In primo piano

Quel piccolo leone di argilla

Lavis. L’8 settembre del 1943 è ancora ricordato da tutti come il giorno del “Rebalton“: Italia e Alleati avevano firmato l’armistizio con grande entusiasmo da parte dei dirigenti politici del momento. Quel giorno a Lavis si festeggiava per la tradizionale Festa Votiva dedicata alla natività della Madonna. Non stavano festeggiando invece tutti quelli che si trovavano all’interno del 4∞ Reggimento Artiglieria Comando di Mantova. Tra questi vi erano anche due lavisani, Francesco e Carlo, insieme ad altri trentini, due dei quali di Nago/Torbole.

I treni dei prigionieri


L’intera caserma venne assediata dai tedeschi e tutti i militari, ordinari e richiamati, vennero arrestati e caricati sui vagoni bestiame per essere condotti e internati in Germania. Stessa sorte era toccata a molti altri soldati italiani che stavano nelle caserme di tutta la penisola. I convogli carichi di deportati transitavano dalla stazione ferroviaria di Lavis e in tanti si erano recati intorno ai binari portando frutta e bevande ai prigionieri. Anche l’arciprete-decano di allora, don Celestino Brigà, insieme ai suoi cooperatori si recò in visita alla stazione e durante una sosta dei convogli passò da un vagone all’altro consolando, salutando e benedicendo tutti, raccogliendo indirizzi dei familiari e anche documenti per chi era rimasto a casa.

Il messaggio lanciato


Da uno di quei treni nel quale c’erano anche Francesco e Carlo, insieme agli altri trentini, venne
gettato da un finestrino semiaperto un sasso avvolto da un messaggio da consegnare alla famiglia destinataria residente a Lavis. Alla stazione era andato in bicicletta anche l’Albino, un noto commerciante di Lavis, per vedere i treni carichi di prigionieri verso la Germania ed era stato proprio lui a raccogliere da terra il sasso e il messaggio incartato tutt’intorno. Sul biglietto accartocciato frettolosamente e spiegazzato in più punti c’era un messaggio per la famiglia di Lavis. Un messaggio commovente, carico di speranza e nello stesso tempo pieno di tanta nostalgia per dover lasciare il paese natio insieme a tutti i suoi cari.

Dallo scritto in matita, chiaro e preciso, si poteva leggere l’amarezza del partente:

Sposa carissima, eccoci arrivati al triste giorno di dover lasciare la nostra patria e per di più passando proprio vicino alla nostra casa. Speriamo che il buon Dio e Maria SS. ci aiutino sempre specialmente per i prossimi difficili giorni in terra straniera. Mi raccomando cara sii sempre forte e procura di consolarti con i nostri tesori, speriamo di rivederci presto sani e salvi, mi raccomando però se un giorno dovreste trovarvi in pericolo, mettetevi tutti al sicuro per tempo.

Di’a tuo papà che stia calmo e che faccia lui le mie veci, come ha sempre fatto finora e fate tutta una famiglia insieme ai nonni. Qui nel vagone siamo in sei trentini compreso il Carlo da Lavis e quindi ci faremo buona compagnia sperando che ci lascino tutti insieme appena arrivati in Germania nella nostra destinazione.

Il mese di settembre del 1943 sarà sicuramente un mese da ricordare per molto tempo e anche per il futuro, ma bisogna essere sempre molto fiduciosi in chi tutto può, specialmente nei momenti più critici della vita. Puoi senz’altro immaginare la mia tentazione passando sul treno attraverso le nostre campagne, ma anche gli amici di viaggio mi hanno sconsigliato su tutte le mie idee di fuga. Dunque mi raccomando cara sempre grande coraggio per i prossimi giorni e seguimi con la preghiera e vedrai che ritornerò sano e salvo se Dio vorrà.

