LAVIS. Erano i primissimi anni Quaranta in quel di Lavis e ci si preparava alla guerra che si avvicinava a grandi passi. Il nostro eroe era ricercato ovunque dagli sgherri del Pnf, il Partito nazionale fascista, in combutta con i capoccia locali. Era un giovanottone inglese di quasi due metri di altezza, salvatosi miracolosamente da un incidente aereo col suo paracadute d’ordinanza. Aveva quindi girato e rigirato per le campagne e i boschi intorno al paese per parecchi giorni. Poi nessuno ne seppe più nulla, sembrava proprio scomparso, volatilizzato.
Eppure le ricerche proseguivano ancora in tutti i luoghi dell’intero circondario anche da parte dei fascisti locali. La storia ci porta sul sagrato della vecchia chiesa verso est che presentava un austero portale rinascimentale architravato, con lo stemma della dinastia dei Thun, la data 1557 e il monito in latino “No tardes converti ad Deum”, ovvero “Non tardare a convertirti a Dio”.
Quello era anche l’ingresso ufficiale, direttamente dal sagrato, al primo cimitero della borgata intorno al Doss del Pristòl. Sul lato destro dell’ingresso scorreva la roggia che, scendendo dalla presa dell’Avisio, portava l’acqua del torrente verso sud, sia per irrigare le campagne e i prati della pianura, che per rifornire le varie “lavanderie” a cielo aperto e i mulini della zona.
Il sagrato-cimitero, oltre ad essere immerso in quella sacralità derivante dalla stretta vicinanza con la chiesa, era un punto di riferimento per tutti gli abitanti che periodicamente lo frequentavano andando in visita ai loro cari.
Intanto, il passare inesorabile del tempo era scandito dall’“orologio del sole”, una meridiana in cui le ore del giorno in caratteri romani erano disposte a semicerchio, disegnate da un noto artista del tempo.
Altro particolare, dirigendosi verso il cimitero abbandonato, c’era uno strano ponticello con ringhiere sui due lati, collocato sopra alla vicina roggia e collegato con una casa confinante. Vi abitava l’allora guardia comunale Corradini, chiamato dalla gente “el gendarmo del Comun”, il quale fungeva anche da guardiano del cimitero e a volte anche da sagrestano della vicina chiesa.
Corradini, che di nome faceva Leone (Leo o Leonardo, a seconda delle occasioni), era una figura allampanata, vicino ai due metri d’altezza. Un uomo simpatico, ma al tempo stesso rigido e autoritario, esecutore di tanti incarichi. Una vera e propria guardia di tutto e di tutti, sempre disponibile per il Comune e per l’intera popolazione, una vera istituzione!
Scapolo impenitente, viveva ormai da solo, l’unica compagnia era un bel gattone bianco, introvabile quando c’era la neve.
La nostra storia prende piede proprio dal ponticello sulla roggia. Era il mattino presto di un autunno inoltrato, tutto intorno era ancora buio pesto. Si dovevano suonare le campane per la prima Messa delle cinque.
Leone se ne uscì quasi di corsa dalla porta di casa e nel bel mezzo del ponte sulla roggia inciampò in qualcosa di grosso abbandonato per terra. Malgrado l’oscurità, si accorse subito che si trattava di un grosso ostacolo ingombrante, come un enorme fagotto di stracci.
Rientrò in casa, prese una lanterna a petrolio e ritornò sui suoi passi, titubante ma deciso a scoprire il segreto: vide subito che sul ponticello della roggia era stata abbandonata una grossa borsa, un borsone di quelli militari, forse dell’aviazione americana a giudicare dalle scritte impresse sull’esterno.
Guardò e rigirò il grosso involucro con paura, temendo che potesse esplodere da un momento all’altro. Poi Leone si convinse che si trattava di un paracadute ancora in buonissimo stato, con la tela perfetta e tutte le corde ed i legacci insieme ai vari moschettoni.
A questo punto si ricordò che aveva ancora da suonare le campane per la Messa e subito dopo aprì la sacrestia per l’arrivo del celebrante. Quando poi ritornò sui suoi passi, altra sorpresa, il grosso fagotto con dentro il paracadute non c’era più. Era scomparso!
Si guardò in giro, sull’ingresso di casa e anche verso il cimitero, niente di niente! «Deve esserci sicuramente qualcuno qui in giro», sbottò Leone un po’ agitato, «quando sarà giorno andrò a controllare in tutto il cimitero».
