Lavis. I Ciucioi sono un posto magico che solletica la fantasia. È normale quindi che ci siano racconti e leggende legati a queste ardite architetture. Oggi il nostro amico Giovanni Rossi ha voluto raccontarcene una. In questi giorni si parla tanto di orsi, la Provincia, il Presidente Fugatti e gli ambientalisti sono in fermento, ma dovete sapere che una volta…
Per salire all’antico castello si prende la stradina che si dirama sulla destra costeggiando la strada principale che porta al ponte sul torrente. La stradina corre tra gli alberi nodosi e gli abeti stagionati da una vita, incastonata in un giardino che dal piano stradale si inerpica in su, lungo il costone che lambisce il colle e scende abbarbicato nella roccia di porfido rosso.
1.Quel luogo fu dominio antico dei reti e poi incontrastato possedimento delle popolazioni confinanti, che abitavano l’intera zona del Giovo, emigrate poi fino al confine con il paese nato dal nome del torrente che bagna da secoli le sue sponde e le sue campagne ricche d’uva e di grano. Il castello era nato da un’idea bizzarra, geniale e cervellotica del suo progettista-costruttore-creatore, Thomas, padrone anche di alcune fabbriche e mulini artigianali che sorgevano ai piedi del dirupo e si espandevano nella zona verso il torrente anche per utilizzarne l’acqua come fonte unica di lavoro.Ci aveva pensato sin da giovincello all’idea di avere un castello-giardino tutto suo. La sua fantasia lo aveva portato poi a scoprire l’arte delle costruzioni maestose e ricche di sogni, fatte di torri merlate, muri intarsiati con la roccia a vista, squadrata e posata come in un grande tassello. Grandi archi, porte, passaggi, porticati, finestroni e in centro, troneggiante, la loggia sormontata da un orologio, quasi come una cattedrale nel bosco.
Thomas aveva vinto la sua battaglia fantastica. Il castello era nato, anche se mai del tutto terminato dato che la parte verso nord era rimasta incompiuta: la torre era ancora aperta in sommità e mancante di alcuni piani divisori da sistemare. C’erano però la grande torre, i passaggi sotto le arcate di sasso, gli ingressi e le uscite che davano sul giardino circostante verso il bosco che saliva a gradoni lungo i fianchi del colle fino sulla sommità maestosa dalla quale si controllava tutta la vallata, sia verso il Giovo che verso la foce del torrente.
Sopra al portone d’ingresso al castello era stata ricavata anche l’abitazione del custode-giardiniere, una casupola distribuita su tre piani, come una sorta di torre svettante. Era coperta dal suo tetto con le scandole mentre tutt’intorno le edere rampicanti, partendo dal portone principale d’ingresso, la adornavano e la rendevano più simpatica e attraente alla vista dei visitatori e dei forestieri che salivano verso il maniero.
Su un lato della casetta, quello che guardava verso la chiesa del paese e i vicoli storici chiamati “del Pristol”, c’erano alcune arnie piene di api, altro impegno per Ben che doveva accudirle stagionalmente asportando il miele di acacia e dei tanti fiori che crescevano lì attorno.
3.La vita al castello proseguiva tra alti e bassi. Il castelliere Thomas era sempre più impegnato nelle sue migliorie edilizie e nelle serre stagionali, mentre il fido Ben oltre che ai soliti lavori giornalieri, diventava da qualche tempo sempre più assorto nei suoi pensieri e scontroso verso il suo padrone.Era assai indispettito per dei fatti inspiegabili che accadevano puntualmente quasi ogni notte. Un giorno decise di dirlo a Thomas e questi lo apostrofò subito con “sono i sogni che ti perseguitano, non farci caso. Anche perché può essere il vento che muove gli alberi e questi, sbattendo sugli edifici e sulla torre, fanno il baccano che tu dici di sentire”.
Ben non era convinto delle spiegazioni di Thomas, anche perché il padrone non poteva sentire niente dato che abitava fuori dal castello, alla base del colle, in una delle fabbriche in prossimità del ponte. Comunque qualche sopralluogo lo faceva, magari anche in piena notte. Thomas saliva dal sentiero verso la torre d’ingresso e sbatteva il grosso batacchio in ferro del grande portone di legno. Tutto rimbombava ritmicamente, i colpi risuonavano all’interno della costruzione e su, su, fino all’alloggio di Ben che si svegliava di soprassalto e si avviava subito lungo la ripida scala interna con una grossa lanterna accesa in mano. Arrivato davanti al grande portone iniziava l’operazione di apertura dei due catenacci, il primo battente si apriva cigolando lasciando intravedere la figura di Thomas avvolto in un grande mantellone scuro.