Salutami tutti quanti di casa, amici e parenti, per te e bimbi tanti saluti e baci, ciao tesoro e coraggio …


Leggi anche – I messaggi scappati dai treni della deportazione


La fabbrica di mattoni


E il viaggio proseguì verso la Germania. La meta era Unterfohring bei Munchen. Gli occupanti del vagone erano tutti destinati a un campo di lavoro nella fabbrica cittadina, un mattonificio dove si producevano perlopiù i mattoni pieni per riparare i ponti bombardati. La produzione prevedeva anche altri tipi di mattoni per l’edilizia, tutti realizzati con l’argilla che si estraeva dalle cave della montagna sovrastante.

Tutti i mattoni venivano cotti nei grandi altiforni all’interno dei capannoni. E il lavoro per i nostri trentini non mancava di certo, sempre assidui durante i turni, sempre disponibili e ubbidienti agli ordini dei vari capi azienda e anche delle guardie armate che presidiavano la grande fabbrica. Francesco e Carlo erano praticamente insieme nello stesso reparto, mentre gli amici di Nago erano addetti al confezionamento e all’imballaggio dei grandi blocchi di laterizi da spedire. La sera si incontravano tutti nel grande camerone adibito a dormitorio, scambiavano quattro chiacchiere e il ricordo andava alle famiglie rimaste nel Trentino, tormentate dalla guerra in atto, dai bombardamenti al Ponte dei Vodi e dalle incursioni notturne del Pippo conosciuto anche in Germania.

Potevano scrivere ogni mese a casa. Le lettere e le cartoline dovevano però passare la censura sia in partenza che in arrivo, cariche di timbri con la svastica delle SS. In basso sulla sinistra c’era sempre il solito monito di Hitler, un timbro in rosso con la scritta “il Fuhrer conosce solo lotta, lavoro e preoccupazione!”.

Si andava avanti nonostante tutto. Si festeggiò il primo Natale da prigionieri nel ’43 e anche quello del ’44 abbastanza in lieta armonia, tutti i prigionieri insieme nel grande capannone dei mattoni. Qualcuno suonava una vecchia armonica a bocca, altri cantavano, altri ancora recitavano le vecchie poesie dell’infanzia trascorsa in Italia.

I prigionieri avevano fatto amicizia anche con alcune famiglie delle case vicine alla fabbrica. Qualcuno a tempo perso e dopo il turno nel mattonificio aiutava negli orti e nelle stalle di quei contadini, ricevendo in cambio vettovaglie, frutta e tanta verdura di stagione o qualche bottiglia di vino o di birra sempre condivise con gli altri.

Il leone d’argilla


Le novità che arrivavano attraverso la posta portavano in tutti un vero e proprio raggio di sole: si conoscevano le novità in famiglia, i bimbi che crescevano, la campagna che mutava ad ogni stagione con il suo carico di tradizioni e di simpatici appuntamenti.

Intanto Francesco incominciò a giocare con l’argilla e con gli avanzi dei mattoni che si buttavano in un grande deposito per poi riconvertirli ancora in mattoni. Con questi piccoli avanzi che si potevano ancora manipolare manualmente, Francesco iniziò a modellare qualcosa. Voleva fare una statuetta o un animale Aveva pensato al bue in ricordo di quello lasciato a casa nella piccola stalla sul Pristol. Alla fine si decise e si mise a sagomare e modellare un bel leone. Un leoncino da portare a casa ai tre bambini che lo aspettavano, un leone dall’aspetto fiero e deciso, in posa sopra ad un piccolo piedistallo come basamento.

Lo stampo iniziale venne preso da un leoncino di bronzo che era esposto su di un auto militare, una vecchia Volkswagen ormai in disuso. E il leoncino prese forma, venne sistemato, accomodato, rifinito e accarezzato a dovere, infine prese posto in un angolino del grande forno e il lavoro si concluse con la sua”cottura” definitiva. Francesco rimase contento della sua opera e venne festeggiato dal Carlo e da tutti gli altri compagni di lavoro per la sua prova artistica di scultore di argilla.

I venti di guerra intanto si percepivano anche a Unterfohring bei Munchen e le notizie serpeggiavano sia all’interno che all’esterno della fabbrica, non molto rassicuranti per la Germania. Tutto questo non trapelava di certo dai dirigenti e dalle guardie della fabbrica stessa, anzi sembrava che facessero tutti buon viso a cattivo gioco! Ma gli eventi precipitarono improvvisamente.

