Lavis. Non è un mistero che il livello di istruzione nel Trentino austriaco fosse molto più alto rispetto al vicino Regno d’Italia. Nell’anno 1774 infatti l’Imperatrice Maria Teresa D’Austria aveva emenato un decreto che di fatto istituiva una prima forma di scuola dell’obbligo. Tutti i sudditi dell’impero dovevavno imparare a leggere, scrivere e far di conto, senza distinzione di ceto e di sesso.
Nel Regno d’Italia le cose invece erano diverse. La recente unificazione aveva portato sotto la stessa corona regioni e territori estremamente diversi tra loro per usanze, leggi e soprattutto per le lingue e i dialetti parlati. Questo rendeva estremamente difficoltosa anche la semplice comunicazione, figuriamoci istituire un sistema scolastico funzionale.
L’esercito messo in campo dal Regno durante la prima guerra mondiale era formato da giovani provenienti da ogni zona d’Italia, soldati che spesso parlavano solo il proprio dialetto e non avevano mai visto una scuola.
La storia che vogliamo raccontavi oggi potrebbe anche far sorridere ma dietro nasconde questa situazione paradossale e drammatica.
Molti anni fa un signore mi diede un manifesto che custodiva con molti altri ricordi in un vecchio armadio. Si trattava di un manifesto emanato dal comando militare italiano del 29° corpo d’armata in seguito alla vittoria nella prima guerra mondiale contro l’Austria.
Dopo il 4 novembre del 1918 questi manifesti vennero affissi in ogni paese dell’allora Sudtirolo (Trentino) per informare la popolazione della fine della guerra mondiale, della vittoriosa avanzata dell’esercito italiano con l’entrata a Trento e Trieste delle sue truppe e della “liberazione” delle due città.
Anche a Lavis uno di questi manifesti venne affisso sulla bacheca dell’ufficio postale situata in piazza Manci al centro del paese.
Il signore che mi dette il manifesto all’epoca aveva 11 anni e abitava proprio nelle vicinanze. Quando un soldato italiano posizionò il manifesto nella bacheca dell’ufficio postale era presente e subito si accorse dell’errore che il soldato stava facendo. Il soldato stava attaccando il manifesto al contrario e il ragazzino cercò di fargli capire che doveva girarlo perché così era storto.
Il soldato, infastidito, cacciò il bambino minacciandolo di dargli un calcio nel sedere e gli disse in malomodo di andar via. Il bambino allora si spostò sull’altro lato della piazza per osservare il il completamento dell’opera: il manifesto infatti venne appeso al contrario. Evidentemente il soldato non sapeva leggere e si limitò a eseguire un ordine senza porsi problemi e senza nemmeno voler accettare il suggerimento di un ragazzino che quel manifesto era in grado di leggerlo.
Il bambino andò a casa e raccontò al nonno quanto era accaduto. Il nonno però non voleva credergli perché gli sembrava una cosa impossibile che un adulto non fosse in grado leggere tanto da appendere un manifesto al contrario.
Il ragazzino allora meditò la sua vendetta nei confronti del soldato che lo aveva deriso e trattato male. Quando venne notte sgattaiolò fuori casa e andò nella vicina piazza Manci. Non c’era nessuno, staccò il manifesto e lo portò a casa come trofeo per far vedere al nonno che quello che gli aveva raccontato non era una bugia.
Chissà quanti lavisani quel giorni sorrisero passando davanti all’ufficio postate nel vedere il manifesto storto e chissà che sorpresa il giorno dopo nel trovare la bacheca vuota.
Il manifesto venne quindi piegato e riposto in un cassetto dove fu dimenticato per decenni, fino ad oggi quando è tornato fuori per raccontarci la sua storia.
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