Lavis. Non è mai facile parlare di Paolo, forse perché personalmente non l’ho conosciuto così bene, forse perché le mie parole potrebbero non essere quelle giuste da usare: non è facile parlarne perché parlare di “uno di noi” al passato fa male, è doloroso. Ma è anche quel tipo di dolore che può tramutarsi in terapia, in rielaborazione: le parole ci salvano la vita, arricchiscono la nostra esistenza e in questo caso sono il modo migliore per continuare a far vivere Paolo. Là, dove tanti di noi vanno ancora a trovarlo: nei giardini della memoria, nel palazzo dei sogni. È bello immaginare che in qualche modo stia vedendo tutto quello che è nato grazie a lui, e che con il suo spirito continuerà a fiorire nelle tante iniziative che gli saranno intitolate.
«Dialoghi» è una raccolta di 54 poesie scritte a quattro mani da Paolo e dalla maestra Marzia Todero, sua insegnante alle scuole elementari. Il libro sarà presentato all’oratorio di Lavis venerdì 1° dicembre alle 18:00 e con l’occasione verrà inaugurato il nuovo bar della sala giochi, realizzato grazie alle donazioni raccolte al funerale di Paolo e che proprio a lui sarà dedicato.
«Non è facile parlare di qualcosa di così intimo – ha raccontato la maestra Marzia – Lo voglio fare perché è una richiesta giunta dal profondo del mio inconscio. Dopo la morte di Paolo è come se si fosse riattivata dentro di me la memoria del legame. Con la sua famiglia non avevo mai perso i contatti e lui è scomparso proprio in un momento in cui si stava decidendo di fare una graphic novel con testi miei e disegni suoi. Non potevo rinunciare a questo e ho deciso quindi di fare una raccolta di poesie perché il testo poetico è stato la tipologia di testo, il linguaggio e la forma che mi hanno portato in contatto profondo con Paolo».
Tutto infatti inizia quando lui entra in classe alle elementari: per i primi due anni, come racconta la maestra Marzia, lui era un po’ come la volpe del Piccolo Principe: schivo, diffidente, osservatore, ma con gli occhi sgranati e la mente che registrava. All’inizio del terzo anno Paolo si fa avvicinare, la maestra lo accarezza e da lì nasce qualcosa, si crea un legame intenso veicolato dal testo poetico: un mezzo per comunicare in profondità. I due così si trovano in questo mondo, che già la maestra padroneggiava, ma del quale fino a quel momento non era ancora riuscita a farne strumento di crescita personale per qualcuno, e così è stato per Paolo.
«Abbiamo cominciato a fare i contadini, io e Paolo, coltivando il giardino del linguaggio, assai misterioso e che richiede cura, che talvolta appassisce, però poi si ricomincia. E così abbiamo incominciato a scoprire cosa significa cavalcare le emozioni, ed è una cosa che i poeti non possono fare a meno di fare. Paolo è riuscito a vivere a vivere la sua esistenza come poeta: riusciva a guardare attraverso gli squarci della realtà, con trasparenza».
Il poeta, sarete d’accordo con me, altro non è che un essere umano, qualcuno che si occupa di scrivere la storia del mondo, di osservarla, di comprenderla e darne una propria interpretazione. Questo è ciò che Paolo ha fatto nei suoi testi, degli scritti dal valore sociale enorme: «Per questo sono entrata in dialogo con lui: siamo due individui che non ricoprono il ruolo specifico di alunno/insegnante ma siamo due esseri umani che si parlano perché sono riusciti in qualche modo ad entrare in una sintonia tale da aver condiviso tutto questo.»
Il testo è diviso in cicli, «perché così è la vita», cicli che tornano, momenti in cui ci sentiamo soli, in cui dobbiamo fare delle scelte, altri in cui ci sentiamo più o meno bene, più e meno aperti alla società. Durante la lettura vi accorgerete che ci sono testi in cui sarà difficile capire se a scriverli è stato Paolo o è stata Marzia, perché talmente simili da far emergere corrispondenze inaspettate: «sembrava quasi che ci scrivessimo e ci rispondessimo, senza saperlo, creando un legame d’anima».
