Quando uno scherzo diede origine a un nuovo toponimo
Pressano. Percorrendo la strada che da Lavis porta a Pressano, quasi in cima sulla destra è possibile scorgere un imponente edificio. Si tratta di un’austera architettura, possente ma elegante, dalle forme simmetriche – almeno nella sua connotazione originale. Non è un vero e proprio maso inteso nella sua definizione classica, in quanto vi è un solo edificio signorile e non un complesso di costruzioni come negli altri masi presenti sulle Colline Avisiane.
In origine era chiamato “Maso Pontare”, poiché sorge sulla “Pontara di Pressano”, l’antica via che collega Lavis e Pressano e che in alcuni tratti è estremamente ripida. In passato era conosciuto anche come “Maso Torsela” e consisteva in un casinò di campagna con annesso roccolo dedicato alla cattura degli uccelli migratori.
L’edificio è circondato da pregiati vigneti: in questa zona si coltivano le uve chardonnay, vitigno di origine francese introdotto in Italia nel corso dell’Ottocento che proprio sulle colline di Pressano trovò l’habitat ideale per esprimersi al meglio.
Compravendite e partite a carte
Una delle curiosità di questo maso è legata ai vari proprietari che si sono succeduti nel corso dei secoli. Uno dei numerosi passaggi di proprietà infatti è legato a una partita a carte.
All’inizio del XVIII secolo l’edificio e la campagna circostante erano di proprietà dei Conti Melchiori Zampi, una famiglia nobile che aveva numerosi altri possedimenti a Lavis. Evidentemente i Conti amavano il gioco e avevano la mano pesante, perché persero il maso con una sfortunata giocata a carte. La cosa non deve stupire più di tanto: una sorte analoga toccò a un altro signore locale, che sempre a carte perse la proprietà di Maso Rover (link all’articolo). In tempi più recenti, inoltre, i lavisani si giocarono a carte anche la licenza del cinema Italia, vinta dall’arciprete don Celstino Brigà, che diede così origine alle proiezioni in oratorio (link all’articolo).
Negli anni successivi tra i proprietari del Maso Pontare troviamo la famiglia de Schulthaus, altro casato importante di Lavis, la famiglia Dal Rio, la famiglia Pazzi e infine la famiglia Brugnara, che negli ultimi anni ha restaurato e ampliato il complesso sul modello delle “mansio” romane, facendolo diventare una struttura ricettiva.
Una burla che cambiò il destino del maso
L’antico toponimo “Maso Pontare” è ormai caduto in disuso e oggi il maso è conosciuto come “Mas del Diaol”. A dare origine a questo nome, cambiando in maniera radicale il toponimo del luogo, fu uno scherzo.
Il fatto risale al 1893. In quegli anni la filanda Tambosi di Lavis dava lavoro a moltissime donne di Lavis e dintorni. Tra queste c’era un folto gruppo di giovani ragazze di Pressano che ogni sera, dopo il turno di lavoro, affrontava la ripida “pontara” per tornare a casa. Una notte alcuni giovani di Pressano decisero di far loro uno scherzo. Si nascosero nel maso e al passare delle giovani cominciarono a urlare, a scuotere pesanti catenacci e a correre in giro travestiti da spettri. Le ragazze spaventatissime corsero in paese per chiedere aiuto urlando che nel maso c’era “el diaol”. I familiari e i paesani andarono subito a controllare il maso isolato in mezzo alla campagna e chiaramente non trovarono nulla.
La cosa non si ripeté e ben presto la burla venne svelata.
Ma da allora, per tutti e per sempre, il maso divenne il “Mas del Diaol”.
Leggi anche – Se 10 ore vi sembran poche: storia dello sciopero alla filanda Tambosi di Lavis
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