In primo piano

Bon dì e bon an a mi la bona man

Lavis. Scopriamo con questo ulteriore “revival” come si festeggiava, tra il serio e il faceto, la ricorrenza di capodanno nella Lavis di un tempo. E iniziamo proprio parafrasando il Lucio Dalla dei tempi migliori, ricordando alcune battute de “L’anno che verrà” che dicevano proprio così:

Caro amico, ti scrivo, così mi distraggo un po’ / e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò / Da quando sei partito c’è una grande novità / l’anno vecchio è finito, ormai, ma qualcosa ancora qui non va…

La fine d’anno anche qui a Lavis, oltre che un appuntamento di resoconti e bilanci per tirare i cosiddetti “remi in barca”, era destinata specialmente negli anni passati, agli incontri conviviali tra tutti i soci iscritti e simpatizzanti nelle varie realtà locali e associazionistiche di quei tempi gloriosi. Così era in primis per l’oratorio e la sua filodrammatica, poi per l’intera Banda Sociale, la Società Corale Orfeo, il Coro Parrocchiale, il Corpo dei Pompieri, la Sezione dei Cacciatori, il Club Ciclistico, i calciatori dell’Usba, l’Associazione Il Quadretto, il Circolo Mandolinistico, insieme a tutte le altre associazioni più o meno numerose operanti sul territorio locale.

I veglioni degli Scarponi


Partiamo naturalmente dall’oratorio (il ricreatorio come era chiamato allora) e proprio ai tempi della “Compagnia Scarponi” dalla quale, oltre a tante belle iniziative per il paese, nacque anche il “Coro Scarpon”.

Sfogliando il periodico che usciva nelle grandi occasioni locali e fondato nel 1939 da Enrico Nichelatti insieme agli altri amici della Compagnia, scopriamo che non c’era solo l’oratorio nel mirino della loro attività. C’era l’impegno nella compagnia teatrale “La Vetta” da portare avanti con ritmo, insieme a tutte le altre attività degli “Scarponi”, improntate al sano divertimento. Tra queste un’attività di primo piano era l’organizzazione delle cene dell’ultimo dell’anno.

Nella cronaca locale è rimasto indimenticato il famoso cenone del 1941. Questo si era svolto in una stanza di casa Varner in via Roma, praticamente sopra la storica pasticceria del Carlo, proprio dirimpetto alla chiesa di Sant’Udalrico. Gli “Scarponi” erano tutti presenti quell’anno.  Oltre a Enrico Nichelatti, fondatore e presidente del gruppo, c’erano Italo Varner, Adolfo Toller, Tullio Gasperi, Lino Rigotti, Arcadio de Zordo, Armando Faiferri e Olivo Bertolini. Un cenone succulento e abbondante preparato con prodotti locali: polenta, crauti e ricchi contorni. Gli “Scarponi” fecero bisboccia e sana baldoria fino all’alba del 1942.

Dormirono tutti insieme sempre nell’ospitale stanza di casa Varner, tanti in terra sugli improvvisati materassi ma anche in qualche letto recuperato nelle stanze. La mattina del giorno dopo, il 1° gennaio alle 11.00, visto che la chiesa era a pochi passi ce la fecero anche ad andare tutti alla Messa cantata.

Ma non erano solo gli oratoriani di allora a festeggiare e a far bisboccia insieme. In molti organizzavano cene, veglioni e balli, tutto questo nonostante la contrarietà di qualcuno del clero locale, che osteggiava in tutti i modi taluni festeggiamenti fuori dalle pareti oratoriane. Specialmente e in modo particolare i balli, dichiarati in più occasioni anche dal pulpito come “peccaminosi” e quindi proibiti.

La compagnia Scarponi con Adolfo sopra in centro

L’Orchestrina Jazz Little Worren


L’Orchestra Little Worren nel 1946

Si festeggiava anche all’Albergo Corona dei Proner, sia nella sala dell’ex cinema Italia al piano terra (poi divenuta del dopolavoro), sia nel salone del 1° piano, quello per le feste ed i concerti. Altri festeggiamenti e ritrovi per il Capodanno si consumavano anche all’Albergo Paganella dell’Emanuele Lona e della Maria, all’Albergo alla Stazione dei treni, quello dei Tomasi e poi al Bruno Marconi in piazza Loreto detto della “Giamaica” per la sua rinomata balera al fianco del bar, fulcro di balli frenetici e di novità che arrivavano da tutta Italia.

