Trento. Oggi, domenica 3 settembre, alle 16:00 in Duomo a Trento, Andrea Giannino, giovane diacono dei Figli della Carità Canossiani, sarà ordinato prete dall’Arcivescovo Lauro Tisi. Nato a Cles il 28 febbraio del 1990, Andrea a otto anni si trasferisce a Lavis per esigenze lavorative del padre: qui inizia la terza media, inserendosi fin da subito nella comunità. Andrea partecipa con i suoi coetanei alle attività proposte dall’oratorio e dalla parrocchia sotto la supervisione di Padre Giuseppe e Padre Angelico. Per anni fa parte del gruppo dei chierichetti e con loro crea un bel legame, insieme ai padri e alle madri canossiane, presenti a Lavis fino a qualche anno fa.
«Per me l’ambiente parrocchiale, di comunità ma soprattutto canossiano è sempre stato una seconda casa – racconta Andrea – mi sono sempre sentito accolto, passavo tanto tempo con persone che capivo che mi volevano bene. La cosa bella di quegli anni è che non si trattava mai di esperienze solitarie, eravamo in tanti ed eravamo amici. Padri e madri canossiane erano il pretesto per stare insieme, noi generazione ancora senza smartphone: era tutto un altro vivere, e quindi questo è stato il primo ambiente collegato alla Chiesa dove io sono cresciuto. Da figlio unico, se hai la possibilità di stare insieme a qualcuno la sfrutti».
In prima superiore Andrea inizia a fare l’animatore ma, come spesso capita con l’inizio della scuola superiore, il tempo per lo studio aumenta e per forza di cose bisogna rinunciare ad altro: «Mi è venuto naturale ridurre l’esperienza, andavo in oratorio quando c’era l’animazione estiva. Frequentavo il Prati che è un liceo che richiede tanto tempo di studio. Allo stesso tempo, con il mio gruppo giovani è capitato che partecipassimo a delle esperienze comunitarie in seminario e in altre realtà con un taglio fortemente vocazionale proposte da Padre Mauro e questo, unito all’esperienza di animazione, mi ha segnato molto: le davo per scontate».
Una volta arrivato all’università Andrea inizia ad allontanarsi da Lavis: «Pensavo che si fosse chiusa una pagina legata alla mia infanzia, credevo stupidamente che tutto ciò che riguardava l’oratorio non mi riguardasse più, che fosse per bambini e che Lavis non avesse altro da dirmi perché dopo l’anno di Erasmus in Germania avevo altre ambizioni». Unito a questo, Andrea fa parte dei volontari della Croce Rossa che lo porta spesso fuori dal contesto trentino, partecipando a incontri nazionali. «Viaggiavo, vedevo altro e ne ero attirato. Sentivo il bisogno di uscire, di andare all’estero, il paesino iniziava a starmi stretto».
«Più andavo avanti più mi rendevo conto che quello che avevo sempre dato per scontato, e cioè che ci fosse questa cerchia di persone che sono casa è mancato. Durante il percorso universitario e in Croce Rossa costruivo relazioni, moltissime, ma erano relazioni diverse. Sentivo una diversità, non c’era la gratuità, uno stare insieme perché vogliamo condividere qualcosa. A questo, però, non ho ricollegato immediatamente l’esperienza in oratorio, ma percepivo che c’era qualcosa che non tornava. Nei canossiani è come se fosse un ambiente in cui si amplifica l’esperienza familiare con persone che non sono la tua famiglia. E questo è lo specifico che ha definito la mia esperienza in oratorio, dove ho incontrato persone che non avevano nessun motivo per trattarmi così, come un fratello, ma lo facevano comunque».
Poi per caso, o forse Andrea preferirebbe che usassi il termine Provvidenza, tra i suoi compagni di corso all’università Andrea incontra un monaco benedettino: «Ho parlato per la prima volta di questo mio disagio con lui e così abbiamo iniziato a discutere di fede. Capitava che alle volte lui mi provocasse sul Vangelo». Ad un certo punto, da questo monaco arriva ad Andrea la proposta di passare qualche giorno in monastero, per staccare la testa dai mille impegni e fare un po’ di ordine dentro di sé.
«Ero alla fine del mio secondo anno di filosofia, e così siamo andati in Piemonte, in provincia di Cuneo, nel monastero cistercense “Dominus Tecum” in località Pra’d Mill. La mia intenzione era di riposare. Mentre ero lì ho vissuto da dentro la vita della clausura grazie al mio amico (normalmente i visitatori non hanno accesso all’area dei monaci): pregavamo insieme e davo una mano nei lavori. Quell’esperienza mi ha sconvolto. Vivendo nel silenzio ho ritoccato quella stessa familiarità che alcuni anni prima avevo vissuto in oratorio, aveva lo stesso gusto».
Dopo questo breve ritiro, Andrea parte per fare l’Erasmus in Germania e, subito dopo, torna in monastero. «Era il dicembre 2012, il periodo in cui si pensava sarebbe finito il mondo – scherza Andrea – e tutto sommato mi sarebbe andato bene, era un bel posto per andarsene».
Il mondo però non finisce e ad Andrea capita qualcosa di più potente rispetto alla prima esperienza in monastero. «Una sera mi è capitato tra le mani un foglio sul quale era riportato un versetto della lettera ai Filippesi».