La via verso casa


È il 25 aprile e intorno alla fabbrica c’è un’agitazione indescrivibile. Il personale e le guardie sono in stato confusionale. “Alles Kaputt” grida qualcuno, altri invece lo dicono perentoriamente “wir lassen alle”. La fabbrica viene abbandonata, titolari e guardie scompaiono dalla scena mentre i prigionieri-internati sono invitati perentoriamente ad andarsene alle loro case.

I nostri quattro non se lo fanno certo ripetere, radunano le loro poche cose personali e con lo zaino in spalla si incamminano a piedi verso il Brennero. I primi passi verso casa, ci sono 300 chilometri da fare.

Il primo giorno arrivano a percorrere 25 chilometri prima di fermarsi a riposare alle 19. Il giorno dopo, il 27 aprile, sveglia alle 6 dopo avere dormito nelle campagne circostanti, si parte verso un’altra giornata molto dura, il male ai piedi incomincia a farsi sentire. Alle 17, dopo aver percorso 30 chilometri si fermano per riposare. La cena consiste in pochi frutti abbandonati nelle campagne. Il 28 aprile fermata obbligatoria per la pioggia, Il 30 si riparte, tutti hanno fiducia nella Madonna e sperano di arrivare presto a casa.

Il 2 maggio nelle vicinanze del Brennero inizia anche a nevicare. I soldati austriaci impediscono ai quattro di salire sul treno, quindi riprendono la marcia verso casa a piedi seguendo la linea ferroviaria. Il 3 maggio, verso sera il gruppo arriva finalmente alla stazione ferroviaria di Lavis. I due amici di Nago prendono finalmente un treno che li porterà a casa mentre Francesco e Carlo preferiscono pernottare sulle panchine all’esterno della stazione, per riposare e anche per non disturbare con il loro arrivo i bambini e i familiari che li attendono con ansia.

Finalmente a casa


Il 4 maggio di mattina finalmente arrivano a Lavis, sul Pristol. Il più bel giorno della vita e la fine dell’ingiusta prigionia. Baci e abbracci con tutti e Francesco può così ritrovare i tre figli, la moglie, la mamma, i fratelli e i nonni. Dallo zaino sporco di fango e di pioggia viene estratto il famoso regalo promesso ai bambini: il piccolo leone di argilla realizzato con tanto amore e dedizione da Francesco. Un ricordo dal mattonificio di Unterfohring bei Munchen e di tutti quei giorni passati in mezzo ai mattoni e ai forni. Il 5 maggio suonano a stormo le campane sul campanile dell’arcipretale di Sant Udalrico e arrivano poi anche a Lavis, passando sulla Nazionale del Brennero, le truppe alleate. La guerra è proprio finita per davvero. Tutti a casa in famiglia e i ricordi della Germania vengono cancellati dall’euforia del momento e dal calore della vita che riparte.

Il leoncino di argilla c’è ancora oggi in casa, anche se sono passati 71 anni da quel triste evento, i bambini di allora sono diventati adulti maturi ma non disdegnano però ogni tanto uno sguardo di ammirazione al vecchio leone esposto in bella mostra sulla credenza di casa. In lui è racchiusa tutta la storia di una vita vissuta pericolosamente, quella trascorsa da Francesco internato in Germania per quasi due anni, in mezzo ai mattoni di argilla, ma anche in mezzo a tanti amici trentini e non che gli hanno voluto bene e insieme a lui hanno atteso la fine della guerra per tornare a casa a piedi…

Giovanni Rossi

Giornalista, scrive per "Vita Trentina". Per decenni è stato il corrispondente da Lavis per "L'Adige". Memoria storica e appassionato di cinema, ha lavorato come tuttofare per il Comune di Lavis fino alla pensione. Scrive per "Il Mulo" dopo essere stato una delle colonne del giornale digitale "La Rotaliana".

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