Tornando all’Albergo Corona, sin dal 1945 dopo la fine della guerra, si esibiva puntualmente e periodicamente la notissima Orchestra Jazz locale denominata e americanizzata col nomignolo di “Little Worren”. Era composta da Sergio Donati alla fisarmonica, Livio Pergol al sassofono, Giuseppe Casagrande alla tromba, Ervino Moscon alle nacchere, alla batteria c’era Tullio Pedrolli, mentre il cantante, denominato “l’ugola d’oro lavisana”, era Livio Girardi. Successivamente si aggregarono alla compagnia altre due promesse, Elio Dauritz e Luciano Filippi, rispettivamente alla fisarmonica e al pianoforte. Tutti insieme partecipavano ad ogni veglione che veniva organizzato dalla Banda Sociale, dai Pompieri Volontari, dalla Sezione della Sat o dalla nascente Unione Sportiva.

Nei balli-veglione organizzati dalla Banda Sociale con lo scopo  di contribuire a finanziare le magre casse del sodalizio, la “Little Worren” veniva ulteriormente integrata dagli “esperti bandisti” di quel tempo e cioè dal Mario Moser (violino e tromba), Gino Girardi (trombone e bombardino), Cornelio Moser (clarinetto), Angelo Girardi, fratello del cantante Livio, (sassofono e clarinetto).


Leggi anche – Quando a Lavis si suonava il jazz: la nascita dell’orchestrina “Little Worren”


I Magna e Bevi


C’erano poi anche altri gruppi di amici festaioli, componenti di famiglie, compagnie e associazioni varie più o meno numerose, interi parentadi e anche gruppi sportivi nascenti, che si riunivano spontaneamente e puntualmente per festeggiare la fine e l’inizio dell’anno in quel di Lavis.

Storica è rimasta la tradizione di ogni fine d’anno portata avanti dalla compagnia dei 6amici6 appartenenti al gruppo  “Magna e Bevi”. Questi tutti insieme sin da ragazzi avevano festeggiato ininterrottamente il loro Capodanno per oltre 40 anni di fila, esclusi naturalmente gli appuntamenti del servizio militare e della guerra. Siccome uno di questi amici risiedeva a Meano, quando toccava il suo turno per ospitare la cena, l’intera compagnia affrontava a piedi la salita subito dopo il “Te Deum” officiato nell’arcipretale di Sant’Udalrico. La “processione” festosa arrivava sempre verso le 20 a Meano.

Naturalmente cena e festeggiamenti andavano per le lunghe e si partiva per il rientro a Lavis alle prime ore del mattino e nuovamente a piedi. Non c’erano certo allora i problemi della prova “palloncino” e quindi si percorreva il tratto da Meano a Lavis magari anche cantando tutti in coro le diverse canzoni di circostanza.

Una fine d’anno particolarmente nevosa non bloccò i 6Temerari6 che, affondando nella neve e anche rotolando nella stessa in diverse occasioni, arrivarono però sani e salvi a Lavis, giusto in tempo per andare tutti insieme alla prima Messa che allora era alle 5.30.

I bei tempi passati


Negli anni a seguire poi, anche altri si divertirono durante le folli notti del Capodanno lavisano, nei balli in famiglia, verso i quali la gerarchia ecclesiastica locale iniziava già a chiudere un occhio, forse addirittura tutti e due… Bei tempi quelli con la fine dell’anno in casa del Federico (il sagrestano di allora) in via Lungo Avisio e le varie cene di mezzanotte in quasi tutte le case che avevano lo spazio adeguato per ospitare la gente.

Allora non c’erano ancora i moderni e devastanti “botti” dei petardi. C’erano invece solamente i botti delle tante bottiglie stappate in allegria e che si tenevano in serbo in cantina. Quelli sì che erano anni felici e tranquilli, non si parlava assolutamente di politichese, le canzoni erano ancora tutte su dischi 78 e anche sui 45 giri, ascoltati, ballati e ancora riascoltati, attraverso una valigetta portatile amplificata, la mitica “Lesa2000”, quella dei nostri sogni di novelli dj…

Bei tempi quelli di una volta a Lavis, dove si gustava e si apprezzava tutto quanto passava allora il convento e la mattina dopo ci si apprestava ad iniziare un nuova avventura: quella del nuovo anno!

E sempre con l’indimenticabile Lucio Dalla chiudiamo anche questo revival (che vuol dire anche rinascita) con il finale della sua canzone che dice proprio così:

L’anno che sta arrivando tra un anno passerà / Io mi stò preparando, è questa la novità…

E come dicevano sti ani i bambini facendo gli auguri: bon dì e bon an e a mi la bona man.

AUGURI a TUTTI!

Giovanni Rossi

Giornalista, scrive per "Vita Trentina". Per decenni è stato il corrispondente da Lavis per "L'Adige". Memoria storica e appassionato di cinema, ha lavorato come tuttofare per il Comune di Lavis fino alla pensione. Scrive per "Il Mulo" dopo essere stato una delle colonne del giornale digitale "La Rotaliana".

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