Mise dell’altro petrolio nella lanterna e si avviò verso il retro della chiesa proprio sotto le rocce del Pristòl, dove esisteva un antico ingresso, ostruito da materiali, che portava nell’ex camera mortuaria del vecchio camposanto.
Entrò con la lanterna e vide subito con sorpresa, depositato per terra, il grosso fagotto contenente il paracadute misterioso: qualcuno lo aveva trasportato e depositato lì, forse per depistare, per nasconderlo o per rubarlo. Dietro a un enorme mucchio di detriti, accovacciato per terra, impaurito, c’era il giovane ricercato dai fascisti che salutò timidamente Leone con una mano ed uscì da dietro il mucchio dov’era nascosto.
In uno stentato ma comprensibile italiano disse di chiamarsi David: «Sto fuggendo e cercando la strada di casa o della mia caserma qui sui Colli Euganei nel padovano». Il Corradini lo rincuorò, da casa gli portò anche qualcosa da mangiare e da bere.
David rimase soddisfatto dell’accoglienza avuta e aprì il suo fagotto mostrando a Leone la sua cartina geografica tascabile stampata su stoffa di seta e la sua piccola bussola per l’orientamento militare. Intanto doveva però rimanere nascosto nel locale sotto la chiesa anche per essere lontano da occhi indiscreti.
La notte veniva a casa del Corradini per dormire, la mattina presto tornava nel suo nascondiglio a fianco del cimitero.
Si incominciava anche ad aver paura per tutto questo andirivieni tra casa e chiesa. I due concordarono che bisognava prendere una rapida decisione per risolvere la situazione sempre più pericolosa per entrambi.
Il giovane fuggiasco avrebbe intrapreso la fuga lungo l’argine del fiume Adige, partendo dal Ponte dei Vodi, fino ad arrivare nel Veneto dove c’era la sua base aerea più vicina. Decisero quindi all’unanimità di procedere in questo senso, dopo le ripetute spiegazioni e traduzioni del caso.
Leone però voleva fare uno scherzo finale a tutti gli “amici” fascisti del paese, riutilizzando una vecchia bara mai usata, rimasta da parecchio tempo piena di polvere nel magazzino sotto la chiesa. La riempirono fino all’orlo di terra e di sassi, nel centro posizionarono tutto il borsone col paracadute con legato in bella vista un biglietto scritto da David.
La bara era lì pronta, quattro assi di larice stagionato unite con dei chiodi, il tutto rinforzato e tenuto insieme per sicurezza da due legacci di filo di ferro arrugginito.
Venuta la notte il giovane paracadutista, dopo aver salutato e ringraziato Leone, si mise in cammino, dal paese al ponte dei Vodi e poi giù verso Trento e Verona lungo l’asta dell’Adige sperando in bene. Intanto in paese era stata diffusa ad arte, proprio da Leone, la notizia del ritrovamento sotto la chiesa di una bara con il… morto.
Probabilmente – si commentava – era l’aviatore inglese ricercato da tempo che non era sopravvissuto alla lunga fuga. Ci fu subito l’ispezione delle varie autorità preposte, insieme ai gerarchi fascisti locali. «Bisogna aprire subito la bara», disse con fare perentorio l’ufficiale sanitario del Comune, «per controllare chi ci sia dentro veramente»!
Tagliati i fili di ferro e alzato il coperchio, ecco la sorpresa del contenuto: terra e sassi a volontà con nel bel mezzo il borsone del paracadute americano. Sopra, ben visibile, un biglietto vergato a mano con una matita copiativa che diceva in perfetto inglese: “The bird has flown” e più sotto: “Greetings and Goodbye” che in italiano voleva semplicemente dire: “L’uccello è volato via… saluti e arrivederci”!
I vari funzionari presenti dopo essersi fatti tradurre ripetutamente il messaggio, rimasero sorpresi e assai imbarazzati, visibilmente delusi. Di David poi in paese non se ne seppe più nulla per tanto tempo, il suo viaggio però era andato a buon fine, aveva raggiunto sano e salvo i suoi colleghi nella base del Veneto e con quelli aveva incontrato la sua dislocazione americana.
Tutto questo si seppe per vie traverse e fino a quando a Leone Corradini arrivarono notizie di David direttamente dall’America tramite una lettera postale, ben mimetizzata e misteriosa. All’interno un biglietto azzurro con la scritta: «Hi Leo and Thank You Again, Good Life»!
Che tradotto voleva dire: «Ciao Leo e ancora grazie, Buona Vita»!
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