Una nonna scrive una lettera al nipote per raccontare un’antica leggenda che si tramanda a Cembra
Cembra. Caro Thomas, giorni fa il tuo papà, ti ha raccontato quel che si tramanda, riguardo una leggenda sorta nella notte dei tempi lungo un sentiero del monte cembrano.
Mi ha fatto un immenso piacere sentire che ricordava storie e misteri che forse gli raccontai pure io insieme alla nonna che viveva con noi quando lui era piccolo.
Sentendolo mi è nata la voglia di cercare, tra tutti i documenti cembrani che negli anni ho raccolto per curiosità e passione, quella che qui chiamano la leggenda. Me la raccontò in dialetto una mia amica, nonna Arcangela, che se fosse in vita sarebbe molto orgogliosa di suo nipote, uno dei campioni del curling cembrano. Io per comodità te la racconterò in italiano, anche se il racconto in dialetto sarebbe molto più piacevole da ascoltare.
Le streghe di Cembra
Tantissimi anni fa, vicino al nostro paese, sopra Fadana (una contrada di Cembra), vivevano le streghe (Strie).
La Capessa di queste streghe era una brutta vecchia senza denti, col naso d’aquila e i pochi capelli grigi, dritti e sporchi. Inoltre aveva gli occhi sporgenti che sembrava volessero uscire dalle orbite da un momento all’ altro.
Era vestita con una gonnaccia nera, tutta piena di strappi e buchi. Aveva delle ciabattone con la suola strappata tanto che si inciampava e faceva rotolare i sassi dei sentieri. Inoltre aveva una sorta di orrendo grembiule nero con tante tasche per infilarci dentro tutto ciò che trovava di… commestibile.
Andava in giro solo di notte, perché dal brutta che era, avrebbe spaventato tutti quelli che avrebbe incontrato sui suoi malfermi passi. Girava tra i pollai come la volpe. Rubava galline e conigli e cacciava topi, ragni, lucertole, bisce, timidi ricci pungenti, e salamandre. Poi raccoglieva erbe sconosciute che nessuno a Cembra conosceva e raccoglieva: ortiche spinose, eriche, fieni marci e ogni sorta di sporcizia che lei trovava. Quando aveva le tasche piene si avviava su per il monte verso casa sua.
Devi sapere che un giorno una bimba era salita dal bosco sopra Fadana per raccogliere funghi e mirtilli, ma perse il sentiero e si smarrì. Invece di prendere la strada del ritorno, si inoltrò sempre di più nel bosco. E intanto arrivò sera e poi la notte. Cominciò a piangere disperata. Non c’era nemmeno la luna e non vedeva più nulla. Il cielo era pieno di nuvole cupe e paurose.
Il sabba
Rosetta, così si chiamava la bambina, a un certo punto, sfinita, si sedette a terra sotto un pino, e stava per addormentarsi quando da lontano sentì arrivare una musica. Subito si alzò e si avviò verso quei suoni. Arrivata abbastanza vicina si accorse che in un prato ardeva un fuoco e tutto intorno diavoli e streghe ballavano, suonavano e cantavano.
Impaurita ancor di più si spostò nel prato accanto e si nascose dietro una grande pianta, tremando e battendo i denti. Era terrorizzata.
A un certo punto il più vecchio dei diavoli annusò l’aria guardingo… come un cane da fiuto… qualcosa non andava per il verso giusto. Fece smettere i suoni e i balli e sospettoso girò intorno al prato. Tutto sembrava a posto.
La bimba era bianca come uno strofinaccio. Non era più capace di muoversi, ma alla fine venne adocchiata dal diavolo capo e dalla Capessa. La presero e la trascinarono in mezzo al prato con suon di risate orrende… le tiravano i capelli, la facevano cadere, le facevano dispetti. Le streghe erano felici perche la Capessa aveva annunciato che avrebbero cotto Rosetta in un pentolone e poi l’avrebbero mangiata.
Le ricerche
Intanto a Cembra tutti erano preoccupatissimi. Rosetta non tornava ed era notte. Mandarono a cercarla Tonino, il ragazzino più in gamba e veloce del paese, che conosceva tutti i boschi del monte.
Cerca che ti cerca, alla fine arrivò proprio vicino al prato dove si trovava la bambina. Vedendo la situazione capì che non poteva fare nulla e cosi con tre salti ritornò in paese. Fece suonare le campane del pericolo e tutta la gente si raccolse in chiesa. Il parroco prese la croce più grande che c’era, gli uomini corsero a prendere forche, badili, rastrelli e ogni arnese tagliente e pericoloso, le donne cucchiai, mestoli, coperchi… e su, verso il monte con le lanterne, cercando di non far alcun rumore.
Arrivati al prato si misero tutti attorno… guardinghi sul da farsi. Il fuoco era ancora acceso, ma debole. Streghe e diavoli aspettavano la Capessa che era andata nella sua caverna a prendere un sacco pieno di pipistrelli vivi da bollire con Rosetta.
Al segnale pattuito il sacerdote andò per primo verso il fuoco con la Croce sollevata in alto più che poteva. Dietro di lui tutta la popolazione che batteva a più non posso i suoi arnesi. Rosetta vicino al pentolone non capiva più nulla, ma sperava..
Nel vedere la Croce diavoli e streghe lanciarono un urlo cosi forte e disumano che le fiamme si alzarono improvvisamente al cielo, la terra tremò e in mezzo al prato si aprì una voragine così grande da far cadere dentro, rabbiosi, diavoli e streghe e salvare Rosetta.
Intanto la Capessa, che aveva visto tutto, uscì dalla caverna con intorno una nera nuvola di pipistrelli che gridavano. Corse a balzi e salti giù per il monte. Tutta la gente cercava di prenderla per bruciarla sul fuoco. La strega, arrivata ad un sasso si aggrappò con tutte le sue forze per salvarsi anche da un diavolo che non era finito nella voragine e voleva tirarla giù.
Il luogo dove lei si fermò si chiama Sert ed è proprio qui sopra Fadana, dove tanti anni fa cadde giù sotto nel burrone una coppia di buoi col carro carico di fieno. Lei si aggrappava sempre con meno forza al sasso, tanto che non ce la fece più e fu tirata giù all’inferno dal diavolo contento.
Sul sasso rimase l’impronta della sua mano e la località prese il nome di La man de La stria.
Qualcuno racconta anche che se l’impronta si fosse cancellata nel tempo, il Lago Santo sarebbe esondato, ricoprendo tutto il paese. Perciò ogni volta che l’impronta sta scomparendo per il dilavare della pioggia, c’è chi diligentemente la scolpisce ancora.
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