1935-1936, la guerra chimica italiana in Etiopia – Le pillole di Storia

Al termine del conflitto, per piegare la resistenza, il regima fascista risorse anche alle armi chimiche

Rovereto. Con l’ascesa del Fascismo il Regno d’Italia, al termine della Prima Guerra Mondiale, conflitto che costò al paese ben 600mila morti e 450 mila soldati mutilati, riprese in mano la questione coloniale.

Questione che di fatto con la Guerra di Libia si era momentaneamente interrotta con lo scoppio della Grande Guerra. A partire dagli anni Trenta, quindi, il Regime diede avvio al nuovo progetto di conquista coloniale: in tale senso rientrano quindi la conquista dell’Etiopia (1935-1936) e, poi, in un secondo momento la guerra in Albania (1939). Obiettivo del Duce era di fare dell’Italia, come già iniziato dai governi precedenti, una potenza militare e coloniale. Ed è quindi in questo contesto che troviamo la guerra di Etiopia: una sorta di rivincita italiana per la sconfitta subita ad Adua nel 1897.


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La guerra d’Etiopia


La guerra d’Etiopia è stato un conflitto armato iniziato il 3 ottobre 1935 e terminato il 5 maggio 1936: una guerra che ha visto contrapporsi l’Italia fascista e l’Impero d’Etiopia. A guidare le truppe italiane furono, prima il generale Emilio De Bono, e poi il maresciallo Pietro Badoglio. I pretesti per la dichiarazione di guerra furono due incidenti che ebbero luogo nelle città di Gondar e Ual Ual, quando il consolato italiano e una caserma vennero presi di mira da alcuni gruppi armati etiopi.

L’esercito dell’Italia fascista invase l’Etiopia partendo da due fronti: dalla colonia eritrea a nord e da sud-est dalla Somalia italiana. Nonostante la tenacia e la dura resistenza, l’esercito etiope fu sconfitto dalla superiorità numerica e tecnologica degli italiani: il conflitto si concluse con l’ingresso delle forze di Badoglio nella capitale Addis Abeba.

Si trattò, per il Regime di Benito Mussolini, di un conflitto quasi simbolico con l’impiego di una grande quantità di mezzi propagandistici, al fine di orientare l’emigrazione italiana verso una nuova colonia. La notizia della fine della guerra fu comunicata in Italia la sera del 5 maggio 1936 per annunciare poi, il 9 maggio, all’Italia e al mondo la nascita dell’Impero.

Le ostilità non cessarono con la fine delle operazioni di guerra convenzionali, ma si prolungano con la crescente attività della resistenza e di guerriglia da parte dei partigiani etiopi, e con le conseguenti misure repressive attuate dalle autorità italiane nei confronti delle popolazioni locali.

L’impiego dei gas nella guerra di Etiopia


La guerra di Etiopia passò alla storia per un triste fatto: l’uso da parte dell’aviazione italiana delle armi chimiche. Dal dicembre 1935, infatti, l’aviazione italiana iniziò a bombardare l’Etiopia con bombe tradizionali e bombe all’iprite: quest’ultimo il terribile gas già usato durante la Grande Guerra.

Nonostante la denuncia del 30 giugno 1936 da parte dell’Imperatore Etiope, Haile Selassie a Ginevra, l’Assemblea della Società delle Nazioni, che già il 18 novembre 1935 aveva comminato sanzioni economiche all’Italia, non condannò il Regime per aver usato gas tossici. In Etiopia l’esercito italiano, per esempio, da 22 dicembre 1935 al 18 gennaio 1936, impiegò sui settori settentrionali 2.000 quintali di bombe, di cui una parte con gas;

L’uso dei gas nella testimonianza di Ras Haile Sellase Immirù


«Era la mattina del 23 dicembre […] quando comparvero nel cielo alcuni aeroplani. Il fatto, tuttavia, non ci allarmò troppo, perché ormai ci eravamo abituati ai bombardamenti. Quel mattino, però, non lanciarono bombe, ma strani fusti che si rompevano, appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava accadendo, alcune centinaia fra i miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini, che avevano portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini».

Andrea Casna, iscritto all'Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige, albo pubblicisti, è laureato in storia e collabora con l'Associazione Forte Colle delle Benne. È stato vicepresidente dell'Associazione Culturale Lavisana e collabora come operatore didattico con il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto.

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