Come potrete immaginare, il lavoro è stato molto lungo e faticoso: «ho dovuto iniziare a lavorare subito dopo la scomparsa di Paolo, che ha lasciato un buco a forma di sé dentro di me, un vuoto che si riattivava ogni volta che dovevo prendere in mano un suo testo e cercare di capire con quale dei miei entrasse in sintonia. Un lavoro fatto per lui, ma anche per dimostrare che la poesia semina e che se Paolo è riuscito a fare tutto questo oggi, è perché è un poeta. Qui dentro – conclude la maestra – ci sono due esseri umani che si parlano, e chiunque leggerà la poesia ci troverà dentro qualcosa di diverso perché questo non è un libro, è un seme che germoglia, che farà parlare e farà risuonare corde diverse: questa è l’universalità della poesia».
“Non lasciatevi vivere, ma prendete nelle vostre mani la vostra vita e decidete di farne un autentico e personale capolavoro”
Il ricordo più bello lo lascio a voi attraverso le parole di mamma Karin: «Paolo non era un poeta, o almeno credo non sapesse di esserlo. Ho sempre ritenuto la poesia intima, come il diario segreto dei bambini, dove tu puoi scrivere quello che vuoi, la tua licenza poetica, perché lo scopo non è quello di compiacere gli altri, bensì quello di fissare degli stati d’animo. Fin da piccolo a Paolo veniva facile scrivere, e gli piaceva, ma era pigro, e tra una partita ai videogiochi e un tema immaginate cosa preferiva…Quando scriveva, però, veniva rapito dal suo testo, ci entrava dentro, veniva catapultato tra le righe del foglio: riusciva a mettere su carta quello che stava vivendo, ed è un dono grande».
«Paolo forse non avrebbe mai voluto che i suoi scritti fossero pubblicati, ma qualche tempo prima che morisse mi aveva detto che gli era tornata la voglia di scrivere grazie ad una sua insegnante, poi ridendo aveva aggiunto una sciocchezza e io gli avevo detto di lasciar perdere. Poi però aveva continuato: “Magari un giorno te ne faccio leggere qualcuna, le ho messe tutte sulle note del cellulare”. Ecco, quando Paolo è mancato ho rivissuto questo momento come una sorta di autorizzazione e quando ho sbloccato il suo telefono sono rimasta a bocca aperta, me lo sono sentita vicino, parte del suo vissuto e ho sentito la necessità di condividerlo. Paolo però non era solo poesia: il Paolo più vero, quello che chi lo ha conosciuto ha potuto vedere e apprezzare, era soprattutto battute, scherzi, fumetti e leggerezza. Era quel Paolo che quando uno dei suoi amici del cuore si è fidanzato, si è vestito da Cupido, comprandosi le ali e indossando boxer e felpa rossi, per poi andare a casa dell’amico per annunciare la lieta notizia, con tanto di frecce e arco».
Questo era lui e questo è anche il ricordo che ho io di lui, quello di un ragazzo come noi, che esprimeva tutto ciò che di più bello un giovane potrebbe esprimere. Era “la meglio gioventù”, quel ragazzo che per non fare la camminata da Malè a Dimaro per il ritiro animatori ad aprile 2022 era rimasto sulla Trento-Malè con gli amici, per poi essere beccato e costretto a farsela a piedi due volte, prima per raggiungerci e poi per arrivare alla casa parrocchiale. Quello stesso ragazzo che poi se n’è andato senza fare rumore, lasciando però in tutti noi un ricordo indelebile, talmente indelebile che ancora oggi si fa fatica a parlarne, eppure se ne sente il bisogno. Talmente indelebile che quando, durante il ritiro cresime di quest’anno, ho voluto ricordarlo durante la Messa provando a raccontare ai ragazzi chi era, anche io, che non lo conoscevo così bene, mi sono commosso percependolo presenza viva proprio accanto a me.
Questo è ciò che di Paolo deve rimanere, l’immagine di un ragazzo di straordinaria ordinarietà, che ha fatto tanto bene e che ancora oggi ci parla, facendo risuonare le corde della nostra anima, alle volte facendoci commuovere forse, ma soprattutto facendoci sorridere quando con la mente ripercorriamo quei giardini della memoria che custodiscono i ricordi più belli che ognuno di noi ha con lui.
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