalrico, negli anni 40 del secolo scorso esisteva anche il famoso e indimenticato “altar del formai“. E spieghiamo subito l’antefatto storico-logistico che trae origine dai terribili anni dell’ultima guerra mondiale, soprattutto il 1944, anno definito dalla storia come il più disastroso anche per l’intera comunità di Lavis.
Entrando nella spaziosa chiesa lavisana, in fondo alla navata laterale di sinistra, praticamente quella che confina con il 2° Vicolo del Pristòl, si vede anche oggi il caratteristico altare recante la pala di San Francesco d’Assisi mentre riceve le stigmate dal Crocifisso circondato dagli angeli. Il dipinto è opera dell’artista trentino Alcide Davide Campestrini e venne donato, alla chiesa arcipretale, insieme all’intero altare dal conte Mario Melchiori. L’altare completato in ogni sua parte venne consacrato nel 1909 dal Vescovo di Trento Celestino Endrici con una grande festa di popolo.
L’altare era stato eretto proprio nel posto dove, sin dalla costruzione della chiesa, esisteva un grande armadio che custodiva, tra gli altri materiali della chiesa, anche i vari gonfaloni per le processioni. Probabilmente il grande armadio era collegato con un passaggio all’attiguo locale che fungeva da deposito-cantina, ricavato proprio nella roccia del vicino Pristòl. Dopo la costruzione dell’altare, proprio dietro alla pala di San Francesco, era rimasto uno spazio libero, della grandezza di poco più di un metro cubo, circondato dalle mura intonacate. Sicuramente in pochi conoscevano quello spazio libero dietro all’altare rimasto per anni e anni lontano da occhi indiscreti. Ma questo spazio-contenitore segreto non era certo sfuggito alle attenzioni dell’allora arciprete-decano don Celestino Brigà, rimasto in cura d’anime a Lavis dal 1927 fino al 1960.
Da quello spazio, angusto e nascosto, don Brigà aveva ricavato, per tutto il periodo della seconda guerra mondiale, un vero e proprio magazzino alimentare, particolarmente dedicato al formaggio. Si saliva in due sul piano dell’altare (insieme a don Celestino c’era quasi sempre il sacrestano Udalrico), naturalmente dopo avere levato la pietra sacra che era incavata nel centro. Le istruzioni era semplici ma decise: uno per parte si sollevavano i due angoli in basso del grande quadro e, spingendo con forza verso l’alto, la pala usciva da una specie di battuta della cornice e così si poteva sollevare e levare completamente l’intero manufatto. All’interno c’era questo piccolo locale che poteva contenere anche una trentina circa di forme di formaggio di ogni tipo e qualità, molte dal profumo suadente e appetitoso, altre sicuramente meno attraenti come olfatto. Ma non si stava certo a guardare questi piccoli dettagli di poco conto e importanza. Era praticamente un vero e proprio deposito in grande stile.
Nessuno avrebbe mai pensato che proprio dietro all’immagine di San Francesco si nascondesse un magazzino-ricettacolo-rifugio di formaggi vari. Si poteva trovare il vezzena nostrano, l’asiago di malga, e naturalmente anche il “formai de casel” proveniente dalle malghe trentine. Tutte qualità popolari che in quel periodo erano difficili da trovare anche presso i contadini più raccomandati e attrezzati. Gli arrivi dei formaggi erano segreti e a conoscenza solamente di pochi intimi. Solitamente erano i contadini e i produttori di latte delle valli intorno a Lavis e dell’intero decanato che portavano il loro formaggio in certe ore della giornata e contenuto in sacchi trasportati sui carri mascherati con del fieno e legna. Anche da Enguiso (paese natale di don Celestino) e da qualche malga di quelle zone, arrivavano periodicamente diverse forme di formaggio veramente buono.
Tutto questo serviva all’arciprete per aiutare le famiglie che erano a corto di viveri in casa, poi per i bambini dell’Asilo e la San Vincenzo che aiutava i bisognosi. Un bel pezzo di formaggio non mancava mai a nessuno nel paese. Logicamente la maggior parte veniva offerta e regalata ai più bisognosi. Quelli invece che disponevano di soldi potevano scegliere il tipo di formaggio che desideravano e pagarlo, con qualcosa di sovrappiù, per finanziare l’intera operazione di solidarietà del decano. Per alcune signore della borghesia “bene” di allora era disponibile anche qualche pezzo di grana trentino, ma queste erano delle vere e proprie rarità, rivolte solamente a chi solitamente faceva, come riscontro, tanta carità e beneficenza locale.
E questo non era certamente un mercato nero, deplorevole pratica diffusa in quel triste periodo anche a Lavis. Si sarebbe potuto benissimo creare questo magazzino in canonica, che a quei tempi disponeva di una bellissima e praticissima “caneva fonda” che sembrava fatta apposta per conservare il formaggio; ma questo sarebbe stato troppo esposto alle diverse scorribande nazi-fasciste che periodicamente prendevano di mira la canonica e lo stesso don Celestino. Questi aveva quindi preferito creare il deposito del “formai” proprio nel vano dietro alla pala di San Francesco, anche perché quel luogo ascetico e intoccabile godeva sicuramente anche della protezione incondizionata dello stesso poverello d’Assisi.
A guerra finita, si venne poi a sapere che le ultime forme di formaggio rimaste dietro all’altare vennero utilizzate per le grandi feste e le manifestazioni di popolo organizzate per la fine del conflitto, nel maggio 1945. Feste anche al rifugio antiaereo sul Pristòl e anche nel piazzale del Ricreatorio di via Carmine, formaggio per tutti, grandi e piccoli, con le “merende” all’aperto.
Qualcuno aveva poi puntualmente ricordato che quando si utilizzava l’altare per la Messa nella ricorrenza annuale di san Francesco – il 4 ottobre di ogni anno – il celebrante con i chierichetti al seguito percepivano ancora quello strano, stranissimo odore di formaggio stagionato che usciva da dietro la pala del Santo. Un olezzo strano ma inconfondibile che non veniva sopito nemmeno dalle ripetute e soventi incensazioni con il turibolo, tutte dirette verso San Francesco.
E anche quando mutava il tempo atmosferico e dal Pristòl scendeva la solita umidità verso la chiesa, le zaffate di formaggio sui risentivano, eccome! Era allora il buon sacrestano Udalrico che prontamente riferiva ai curiosi di turno che era tutto regolare perché “cambia el temp” e poi ogni tanto si sente questo odore di… formaggio, è vero, ma tutto questo avviene quando la chiesa è piena di fedeli, con così tanta gente insieme è facile che l’odore che si sprigiona sia poi quello che più assomiglia al … formaggio !
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