Rientrato in camera Andrea cerca il versetto e legge la lettera ai Filippesi: «Avevo finalmente trovato la quadra, o così credevo. A quel punto ero convito, “ecco dove devo stare”, mi ero detto, sarei dovuto diventare monaco! Ne parlo agli altri e mi viene consigliato di farmi guidare dalla comunità di Bardolino, e così ho fatto: era il 2013 e, finiti gli esami a maggio, mi sono ritirato lì per finire di scrivere la tesi.
A fine maggio vado dal priore e gli comunico la mia decisione di rimanere in monastero per tutta l’estate, in modo da finire di scrivere la tesi e iniziare, una volta giunto settembre, il percorso per unirmi ai monaci ma ricevo una risposta spiazzante».
“Ho visto che qui stai bene, ci dai una mano e ci fa piacere che tu sia qui con noi – dice il priore – ho l’impressione, però, che tu qui ci stia un po’ troppo bene”.
«In pratica il priore mi aveva consigliato di tornare a Lavis, finire la tesi a casa e tornare un po’ alle origini, svolgendo un servizio in parrocchia, e così ho fatto. Sono tornato e mi sono presentato a Don Vittorio, il quale, entusiasta, mi ha indirizzato verso l’oratorio, per dare una mano nelle attività estive, a partire dal GrEst».
E poi c’è stato il campeggio estivo a Dimaro. Padre Stefano chiede ad Andrea di fare tutti e quattro i turni, supportando gli animatori e Padre Graziano. «Ero una figura spirituale a metà tra il capo animatore e il prete: non ero ancora religioso ufficialmente, per quanto le mie intenzioni fossero di diventare monaco una volta terminata l’estate».
A Dimaro Andrea respira nuovamente l’esperienza di casa e di comunità che tanto gli sta a cuore: «lì mi sono reso conto per la prima volta che al di là del beneficiare io della situazione, perché mi sentivo appagato, c’era qualcosa che accadeva negli altri, soprattutto negli animatori, e quel qualcosa poteva accadere anche attraverso di me».
Alla consueta verifica finale dei campeggi tutti gli animatori dicono di aver sentito desiderio di ricerca di un qualcosa di più, e ringraziano Andrea per questo: qualcosa stava cambiando rapidamente. Di questo Andrea ne parla con Padre Stefano, il quale gli fa notare che nel modo in cui si affianca a bambini, adolescenti e adulti, c’è in lui la capacità di accompagnare quelle persone, cosa che in un monastero non avrebbe mai potuto fare.
Così tutto viene messo in pausa per un anno. Dal settembre 2013 all’estate 2014 Andrea, di fatto, vive per la parrocchia, e nel mentre inizia a parlare con dei formatori canossiani della comunità di Verona. Al termine di questo periodo tutto diventa chiaro: «Mi sono reso conto che avrei potuto vivere il resto della vita così, e l’unico modo per farlo era diventare un canossiano».
«Non mi ha mai sfiorato l’idea di cercare altro.Il mio approccio alla vocazione non è mai stato razionale, ma sempre affettivo, volevo la possibilità di vivere così. Ho sempre risposto momento per momento a ciò che mi faceva essere in pace e in relazione con gli altri in un modo qualitativamente forte, poi è iniziata la ricerca per trovare la forma e dare una struttura a quell’esperienza. Per me era prioritario stare bene, e attenzione, non stavo male, ma per me non era abbastanza. Con i canossiani non sentivo il bisogno di avere altro, ero finalmente completamente appagato».
Il 4 ottobre 2014 Andrea si trasferisce nella comunità canossiana a Verona e viene accolto calorosamente: «proprio quella sera c’è stato un incontro formativo con un padre: iniziò a parlarci del centro del carisma canossiano, e cioè di avere gli stessi sentimenti di Cristo perché questo permette di far raggiungere l’amore di Dio a tutti. Apro la mia Bibbia e scopro che i versetti che il padre stava commentando erano nella pagina esattamente di fronte a quelli della lettera ai Filippesi che mi aveva colpito qualche anno prima, ed erano la premessa che spiegava ciò che avevo assolutizzato in monastero. Tutto assumeva un significato diverso».
Così Andrea inizia un’opera di decostruzione delle sue convinzioni e di ricostruzione completa del suo modo di pensare, che tra momenti di fatica e di crisi è proseguito fino ad oggi.
Avvia un cammino di conoscenza di sé, un anno e mezzo di postulato che serve a conoscersi attraverso l’accompagnamento psicologico e la formazione spirituale. Il 2016, l’anno del noviziato, lo trascorre in Brasile, dove ha la possibilità di conoscere a fondo la regola di vita dell’istituto e impara da zero a pregare e stare con Dio. Nel gennaio del 2017 i primi voti in Brasile e, una volta rientrato in Italia, prosegue gli studi in teologia fino al 2021, rinnovando di anno in anno i voti fino al settembre 2022, quando ha fatto i voti perpetui, la conferma definitiva per la vita consacrata.
«In questi anni il discernimento mi ha portato a capire che la forma migliore per me è chiedere il ministero ordinato, e quindi sono stato ordinato diacono lo scorso anno e domenica sarò ordinato sacerdote e non vedo l’ora. Ho capito che il modo in cui posso vivere in maniera più naturale il mio rapporto con il Signore è questo».
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