Cembra. La storia che vi raccontiamo oggi arriva da Cembra. È un racconto di vita e di speranza, l’ideale per augurare ai nostri lettori un buon Natale!
Correvano gli anni’60, la guerra, terminata da poco, non aveva segnato granché Cembra ma anche qui si respirava un’aria di rinascita.
L’acqua era arrivata finalmente in ogni casa, così come i primi bagni con le piastrelle. La cucina a gas è un lusso che ora ci si può permettere mentre il frigorifero, la lavatrice e la televisione sono ancora un sogno.
Nonostante questo veloce progresso in molte famiglie esiste ancora il patriarcato: i figli si sposano e portano la moglie a vivere con suoceri, cognati, cognate, nipoti e non sempre la vita in comune è facile.
Mamma Antonietta e papà Guido si sono sposati nel 1959 e vivono coi nonni paterni.
Subito la vita di mamma si fa pesante. Oltre a lavorare nei campi con papà, che l’adora, deve anche accudire le mucche, le capre, i conigli e le galline, aiuta a far legna nel bosco, a falciare i prati per il fieno e infine coltiva pure l’orto. Nella famiglia allargata collabora con la cognata che da poco aveva partorito.
Questa vita la stanca tanto e inoltre c’è la piacevole novità: è in dolce attesa. Papà ne è felicissimo e assieme decidono che è ora di fare la loro vita. Acquistano una casa tutta per loro e subito si trasferiscono.
In questo modo mamma ha così più tempo per lei, ma la fatica sopportata in precedenza l’ha segnata. La vita nella nuova casa non è comunque una vita nell’ozio: prepara il corredino, coltiva l’orto e tiene in ordine la sua casa.
A luglio, in attesa di 6 mesi, sente dei dolori mai provati prima… E’ il tempo della sega da mont, e non pensa a chiamare il marito per un semplice mal di pancia. Il dolore pero’ continua, si fa intermittente e sempre più forte. La preoccupazione aumenta e la sua mamma decide di andare a chiamare in campagna papa’.
Sono dolori da parto e arriva pure l’ostetrica-comare.
La biancheria per lei ed il nascituro sono già pronte.
Il buon vicinato e la mamma si danno da fare a scaldar acqua come sempre si fa in questi momenti. Arriva pure il medico condotto che non era ancor partito per visite nei paesi vicini.
Papà è in apprensione, il medico scrolla la testa… la disperazione cala cupa su tutti i presenti. Bisognerà battezzare subito la creatura appena nata altrimenti, come aveva imparato al catechismo, non andrà in paradiso, ma solo lì vicino, nel limbo.
La mamma fa tutto ciò che l’ostetrica comanda mentre papà prega, ripetendo il nome che darà alla creatura: Giovanna o Giovanni.
E finalmente, o forse no, nasce. È una frugoletta di poco meno di un chilo! Ci sta nelle mani di papà, si muove, prova pure a piangere.
Papà la battezza con le lacrime agli occhi col Battesimo di volontà.
E ora? Che si fa? Se rimane a Cembra, come dice il medico, la bimba morirà. L’unica tenue speranza sarebbe quella di portarla a Trento all’ospedalino.
Di cercare una macchina neanche parlarne, a piedi morirà lungo il percorso, esiste solo un modo: una corsa disperata con la bicicletta.
Nonna cerca la scatola di fili e bottoni che aveva ricevuto coi punti in cooperativa, la fodera con ovatta, e la bucherella tutta cosi come il coperchio. Riempie una bottiglietta della birra con acqua tiepida e la chiude con un pezzetto di tutolo (interno della pannocchia) e la mette nella scatola. Papà, con una delicatezza mai aveva avuto prima, adagia la piccola Giovanna nella scatola.
La disperazione, ben celata, lo prende, ma deve fare tutto quello che può e oltre per provare a salvare la sua bambina. Il medico non crede che vivrà ma lascia che papà faccia ciò che desidera.
Chiusa la scatola col coperchio la lega con lo spago delle luganeghe e la fissa alla canna della bicicletta e senza pensare ad altro parte.
E’ il 21 luglio, piena estate.
L’angoscia lo fa pedalare quasi fosse Bartali, il suo idolo.
La strada è sassosa, polverosa, piena di curve, in discesa e senza neanche un pezzo in ombra.
Papà ogni tanto si ferma per controllare con apprensione come sta Giovanna: è viva. Beve ogni tanto un sorso d’acqua alle fontane dei paesi attraversati. A Lavis il sole picchia forte, c’è vento, la pedalata è più lenta e difficoltosa.
Papà impreca, chiama a raccolta i santi protettori dei nati immaturi: san Domenico Savio, san Giuseppe e san Cristoforo per il viaggio. Arrivato a Trento, al castello, c’è ancora un’altra ultima fatica… la salita della collina.
E’ sfinito e scorgendo il muraglione del convento chiede silenziosamente aiuto a san Francesco e sant’Antonio.
Finalmente il cortile degli Angeli.
Slega la scatola, la apre e Giovanna piange disperata ma è ancora viva.
Le lacrime gli rigano il volto e piange di sollievo.
Sul portone dell’ospedalino una suora che l’ aveva visto arrancare su per la collina gli corre incontro, lo aiuta e gli dice l’unica cosa che il suo animo poteva sentire: “vivrà”.
La suora ha un telo candido in mano, prende delicatamente Giovanna e la adagia coprendola.
Papà sale a due a due la scala che lo portano al reparto immaturi.
Un medico, forse il dottor Pedrotti, serio, austero quasi, la visita, chiama un’infermiera che le prepara qualche goccia di nutrimento specifico.
Giovanna in un primo momento rifiuta, ma poi… accoglie quelle prime gocce, non vomita e si addormenta nelle braccia di papà che la adagia nell’incubatrice.
E’ convinto che le preghiere, sue e di tutti quelli a Cembra che sanno di questa nascita, abbiano fatto il miracolo.
Saluta la piccola, il personale, il dottore e ringrazia carico di commozione.
È convinto che Giovanna vivrà.
La strada del ritorno è ancor più faticosa, ma questa gioia non gli fa sentir la fame, la sete, la fatica… Pedala incessantemente per portare la bella notizia alla sua adorata Antonietta e a tutti in famiglia.
Mamma a letto, come si usava allora, consuma la Corona del Rosario intrisa di lacrime. Non sa nulla della sua piccola Giovanna. Mangia per forza il cibo per le puerpere del tempo, la panada. Continua a pregare, si addormenta di un sonno agitato e subito si risveglia.
E’ notte quando da dentro casa si ode un passo lento e pesante. E’ il suo Guido che madido di sudore, impolverato, affamato e assetato le corre incontro, la stringe a se e singhiozzando esclama, con le ultime forze in corpo, “è viva!”.
Insieme piangendo ringraziano Dio e tutti i santi che han aiutato Giovanna a vivere nonostante tutto.
Giovanna trascorse molto tempo in ospedalino ma poi finalmente, sana e vispa, fece ritorno a casa, con la gioia di tutta Cembra.
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