“Sono venuto a vedere se tutto va bene – diceva – “se tutto è calmo qui intorno e se tu stai bene”. Ben ringraziava il padrone per la visita e anche per il fiasco di vino nero che gli portava ogni volta. “Mi raccomando non vuotarlo tutto questa notte” aggiungeva Thomas rivolto a Ben, “altrimenti altro che rumori e frastuoni sognerai e sentirai”. Brontolando, il vecchio guardiano ritornava sui suoi passi, dopo aver rinchiuso il grosso portone d’ingresso. Lo scalpiccio si perdeva nella notte, accompagnato dalle ombre che la luce della lanterna disegnava lungo le pareti delle gradinate e su, fino al suo alloggio.
Dopo qualche attimo di paura e tentennamento, l’uomo prendeva il coraggio a quattro mani e si decideva a scendere piano, piano, lungo lo scalone della torre-alloggio. Vicino al portone si fermava, a prender fiato e ulteriore coraggio, apriva lentamente i catenacci e, lasciando il mezzo portone accostato, scrutava all’esterno nel buio. Non c’era mai nessuno. La lanterna accostata alla fessura creava strani disegni sulle foglie dei cespugli e degli arbusti circostanti, ma nulla di nulla. E la notte seguente il baccano ritornava puntualmente e sempre più insistente.
Una sera Ben decise quindi di appostarsi e far la guardia alla zona davanti al portone. Sin dalle prime avvisaglie di buio notturno iniziò quindi il suo controllo attento e non certo immune dalla paura. La sua camera aveva proprio una finestrella sotto la gronda del tetto che dava direttamente sopra al portone d’ingresso, ed era proprio l’ideale per seguire i movimenti esterni. Quella sera c’era anche la luna sulla Paganella e quindi la notte era ben illuminata. Ben si portò anche la sua fida lanterna che posò in un angolo della stanzetta e si mise con impegno e attenzione a controllare l’esterno. Ad un tratto, nella stradina di accesso tra gli alberi, qualcosa si mosse: era una forma ingombrante, grossa, massiccia, quasi gigantesca… si avvicinava al grande portone, decisa, con passi ritmici e cadenzati.
5.IA questo punto un grugnito terribile scosse l’aria della notte e i dintorni del castello e si rivelò la massiccia figura di un grosso orso, con un’ombra mastodontica e ondeggiante, arrabbiato forse per la presenza dell’uomo o della fioca luce della lanterna che si intravedeva nella stanza. Ben agitatissimo per la scoperta e per la visita dell’orso, prese la lanterna dall’angolo e la accostò alla finestrella per guardare meglio la figura dell’animale, la sua stazza e il muso.Un movimento brusco lo fece però inciampare e la lanterna gli sfuggì di mano e andò a cadere all’esterno della finestra proprio verso l’ospite inatteso. Cadendo a terra la lanterna si spezzò e il petrolio si accese con una grande fiammata proprio vicinissima al plantigrado, che terrorizzato emise un ennesimo grugnito e fuggì precipitosamente verso il bosco sul colle del Paion, ringhiando e scuotendo le piante tutt’intorno. A questo punto Ben tirò un grosso sospiro e scese le scale verso il portone, le fiamme si stavano spegnendo pian piano. Dell’orso nessuna traccia, era rimasto solo il suo ricordo che andava spegnendosi nella notte insonne.
L’ispezione proseguì in tutto il maniero. Visitarono il doppio porticato, il criptoportico, la torre del castello crociato, la loggia del palazzo e anche la guglia moresca con il suo balcone. Altri controlli alla chiesa con balconata, alla stanza dei fuochi, al giardino d’inverno e nuovamente alla casa del custode-giardiniere insieme alla torre d’ingresso. Tutto era a posto, niente era stato toccato. Il bersaglio dell’orso “apicoltore” erano a questo punto solamente le arnie delle api e nient’altro: una tormentata vicenda notturna solamente per una scorpacciata di miele…
Ben, come uscito da un incubo, esplose: “se era solamente per il miele l’orso poteva ben farsi vivo prima, senza disturbare e senza farmi passare delle notti insonni. Sse lo avessi saputo gli avrei preparato il miele in una brenta e lo avrei lasciato all’esterno del portone”.
Tanti e tanti anni dopo la storia dell’orso è tornata d’attualità nel borgo vicino al torrente. Anche ai nostri giorni qualcuno dice di aver visto un grosso orso affacciato al loggione del castello. Sarà per colpa del gran caldo, ma in molti assicurano che l’orso tornerà sicuramente a Lavis, magari per farsi il bagno nell’ospitale e fresco torrente Avisio, naturalmente seguendo le indicazioni e la segnaletica opportunamente predisposte nell’alveo… o forse anche nella “nuova” Piscina Comunale, EVVIVA!
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